20.12.04

2. L'irresistibile ascesa dell'amministrazione statale

Il declino del parlamento, il rafforzamento dell'esecutivo, il ruolo politico che assolve attualmente l'amministrazione statale costituiscono ormai il leitmotiv degli studi politici. Ma se questi sono i tratti piu' evidenti delle trasformazioni dello Stato, sono anche i piu' difficili da cogliere nella loro portata reale.
Queste trasformazioni caratterizzano lo Stato sin dalla fine del capitalismo concorrenziale agli inizi del capitalismo monopolistico. Certo, come il ruolo economico dello Stato sotto il capitalismo monopolistico non deve far pensare che lo Stato liberale del capitalismo concorrenziale non intervenisse nell'economia, cosi' il rafforzamento dell'esecutivo non deve legittimare una immagine dello Stato liberale con parlamento onnipotente ed esecutivo quasi inesistente. L'amministrazione-burocrazia statale ha sempre avuto un posto importante, variabile da paese a paese, nell'organizzazione e nel funzionamento dello Stato borghese. Cio non toglie che un rafforzamento dell'esecutivo sia in atto fin dall'inizio del capitalismo monopolistico e segni del resto il passaggio dallo Stato liberale allo Stato interventista. Ma le forme attuali di questo fenomeno sono completamente nuove e concernono, a livelli ineguali, l'insieme dei paesi capitalistici sviluppati. Questo dunque non e affatto un fenomeno tipico della Francia, come pretende una tradizione ben consolidata del pensiero politico francese, riproposta di recente da A. Peyrefitte nel libro Il mal francese, e che per molto tempo ha costituito il cavallo di battaglia di Michel Crozier: quest'ultimo, nella Societa' bloccata, ha fatto i salti mortali per spiegare il maggio '68 con questa specificita' francese. Poi si e un po' lasciato andare alla scoperta delle virtu' degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Germania federale, che... eccetera eccetera. Basta far riferimento agli autori di questi paesi per constatare che questo stesso fenomeno, cosi' come si presenta da noi in Francia, e diventato un tema ossessivo delle loro analisi. Beninteso, la Francia ha le sue particolarita' e abbastanza note del resto: ma la stessa situazione francese presenta attualmente considerevoli trasformazioni, che non si puo' far finta di non vedere adducendo (con l'appoggio magari di certi storici) il pretesto della permanenza pura e semplice della tradizione. Trasformazioni di cui i gollisti sono, com'e' noto, in gran parte responsabili.
In parte, perche' si tratta appunto di un fenomeno molto piu' generale: il declino del parlamento e il rafforzamento dell'esecutivo sono strettamente legati alla crescita del ruolo economico dello Stato. Ma in gran parte perche' questo ruolo dello Stato non induce lo statalismo autoritario se non investito in una situazione politica precisa.

Prendiamo il caso della legge e del diritto, cosi' come questi si materializzano nella struttura del potere legislativo e nella sua distinzione relativa dal potere esecutivo; caso caratteristico, giacche' costituisce il punto di riferimento privilegiato di coloro i quali sostengono la "tecnicita'" dei cambiamenti attuali. Il ruolo preponderante del parlamento, santuario della legge e del potere legislativo, era fondato sull'emanazione di norme generali, universali e formali, tratto essenziale della legge moderna. Il parlamento, incarnazione della volonta' generale e dell'universalita' del popolo-nazione di fronte al dispotismo regio, corrispondeva appunto all'istituzionalizzazione della legge come incarnazione della ragione universale. Il controllo del governo e dell'amministrazione da parte del parlamento, lo Stato di diritto e della legge, sembrava consustanziale all'idea di un sistema normativo generale perfetto, legittimato dall'opinione pubblica.
L'intervento economico dello Stato, oggi spettacolare, mette in causa quest'aspetto del sistema giuridico entro sfere sempre piu' importanti. Questo ruolo dello Stato non puo' piu' consistere nella creazione di norme generali, formali, universali, adattate essenzialmente a un impegno dello Stato finalizzato al mantenimento e alla riproduzione delle "condizioni generali" della produzione. Questo ruolo prende a modello regolamentazioni particolari, adattate a tali o a tali altre congiunture, situazioni e interessi precisi. La molteplicita' dei problemi economico-sociali affrontati dallo Stato esige altresi' una concretizzazione sempre piu' decisa di queste norme generali.
