17.6.01

INCHIESTA OPERAIA. Alla ricerca della condizione perduta

il manifesto, 28 marzo 2001

MANUELA CARTOSIO - BRESCIA

" In fabbrica vedo scoramento, una solitudine non solo politica, anche
umana. Sulla linea di montaggio si è in tanti, ma ognuno pensa per sé". Ciò
che "sente" per esperienza quotidiana di delegato all'Om Iveco, Beppe
Benedini lo proietta sull'inchiesta realizzata dalla Fiom sui giovani della
più grande fabbrica bresciana: "Leggeteli bene i risultati, a me sembrano
poco confortanti".
Vittorio Rieser, che d'inchieste se ne intende, è meno pessimista. E' vero:
tra i giovani lavoratori c'è individualismo, hanno fiducia nei delegati ma
non in un sindacato che definiscono "troppo politicizzato", confliggono con
i capi per i permessi ma dicono d'avere un rapporto positivo con loro,
pensano che la disattenzione sia la causa principale degli infortuni.
Se però - aggiunge con un certo ottimismo - si scava dietro le risposte, si
intuiscono tra i giovani colletti blu dell'Iveco segni di una coscienza se
non di classe almeno "critica", di disponibilità a fare, se solo il
sindacato mettesse le mani in quel che li riguarda da vicino.
E' perplessa Rossana Rossanda: tra i valori di riferimento gli intervistati
mettono la solidarietà tra lavoratori al quarto posto, "trent'anni fa -
spiega - a nessuno sarebbe venuto in mente di considerare il capo un
poveraccio che fa il suo lavoro".
Abbassiamo le pretese, le obietta il segretario nazionale della Fiom
Claudio Sabattini: "I giovani si sentono soli, ma si sentono ancora
lavoratori tra lavoratori; dubito che in una fabbrica americana alla
domanda sull'identità la risposta sarebbe stata questa".

Una inchiesta ben fatta
Come tutte le inchiesta ben fatte, quella della Fiom alla Om Iveco oltre a
fornire alcune certezze si presta a sfumature interpretative diverse. I
risultati, discussi lunedì in un convegno a Brescia, li avevamo anticipati
su queste pagine domenica scorsa. Qui ricordiamo l'essenziale. Un
questionario di 95 domande, compilato da 1.600 lavoratori (su 4.000
addetti, un quarto "terziarizzati" dalla Fiat), età media 34 anni, il 25%
di recente immigrazione dal Sud, bassa scolarità (il 62% ha solo la licenza
media, il 26% ha abbandonato la media superiore).
Il lavoro è ripetitivo per il 78% degli intervistati, pagato poco (5
milioni all'anno in meno rispetto alla media bresciana) e di conseguenza la
richiesta salariale è la più sentita, stressante, però "sicuro", quindi
tutto sommato accettabile. Non a caso il 61% degli intervistati con meno di
40 anni di età considera l'Iveco il punto d'approdo della propria vita
lavorativa, alla faccia del desiderio nomade. La spaccatura generazionale
emerge soprattutto nel giudizio sul sindacato: è un freno al cambiamento
per l'81% dei giovani; la percentuale, invece, scende al 18% tra gli anziani.
I giovani giudicano severamente sia se stessi (pronti a accettare qualsiasi
compromesso, confessa il 68%) sia gli anziani che non sarebbero disposti al
dialogo e non trasmettono il loro bagaglio di conoscenze. La
sindacalizzazione resta alta (solo il 24% non è iscritto ad alcun
sindacato), ma il 70% partecipa solo "saltuariamente" alle assemblee.
Perchè, si giustificano "tanto è tutto già deciso prima".
Per l'84% la terziarizzazione (che all'Iveco di Brescia non si è fermata ai
servizi, sono stato venduto anche il reparto presse con i suoi addetti) non
ha peggiorato le condizioni di lavoro. Va ricordato che l'accordo del sito
Iveco di Brescia è il migliore in assoluto in materia di terziarizzazione
(per questo nella vertenza aziendale aperta la Fiat non lo vuole
generalizzare).
Francesco Mazzacani, delegato alla Sidergarda (azienda dell'indotto Iveco),
ammette la difficoltà a parlare con i nuovi assunti: "Quando sono entrato
in fabbrica io, ho trovato automatico mettermi dalla nostra parte. Ora non
è più così". Il sindacato, accettando precarizzazione e flessibilità, "ha
consegnato i giovani all'azienda". Loro sono soli, "ma anche noi siamo
soli", perché "la Cgil non c'è più", non ha una strategia, un progetto
sindacale, politico, culturale in grado di agganciare le nuove leve.
Gli dà parzialmente ragione Sabattini: il neoliberismo ha sgretolato
garanzie e sicurezze e "senza sicurezza del lavoro non c'è alcuna
possibilità di progettare il futuro, una componente umana indispensabile.
Occorrono lotte per migliorare la condizione dei giovani lavoratori,
altrimenti questa generazione non si conquista". Il segretario della Fiom
però rivendica alla sua organizzazione il merito d'essersi messa di
traverso "da sola", contro Fiat e Confindustria.

