23.10.07

Il manifesto delle forze poltiiche della sinistra palestinese

(tratto da Liberazione del 18/10/2007)

Dichiarazione congiunta dopo l'incontro d'Autunno

La leadership delle cinque forze firmatarie di questo documento ha svolto una riunione per discutere la fase preparatoria in corso per la conferenza Internazionale convocata a novembre dall'amministrazione statunitense riguardo al conflitto mediorientale e ha formulato una posizione netta e chiara al riguardo, i suoi obiettivi e pericoli.
Primo punto: basandoci sui risultati disastrosi dei negoziati precedenti, crediamo che l'unica piattaforma possibile per arrivare ad un accordo per la fine del conflitto arabo e palestinese-israeliano è una conferenza Internazionale con pieni poteri e con la partecipazione di tutti i protagonisti coinvolti in base alle legittime risoluzioni Internazionali e con l'obiettivo di applicare queste risoluzioni sotto una supervisione Internazionale collettiva nel quadro delle Nazioni Unite e sotto i suoi auspici.
Secondo punto: l'invito lanciato dal presidente Bush per la conferenza d'autunno non corrisponde ai requisiti di questa piattaforma, al contrario, è un tentativo per aggirarla e deformarla. Questo invito è l'ennesimo tentativo accanito dell'USA per ottenere il sostegno Arabo e Palestinese per recuperare credibilità dopo i danni irrecuperabili visibili agli occhi di tutti prodotto dei risultati delle sue politiche di aggressione in Iraq e Afghanistan e altrove nella regione e per attuare i suoi piani previsti per la divisione del mondo Arabo e Musulmano in due assi in conflitto. Questo invito, ignora completamente il riferimento alle risoluzioni delle Nazioni Unite e cerca di crearne uno nuovo, più compatibile con le promesse fatte da Bush a Sharon nella sua lettera del 14 Aprile 2005, nella quale dava la luce verde alle ambizioni coloniali del governo Israeliano di radicare l'occupazione, annettere Gerusalemme Est e cancellare il diritto al ritorno. E' ormai chiaro che questo invito auspica di confermare l'opzione dello stato Palestinese con confini temporanei- forse sotto un nome diverso- come base dei negoziati proposti, per dividere il percorso palestinese da quello arabo e per accentuare la crisi palestinese interna.
Terzo punto: il confronto con il programma americano richiede coordinamento e lavoro collettivo arabo - palestinese per affermare le condizioni essenziali per realizzare qualsiasi incontro internazionale attraverso un processo politico serio che conduca ad un ritiro israeliano completo da tutti i territori arabi e palestinesi occupati dal 1967 per assicurare i diritti nazionali al popolo palestinese nell'indipendenza e il rientro. Tutto ciò richiede:
Adottare le risoluzioni delle Nazioni Unite e definire come attuarle.
Adottare una formula collettiva di protezione internazionale per i negoziati nell'ambito delle Nazioni Unite in alternativa al modello unico americano.(....)
La garanzia della partecipazione di tutte le componenti arabe che hanno territori occupati (Palestina, Siria e Libano) sulla base di un piano garantisce a risolvere tutte le cause del conflitto arabo - israeliano.
Quarto punto: le forze riunite avvertono il pericolo di svolgere la riunione internazionale proposta e di parteciparvi senza che ci sia il minimo di condizioni che garantiscano il successo di una soluzione completa ed equilibrata respingendo le possibilità di soluzioni parziali.
Quinto punto: il livello di serietà di qualunque sforzo Internazionale per risolvere il conflitto si traduce nell'impegno di spingere Israele a cessare le sue pratiche di aggressione contro il nostro popolo e di smettere di imporre il de facto unilaterale sul campo. Cio'comprende: mettere fine all'occupazione, bloccare la costruzione del muro dell'apartheid e smantellarne la parte già esistente , metter fine alle incursioni, alle uccisioni e agli arresti, smantellare i posti di blocco, rilasciare i prigionieri politici, annullare l'ordine prepotente di considerare Gaza come entità nemica e di mettere fine all'embargo.
Sesto punto: le forze riunite avvertono di eventuali rischi quando si confronta la battaglia per il negoziato insieme alla divisione interna palestinese. (...)
Le forze riunite affermano che l'obiettivo vero della politica americana ed israeliana è quello di sfruttare la situazione della divisione interna palestinese e tutta la debolezza che ne consegue , per ricattare tutte le parti in causa ed ottenere compromessi. Per questo le forze riunite affermano che per affrontare i rischi dell'invito americano non vanno mai fatti passi che aggravino la divisione interna così come i tentativi di trovare alternative all'OLP. (...) In questo contesto, noi firmatari, ribadiamo l'invito a Hamas a tornare sui suoi passi del colpo militare e violazione della democrazia e chiediamo che ponga fine all'anomala separatista a Gaza e di tornare sotto il quadro legittimo
Le forze invitano anche a rimuovere tutti gli ostacoli che si oppongono ad un dialogo nazionale completo che conduca ad una soluzione pacifica e democratica alla crisi interna sulla base del documento d'accordo nazionale e della dichiarazione del Cairo.
Settimo punto: Come prevenzione per i possibili rischi c'e bisogno di una partecipazione collettiva per amministrare il processo dei negoziati , con la partecipazione attiva di tutte le forze palestinesi interessate e con il completo svolgimento del ruolo dell'esecutivo dell'OLP di leadership nell' orientare la mobilizzazione politica e designare le sue strategie.

Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina
Unione Democratica Palestinese FIDA
Partito del Popolo Palestinese
Iniziativa Nazionale Palestinese - Al Mubadara

4.10.07

Opa di Pd e Montez sul governo e sulla Cgil per archiviare il lavoro

Il "piuttosto di niente" e i lavoratori

di Dino Greco

Liberazione, 04/10/2007

E' necessario prendere coscienza che è in atto una vera e propria offensiva di portata strategica del capitale contro il lavoro, una fase che, gramscianamente, possiamo definire come "guerra di movimento". C'è un'Opa sul governo da parte del costituendo Partito democratico (cui Veltroni ha infuso, per dirla con una felice espressione di Paolo Ciofi, il soffio della vita), il cui obiettivo è quello di perseguire una modernizzazione senza trasformazione sociale, funzionale alla conservazione dei rapporti di classe esistente, dentro un tragitto di fuori uscita dalla Costituzione "fondata sul lavoro". Perché questo disegno si affermi occorrerà, presto o tardi, che la tremebonda Unione si liberi della sua riottosa parte mancina, disorganica rispetto a una competizione politica fra schieramenti che si contendono il consenso del medesimo blocco sociale e che si ispirano a un non troppo dissimile paradigma economico. Parallelamente c'è una seconda Opa ostile, scatenata invece da Confindustria sulla Cgil, affinché essa si liberi di ogni retaggio antagonistico per divenire, niente più niente meno, che un sindacato di mercato, totalmente sussunto in una logica compatibilista che pretende - nello stesso tempo - bassi salari e uso discrezionale della forza lavoro, senza neppure la compensazione di un solido sistema di protezione sociale a valle.
L'accordo di luglio non contraddice affatto questo progetto e non è affatto casuale, benché singolarmente grottesco, l'entusiasmo con il quale Montezemolo se ne è reso sponsor ufficiale. Come sempre, i padroni guardano alla sostanza, che è questa: la Cgil viene cooptata fra i sostenitori della flessibilità del lavoro nelle sue forme estreme o, in ogni caso, è spinta a tollerarne sia pur recalcitrando la legittimazione negoziale; gli incrementi salariali, attraverso una parziale detassazione, divengono una funzione della redditività aziendale, mentre il contratto nazionale subisce un oggettivo depotenziamento; la decontribuzione delle prestazioni straordinarie, poi, manda a dire ai lavoratori che il valore della loro fatica, il loro salario, non può aumentare ma essere unicamente il frutto del prolungamento della giornata lavorativa (notoriamente causa fra le principali degli infortuni sul lavoro). Intanto l'aumento dell'età pensionabile è cosa fatta, malgrado sia dimostrata l'inesistenza di allarmi sui conti previdenziali e sia già chiaro che la generazione falcidiata dal contemporaneo varo del sistema contributivo e dall'irruzione dei rapporti di lavoro parasubordinati è persa per sempre (a meno di interventi massicci e retroattivi, oggi impensabili, della fiscalità generale per compensare un buco di sottocontribuzione altrimenti incolmabile).
Fanno male, molto male, quanti spacciano la contestazione che sale dai luoghi dove più tenace è l'insediamento operaio per un conato estremistico o per una pulsione corporativa ignara delle scarse risorse disponibili e dai precari equilibri politici. Nessuno, da quelle parti, si attendeva palingenesi sociali, ma il segno percepibile di un cambiamento di rotta, quello sì. Era lecito e possibile praticare una strada che facesse valere, attraverso il conflitto, il peso di 16 milioni di lavoratori e di altrettanti pensionati le cui condizioni con l'interesse generale del paese hanno pure qualcosa a che vedere. Anche di questo ci si chiede conto. A maggior ragione di fronte a un progetto di finanziaria per l'anno venturo che trasferisce nuovamente vagoni di denari alle imprese (Ires e Irap) e declina l'impegno di tassare dignitosamente i capital gains , ma non trova il modo di restituire ai lavoratori il fiscal drag, non finanzia adeguatamente il rinnovo dei contratti pubblici e lascia a secco il fondo per la non autosufficienza. Questi sono i fatti con i quali occorrerebbe misurarsi, rammentando che quel sindacato che solo un anno e mezzo fa intitolava le sue tesi congressuali con un magniloquente "rimettere al centro il lavoro, riprogettare il paese", ora non può rivolgersi ai lavoratori dicendo loro che «piuttosto di niente è meglio piuttosto».

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