Cosi', la distinzione relativa tra potere legislativo e potere esecutivo s'attenua: il potere di fissare ed emanare le regole si sposta verso l'esecutivo e l'amministrazione, spostamento correlativo alle trasforma della natura di tale regolamentazione. La legittimazione, incarnata dal parlamento e che aveva per quadro di riferimento una razionalita' universale, slitta verso una legittimazione dell'ordine fondata su una razionalita' strumentale e sull'efficacia, incarnata dall'esecutivo-amministrazione. Inoltre le leggi generali ed universali che sono ancora emanate dal parlamento, semplici leggi-quadro, non vengono applicate se non dopo avere attraversato un processo di concretizzazione e di particolarizzazione predisposto dall'esecutivo. Mi riferisco al processo dei decreti, delle ordinanze, delle circolari, all'insieme degli aggiuntivi e correttivi stabiliti dall'amministrazione e senza i quali le norme emanate dal parlamento non hanno applicazione giuridica. Che tutto cio' permetta non solo l'ostruzione delle decisioni parlamentari ma anche la loro deformazione e' ormai noto a tutti. Per quello che concerne le proposte di legge, infine, l'iniziativa e' passata praticamente dal parlamento all'esecutivo. I progetti di legge vengono messi a punto direttamente dall'amministrazione. Le leggi non s'inscrivono piu' nella logica formale del sistema giuridico, fondata sull'universalita' della norma e sulla razionalita' della volonta' generale rappresentata dal suo emanatore, ma su un registro diverso, quello della politica economica concreta e quotidiana, incarnata dall'apparato amministrativo.
In ogni modo, il declino del parlamento e il ruolo preponderante dell'esecutivo-amministrazione implicano il declino della legge. Le trasformazioni della natura e della forma della regolamentazione sociale mettono in crisi il monopolio della legge nel sistema normativo.

Ma questa emarginazione della legge non e' dovuta semplicemente all'interventismo economico dello Stato. Essa si ricollega in vario modo alla natura degli interessi economici a beneficio dei quali la generalita' e l'universalita' della legge cedono il posto a una regolamentazione particolaristica. Cio' concerne la concentrazione e la centralizzazione del capitale, ma anche l'egemonia attuale del capitale monopolistico, ossia la larvata instabilita' che la caratterizza nel contesto di una crisi economica strutturale. Solo un rapporto di forze che presenta realmente un certo grado di stabilita' puo' essere giuridicamente regolato come un sistema di norme universali e generali che fissi da se' le regole e i limiti delle sue trasformazioni e che consenta quindi agli attori del gioco la previsione strategica. Mentre invece l'accrescimento delle contraddizioni in seno al blocco al potere determina appunto l'instabilita' egemonica del capitale monopolistico.
Inoltre: le nuove forme che le lotte popolari assumono attualmente, la politicizzazione di tali lotte e la crisi ideologica che investe i diversi apparati-istituzioni (scuola, carceri, magistratura, esercito, polizia, ecc.) conducono a nuove forme di dominio politico e a nuovi processi d'esercizio del potere, indipendenti del resto dalle trasformazioni nella gestione-riproduzione della forza-lavoro. Il controllo sociale, regolato da norme generali e universali che sanciscono la colpevolezza delle azioni e separano i soggetti legali dai fuorilegge, si associa a una regolamentazione individualizzata, ricalcata sulla "mentalita'" (l'intenzione presunta) di ciascun membro di un corpo sociale considerato globalmente sospetto, potenzialmente colpevole. L'internamento generale dei fuorilegge in luoghi di concentramento (carceri, manicomi, ecc.) circoscritti, nella loro materialita', dalle norme universali disciplinari e penali si congiunge e si articola con l'incasellamento della popolazione in circuiti multiformi e diffusi nella trama sociale, controllato da procedure poliziesche-amministrative adattate alle particolarita' di ogni categoria di soggetti: passaggio dall'atto punibile contemplato dalla universalita' e generalita' emanate dal parlamento, al caso sospetto sottoposto a una regolamentazione amministrativa flessibile, malleabile e particolaristica (modificazioni, per esempio, della definizione stessa del delitto politico). Ne consegue che la legge, senza pertanto essere, beninteso, decrepita, funziona ormai quasi in disparte.