Lottare anche da soli
"Un po' tardi", lo becca dalla prima fila una vocina, quella di Rossanda.
"Meglio tardi che mai", replica Sabattini che prosegue: "Non basta che la
Cgil non firmi un accordo, bisogna combatterlo, impedire che il disegno
passi".
"Non si ricostruiscono dei valori se non si ricostruisce un'idea di come va
il mondo e di come incidere sui processi", argomenta Rossanda nel suo
intervento, "il sindacato è stato forte in Italia non perché è stato
un'organizzazione assistenziale, mutualistica, ma perché è stato un
soggetto politico". E' debole oggi perché, come la politica, rinuncia,
accetta come un "dato oggettivo" che solo l'impresa ha titolo e forza per
decidere sul mondo e sulla vita degli esseri umani.
In una decina d'anni all'Om Iveco è cambiato tutto, dice l'inchiesta.
Eppure è sulla persistenza del vecchio che si appunta l'occhio acuto di
Vittorio Rieser e dell'economista Riccardo Bellofiore. La Fiat è passata
dalla fabbrica fordista alla fabbrica integrata, quindi alla fabbrica
modulare.
Ma quanto taylorismo c'è ancora nei suoi stabilimenti! Basta meno di una
settimana per imparare il lavoro, dice il 61% degli intervistati dell'Iveco
(nell'88 a pensarla così era il 30%), solo il 29% ritiene di fare un lavoro
qualificato, quasi metà del vasto campione è collocato al terzo livello e
ci resterà probabilmente a vita.
Gustosissimo l'aneddoto raccontato da Rieser sul capo Fiat che per tre
giorni manda un operaio sempre diverso a vedere come funziona una macchina.
"Scusi", obietta il tecnico esterno, "così non impara nessuno". "Appunto",
replica il capo, "se uno mi impara troppo, poi pretende il passaggio di
categoria". Morale dell'aneddoto: la stagione "innovativa" è finita con una
retromarcia perché "alla Fiat prevale sempre l'esigenza del controllo".
Dopo la vittoria dell'80 - sostiene Bellofiore - la Fiat non è stata solo
"repressione" e "autoritarismo". Con atteggiamento "reattivo e adattivo" ha
provato ad innovare, non ha retto alla prova e ha finito per segare il ramo
su cui era seduta. Le è rimasta come unica carta per competere il
contenimento del costo del lavoro e, complice l'ideologia imperante, la
Fiat è riuscita a spacciare una sua incapacità a fare diversamente come un
dato oggettivo. Se la spina dorsale dell'impresa è il basso costo del
lavoro, allora è ovvio che non c'è bisogno di forza lavoro istruita.

Abbandoni scolastici
Stringe il cuore che nel Nord ricco tanti ragazzi smettano di studiare a 14
anni per andare in fabbrica. "Però se uno prosegue gli studi lo fa a suo
rischio e pericolo, è una scelta che non verrà premiata dal mercato del
lavoro industriale", constata Bellofiore.
Più di 600 intervistati non si sono accontentati di rispondere alla sfilza
di domande del questionario, hanno aggiunto considerazioni personali,
pensieri in libertà. Così la Fiom di Brescia si ritrova un ricco
giacimento, ancora da analizzare. Qualche assaggio. "La maggior parte delle
aziende preferiscono un operaio "ignorante" a uno preparato... Il vecchio
concetto "padrone sfruttatore operaio sfruttato è sempre attuale". Ma anche
richieste concrete per migliorare le condizioni di lavoro: "Perché non fate
qualcosa per migliorare le condizioni di lavoro in estate per non morire
soffocati dal caldo?". "Perchè si devono avere carrellisti che fanno tutto
il giorno gli Schumacher perché devono fare il lavoro di due carrellisti?"

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