Il fenomeno attuale del declino del parlamento e dell'importanza crescente dell'amministrazione statale e' legato a considerevoli trasformazioni nel funzionamento del sistema istituzionale dei partiti politici, nell'ambito e nel ruolo di questi partiti.
Questa trasformazione concerne essenzialmente quelli che potremmo designare come partiti di potere nel senso volgare del termine: quei partiti la cui inclinazione e' di partecipare (e partecipano), secondo una alternanza regolare organicamente fissata e prevista dall'insieme delle istituzioni attuali dello Stato (e non soltanto dalle regole costituzionali), al governo. Tralascio qui la questione della precisa caratterizzazione di classe di questi partiti, e adotto deliberatamente una terminologia piu' neutra, che puo' essere generalmente accolta; proprio per non entrare nella famosa questione di chi "rappresenta realmente" che cosa. Penso nondimeno che questi siano partiti borghesi o piccolo-borghesi, in senso politico: anche se i partiti non sono mai riducibili a una rappresentanza di classe semplice e univoca, la loro natura non si riduce neanche alla loro base elettorale. In ogni modo, questa caratterizzazione di partiti di potere include i partiti socialdemocratici tradizionali (partiti il cui elettorato e' tuttavia in larga parte operaio) cosi' come essi esistono nella maggior parte dei paesi europei, dal laburismo britannico alle socialdemocrazie scandinava o tedesca. Ma la trasformazione, piu' generale questa volta, del sistema dei partiti concerne anche gli altri partiti politici, i partiti comunisti e taluni partiti socialisti europei, specialmente l'attuale Partito socialista francese, sebbene in un senso completamente diverso. Questi ultimi subiscono gli effetti di questa trasformazione e, nella misura in cui fanno parte della sfera istituzionale, ne vengono investiti (come potrebbe essere diversamente?): problema evidentissimo oggi nel caso del Partito comunista italiano.
Per cio' che concerne i partiti di potere, si assiste oggi a un allentamento dei legami di rappresentativita' tra il blocco al potere e questi partiti, che rappresentano sia (e spesso contemporaneamente) talune frazioni di questo blocco, sia delle alleanze fra queste frazioni, sia ancora delle alleanze-compromesso tipiche (piu' o meno dichiarate) di queste frazioni con talune delle classi dominate (tanto talune componenti della classe operaia quanto la piccola borghesia, vecchia e nuova, o le classi contadine: ne e' un esempio classico in Francia la "sintesi repubblicana" espressa dal Partito radicale). Cio' che rinvia al tipo d'egemonia che instaura il capitale monopolistico, massicciamente preponderante, sia sulle altre componenti del blocco al potere che sull'insieme delle classi popolari, in breve al restringimento delle basi politico-sociali del capitale monopolistico. Cio' rinvia anche all'intensificarsi degli elementi generici di crisi politica che portano alla larvata crisi egemonica di questo capitale e dell'insieme della borghesia. Questo allentamento dei legami di rappresentativita', che giunge talvolta quasi alla rottura, accompagna la trasformazione del ruolo istituzionale dei partiti di potere. La accompagna: non ne e' la causa primaria. Sotto certi aspetti, e' la trasformazione del ruolo di questi partiti nel gioco istituzionale che determina la loro crisi di rappresentativita', crisi che a sua volta e dal canto suo non fa che indebolire il loro ruolo istituzionale. Non e' l'amministrazione-burocrazia che dapprima viene a compensare questa crisi dei partiti, ma e' la dislocazione dei partiti dal loro ruolo che la provoca, e che a sua volta accentua il ruolo dell'amministrazione.

L'amministrazione e' diventata da tempo il luogo centrale d'elaborazione dell'equilibrio instabile dei compromessi in seno al blocco al potere, tra questo e le masse popolari. Ma se questo processo spostava il centro di decisione politica, cio' avveniva sempre indirettamente e grazie all'azione preponderante dei partiti all'interno dell'amministrazione in qualita' di vettori principali dei diversi interessi economico-sociali: si prenda il caso tipico della Francia della III e IV Repubblica, in cui si constata allo stesso tempo un accrescimento del ruolo dell'amministrazione statale (falsamente attribuito a un permanere dell'amministrazione di fronte all'instabilita' ministeriale) e un ruolo importante dei partiti politici nella configurazione istituzionale. Cio' che lasciava ancora al parlamento un ruolo non trascurabile di controllo. D'altro canto, il parlamento conservava sempre la funzione d'espressione, in seno allo Stato, degli interessi delle masse popolari mediante i rappresentanti di queste, dunque continuava ad occupare un ruolo proprio nelle procedure di legittimazione. Ora, l'esecutivo e l'amministrazione monopolizzano attualmente il ruolo d'organizzazione e di direzione dello Stato nei riguardi del blocco al potere, quello dell'elaborazione di un interesse politico generale a lungo termine di tale blocco e di riproduzione dell'egemonia; concentrano la legittimazione dello Stato di fronte alle classi dominate. Infine, il ruolo dei partiti di potere non solo rimane in secondo piano, ma si trasforma totalmente. Queste modificazioni hanno effetti considerevoli nell'insieme della struttura statale; esse dipendono da un funzionamento politico della democrazia rappresentativa radicalmente nuovo.
L'evoluzione del parlamento verso cio' che Laski e' stato il primo a definire "camera di registrazione" ha abbastanza attirato l'attenzione fino a questo momento i poteri di controllo, d'esame, di verifica, di proposta, di suggerimento del parlamento sono stati, un po' ovunque, limitati e troncati inesorabilmente. Questa limitazione concerne nello stesso tempo i poteri del parlamento nei riguardi dell'amministrazione in senso proprio e i poteri del parlamento nei riguardi del governo Lo spostamento massiccio, di diritto e soprattutto di fatto, delle responsabilita' di governo dal parlamento ai vertici dell'esecutivo porta con se' la restrizione decisiva dei poteri del parlamento sull'amministrazione, l'autonomizzazione del governo rispetto al parlamento, l'allontanamento dell'amministrazione dalla rappresentanza nazionale. Se l'opposizione, soprattutto quando non si accontenta di essere l'opposizione di sua maesta', e' la prima ad essere colpita, questa limitazione dei poteri colpisce anche i deputati della maggioranza: anche loro sono ridotti al ruolo di subalterni e di semplice massa di manovra del governo.
Ma questa restrizione dei poteri dei rappresentanti del popolo non riguarda soltanto il parlamento. Cio' che caratterizzava finora il funzionamento reale dei meccanismi politici era il tessuto multiforme dei legami organici, benche' extraparlamentari, tra i deputati e l'amministrazione. Facendo leva sul loro potere parlamentare nei riguardi del governo, i deputati intervenivano direttamente presso l'amministrazione attraverso tutta una serie di canali e circuiti codificati, benche' non inscritti nei testi costituzionali. Questi deputati costituivano in un certo senso gli interlocutori validi dell'amministrazione, gli intermediari di rivendicazioni ed interessi particolari, agendo nei suoi riguardi in qualita' di eletti del popolo e come rappresentanti legittimi di quegli interessi in quanto componenti dell'interesse nazionale. Era questa una delle funzioni essenziali, benche' non istituzionalizzata, del sistema rappresentativo. I deputati e i partiti politici non solo rappresentavano il popolo nel parlamento, ma lo rappresentavano anche di fronte alla burocrazia statale a tutti i livelli. I deputati dunque si impegnavano direttamente nella assunzione di decisioni in seno all'amministrazione: l'elaborazione politica era il risultato di un confronto stretto tra l'amministrazione, il governo, i deputati e i partiti politici.
Cio' che caratterizza specialmente la situazione attuale e', insieme al declino del parlamento, la rottura dei legami rappresentativi tra i deputati e l'amministrazione statale. I canali d'accesso dei deputati e dei partiti politici, in quanto rappresentanti legittimi di un "interesse nazionale", alla burocrazia statale si sono quasi totalmente bloccati, essendosi l'amministrazione rinchiusa in una sorta di compartimento stagno. Cio' vale innanzitutto per l'opposizione, ma anche per i deputati della maggioranza, o piuttosto per la maggior parte di loro. I circuiti partiti-deputati-amministrazione si sono spostati ormai quasi esclusivamente ai vertici, sono diventati una sfera riservata dell'esecutivo, dei ministri e dei gabinetti ministeriali. L'accesso dei deputati all'amministrazione e' in generale possibile solo quando questi si presentano in una veste che non sia appunto quella dei rappresentanti nazionali-popolari: quando esprimono interessi particolari e locali (se si tratta di un sindaco per esempio), ma, piu' spesso, quando incarnano direttamente i diversi interessi economici dominanti.

La seconda questione concerne i rapporti tra l'amministrazione e il governo. Naturalmente, specie in Francia, ci si ostina a credere in una sedicente autonomia quasi totale dell'amministrazione di fronte ai vari ministri. Non e' forse risaputo che il potere vero non e' esercitato dal governo ma dai direttori dei ministeri, anzi dai famosi grandi corpi dello Stato, i funzionari usciti da Ecole nationale d'administration gli allievi dell'Ecole polytechnique gli ingegneri del genio civile? Che i ministri non hanno neanche la liberta' di scegliere i loro collaboratori nell'amministrazione? Che il "malfrancese" si e' manifestato di recente nell'impotenza dei ministri gollisti di fronte alla burocrazia statale Poi e' la volta delle battaglie epiche di Edgard Pisani con l'amministrazione del ministero dell'agricoltura, o di Albin Chalandon con il genio civile nel suo ministero delle attrezzature e alloggi.
Quest'immagine cosi' accreditata e' falsa, anche se contiene qualche elemento di verita' Le contraddizioni interne all'esecutivo, che sono tuttavia reali e non si limitano a quelle tra il governo e l'alta amministrazione ma attraversano l'amministrazione da parte a parte, in verita' non sono significative di per se. Non costituiscono una disgiunzione qualunque del sistema politico ma sono un tratto organico dell'assunzione di decisioni I rapporti conflittuali tra il governo e l'amministrazione spesso sono segno di resistenze proprie della struttura dell'apparato statale e dell'organizzazione burocratica, resistenze che si manifestano anche nella rigidita' di tale apparato nei confronti della stessa borghesia. Queste resistenze esprimono d'altronde, a un primo livello, piu' una inadattabilita' generale al cambiamento, propria della forza d'inerzia della burocrazia e del suo orientamento verso lo statu quo, che non una resistenza alla natura concreta della politica governativa, cioe' agli obiettivi del governo{Tra gli altri, E. Suleiman, Les hauts fonctionnaires et la politique, 1976, nonche' i lavori di J. Sallois, M. Cretin, P. Gre'mion, A. Joxe, ecc.}.
Tenuto conto di queste riserve, c'e' un altro elemento importante: lo statalismo autoritario si caratterizza per una manomissione dei vertici dell'esecutivo sull'alta amministrazione e per l'accresciuto controllo politico di questa da parte di quelli. L'autonomizzazione della burocrazia statale rispetto ai parlamentari non ha fatto che rafforzare la subordinazione dei suoi vertici all'esecutivo presidenziale e governativo. Questa evoluzione segue, a seconda dei paesi, vie diverse e, piu' che a una questione di persone, rinvia a una serie di mutamenti istituzionali. Questi mutamenti sono evidenti anche in Francia: dallo sviluppo delle attribuzioni e del ruolo dei gabinetti ministeriali, centri effettivi di direzione e di controllo dell'amministrazione, fino alla creazione di dispositivi interministeriali a tutti i livelli controllati dal governo e dal personale pletorico di Palazzo Matignon e dell'Eliseo, alla disposizione di una serie di reti occulte che scavalcano la gerarchia tradizionale dei funzionari e alla dispersione orizzontale dei centri di decisione politica in seno allo Stato, la subordinazione politica dell'amministrazione ai vertici dello Stato segna una svolta decisiva rispetto alla situazione precedente.
Subordinazione indispensabile ormai: l'amministrazione non e' piu' l'apparato che, con piu' o meno iniziativa o resistenze, era incaricato dell'esecuzione della politica. La burocrazia statale, sotto l'autorita' dei vertici dell'esecutivo, diventa non solo il luogo, ma anche l'attore principale dell'elaborazione della politica statale. Non si ha piu' a che fare con una determinazione dei compromessi politici sulla scena parlamentare, cioe' con l'elaborazione pubblica degli interessi egemonici sotto forma di interesse nazionale. I diversi interessi economici sono ormai direttamente presenti, trascritti, tali e quali, in seno all'amministrazione. Piu' in particolare, l'egemonia massiccia del capitale monopolistico si e' ovunque attuata sotto l'egida dell'amministrazione e dell'esecutivo: in Francia come altrove, la politica monopolistica e' stata negoziata essenzialmente all'esterno del parlamento.
Anche qui, la questione principale non e' quella dell'origine sociale del personale amministrativo, ne' quella di una "e'lite al potere", sostituibile e circolante tra i posti dei manager del grande capitale e la direzione degli affari di Stato. Questo fenomeno non e' che un effetto delle trasformazioni istituzionali e non ha del resto l'importanza che gli viene attribuita. In Francia in particolare, sebbene le grandi scuole (tra le altre l'Ena e l'Ecole polytechnique) siano i vivai del personale dirigente tanto delle grandi imprese quanto dello Stato, questo movimento si produce essenzialmente dallo Stato agli affari privati (il "pantouflage") e raramente nel senso inverso; persino i gabinetti ministeriali sono composti essenzialmente da funzionari distaccati. Si tratta in sostanza della creazione, fortemente ritualizzata, di centri d'espressione diretta dei grandi interessi economici in seno all'amministrazione, le frazioni del capitale e soprattutto i dirigenti delle imprese monopolistiche essendo considerati dall'amministrazione come i suoi interlocutori privilegiati, quando essa stessa si erige a rappresentante legittima degli interessi monopolistici presentandoli come l'incarnazione del "progresso tecnologico", dell'"imperativo industriale", della "potenza economica" e come base della "grandezza nazionale". E' alla amministrazione che spetta, inversamente, la costituzione-presentazione degli interessi monopolistici come "interesse generale" e "nazionale", dunque il ruolo politico-ideologico di organizzazione del capitale monopolistico. Interi settori dell'apparato amministrativo, ministeri come quello dell'industria o direzioni intere del ministero delle finanze in Francia, il commissariato per il piano, ecc., sono organizzati come reti di presenza specifica degli interessi egemonici in seno allo Stato. Questo processo si associa all'istituzionalizzazione di tutta una trama di circuiti informali (comitati commissioni permanenti o provvisorie, gruppi di lavoro, delegazioni varie, cellule di missione) che hanno gli stessi fini.
Cio' non significa tuttavia che le altre frazioni del capitale non abbiano, anch'esse, delle teste di ponte e dei punti d'appoggio in seno all'amministrazione, e che questa non tenga conto delle lotte delle masse popolari. Queste frazioni del capitale sono anch'esse presenti in seno al dispositivo amministrativo sotto forma di interessi economico-corporativi (i diversi "interessi professionali"), e le rivendicazioni popolari principalmente sotto quella dell'espressione sindacale riformista. I sindacati operai "riformisti" sono ormai direttamente inseriti nel dispositivo amministrativo. In questo caso non si tratta piu' dell'integrazione pura e semplice dell'orientamento politico di questi sindacati, che e' tutto sommato cosa vecchia, bensi' della loro quasi-assimilazione nella materialita' istituzionale del dispositivo amministrativo (Svezia, Germania Federale, ecc.). Il che smentisce indubbiamente il loro presunto ruolo di contropoteri equilibranti, tanto celebrato dai sostenitori del neo-liberalismo pluralista.
I primi effetti, quelli piu' evidenti, di questa effettiva svolta istituzionale sono noti. La politica dello Stato si elabora sotto il sigillo del segreto eretto a ragion di Stato permanente, attraverso meccanismi occulti, un regime di procedure amministrative che praticamente sfuggono a qualsiasi controllo dell'opinione pubblica. Il che costituisce una alterazione considerevole dei principi elementari della stessa democrazia rappresentativa borghese. Il principio di pubblicita' viene totalmente messo da parte a beneficio di un principio, istituzionalmente riconosciuto, di segretezza (in Francia, il funzionamento attuale del "segreto professionale" e dell'"obbligo di discrezione professionale"). Ma se il segreto e' indispensabile per la costituzione dell'egemonia monopolistica, non va pero' confuso con un effettivo mutismo dello Stato, che colpirebbe l'insieme dei suoi luoghi (peraltro i vertici dell'esecutivo non sono mai stati cosi' loquaci: vedi i mass media, per esempio). D'altro canto, questo segreto non copre soltanto malversazioni e scandali, e neanche una colonizzazione cospiratrice dell'apparato amministrativo da parte del capitale monopolistico. E' il modo strutturale di funzionamento dell'amministrazione statale (il segreto burocratico) attualmente portato al parossismo. Questo segreto dunque non indica tanto una perversione dell'amministrazione quanto un processo molto piu' inquietante: l'emergenza, come dispositivo dominante dello Stato; e, come centro privilegiato di elaborazione delle decisioni politiche, della burocrazia amministrativa e governativa che, per la sua struttura stessa, incarna per eccellenza la distanza tra dirigenti e diretti e l'impermeabilita' del potere di fronte a un controllo democratico.
Questa situazione ha effetti ben piu' ampi. Tra le istituzioni la burocrazia statale e' stata sempre quella piu' ribelle ai principi della democrazia rappresentativa, se si riconosce che i dispositivi di tale democrazia in ultima analisi furono istituiti proprio per limitare sul piano istituzionale i privilegi dell'amministrazione trasmessi dallo Stato assolutistico. E' questo il significato dello Stato di diritto e della legge come baluardo di fronte al dispotismo della burocrazia, e il significato anche della delimitazione delle liberta' pubbliche e politiche come dispositivi istituzionali di resistenza di fronte all'apparato centrale e permanente dello Stato. La distribuzione dei luoghi del potere e la loro nuova configurazione sotto la forma della democrazia rappresentativa nascono da un'evidenza imposta: l'eteromorfismo tra la burocrazia statale e le esigenze democratiche, idea fondamentale che attraversa, da Rousseau fino a Marx, il pensiero politico moderno. E cio' anche se la borghesia, servendosi della democrazia rappresentativa e identificando i propri interessi con l'espressione democratica, non mirava ad altro che a sottomettere l'apparato centrale dello Stato assolutistico (origine censitaria di tale democrazia).
L'assunzione nell'elaborazione della politica statale di certe rivendicazioni popolari diventa cosi' sempre piu' aleatoria, non solo a causa degli interessi del capitale monopolistico che queste modificazioni favoriscono, ma anche perche' l'apparato amministrativo e' materialmente organizzato in modo da escludere dal suo campo percettivo i bisogni popolari. Ma c'e' di piu': l'incontenibile spostamento del centro di gravita' verso la burocrazia statale implica immancabilmente, per la sua stessa logica e indipendentemente dai progetti governativi, una restrizione considerevole delle liberta' politiche, intese appunto come controllo pubblico dell'attivita' statale. Logica particolare che difficilmente e' controllabile dai vertici dello Stato e che talvolta va ben al di la' del loro disegno politico. Le varie sbavature tendono a diventare quasi dappertutto la regola: non sono piu', in senso forte, l'eccezione a una regola (la legge) posta altrove, bensi' l'espressione della regolamentazione specifica della burocrazia, creatrice ormai legittima della normativita' sociale. Queste sbavature non significano ne' che il potere governativo non riesce a sottomettere l'amministrazione, ne' che esse sono necessariamente teleguidate dai vertici dell'esecutivo: sono la conseguenza ineluttabile delle modificazioni istituzionali e della logica amministrativa-burocratica.
Ne consegue la concentrazione accelerata del potere reale in dispositivi sempre piu' circoscritti e la sua polarizzazione tendenziale attorno ai vertici governativi e amministrativi, l'eliminazione di cio' che rimaneva della separazione, sempre piu' o meno fittizia del resto, dei poteri nello Stato borghese (legislativo, esecutivo, giuridico). Questo processo si sostituisce a una certa distribuzione e suddivisione del potere fra i diversi luoghi statali che caratterizzava la configurazione dello Stato. Si tratta quindi del centralismo politico sempre piu' rafforzato dell'apparato statale, dello spostamento dei luoghi di potere reale verso l'apparato centrale dello Stato a scapito dei luoghi di potere municipali, regionali, ecc., e cio' a dispetto di tutte le riforme decentralizzatrici di tipo tecnico-amministrativo. Queste riforme, oggi necessarie per la borghesia giacche' il centralismo burocratico implica pesantezze intrinseche per essa alquanto fastidiose, non possono indebolire il centralismo politico dell'apparato di Stato. Indirettamente anzi, e grazie a queste riforme decentralizzatrici, il centralismo addirittura si rafforza: prova ne siano le peripezie del decentramento in Francia.
Concentrazione e centralizzazione rafforzate del potere che fanno sentire evidentemente tutto il loro peso sulla restrizione delle liberta' democratiche. Se questo centralismo-concentrazione del potere dipende dalle modificazioni economico-sociali e politiche, dipende altresi' da una logica burocratica propria: lo statalismo genera statalismo, l'autoritarismo genera autoritarismo. Moltiplicano questo processo, ne accelerano il ritmo, modulano il suo tracciato, soprattutto in un paese come la Francia, dove questo tracciato e' impresso nello Stato da moltissimo tempo. Questa logica tuttavia non e' quella della pura e semplice burocratizzazione, ma quella della trasformazione del ruolo politico dell'amministrazione.
Cio' spiega anche la tendenza alla personalizzazione del potere nel capo supremo dell'esecutivo, cioe' il presidenzialismo personalizzato. Contrariamente a tante analisi giuridico-formali-costituzionalistiche, questo fenomeno non corrisponde affatto a una bonapartizzazione del potere, cioe' (secondo un'immagine politica parzialmente inesatta dello stesso bonapartismo) a una detenzione reale del potere da parte di un solo uomo a scapito dei centri di potere governativi-amministrativi. Non corrisponde a una sorta di evanescenza del potere che andrebbe peraltro tutto a beneficio di un potere dispotico e insulare effettivo, anche se i testi costituzionali attribuiscono qua e la' al capo dell'esecutivo quelli che per convenzione si chiamano "poteri esorbitanti". Il presidenzialismo personalizzato funziona piuttosto come punto di focalizzazione dei diversi centri e circuiti amministrativi del potere, come convergenza di questi ultimi verso la parte alta del potere, e corrisponde al ruolo politico attuale del dispositivo amministrativo. Il capo supremo dell'esecutivo e' percio', oggi piu' che nel passato, l'ostaggio dello stesso meccanismo politico-amministrativo che gli assegna in larga parte questo ruolo preponderante.
Accrescimento della concentrazione-centralismo del potere: ma si tratta di un'evoluzione tendenziale, poiche' lo Stato, come del resto avviene per il suo apparato economico, non e' esclusivamente nelle mani del capitale monopolistico. Grosse contraddizioni attraversano lo Stato, e soggiacciono sempre al processo concentrazione-centralizzazione. Inoltre, l'attuale acuirsi delle contraddizioni in seno al blocco al potere accresce anche le contraddizioni in seno allo Stato. Il rafforzamento della concentrazione e del centralismo del potere non corrisponde a una effettiva omogeneizzazione uniforme dello Stato; e' anzi una risposta dello Stato all'accrescimento delle sue contraddizioni interne. Contraddizioni a effetti centripeti e dislocanti e che rinviano anche, anzi soprattutto, alle lotte popolari che lo attraversano. In questo caso insomma, come nel caso dell'apparato economico di Stato, questa evoluzione non deve fare pensare a uno sdoppiamento-dissociazione dello Stato: un super-apparato esclusivamente monopolistico, per di piu' univocamente localizzato nella "centralita'" e i "vertici" dello Stato (concentrazione-centralizzazione monopolistica dello Stato), e un dispositivo decentrato privo di potere, unico rifugio delle altre frazioni del capitale. Se e' vero che la concentrazione-centralizzazione attuale dello Stato corrisponde alla natura dell'egemonia monopolistica, e' vero anche che questa corrispondenza rimanda a dei processi ben piu' complessi. Le contraddizioni tra il capitale monopolistico e le altre frazioni del capitale, tra il blocco al potere e le masse popolari si manifestano nel cuore stesso dello Stato, nella sua centralita' e nei suoi vertici. Queste contraddizioni attraversano necessariamente il punto focale rappresentato dal capo supremo dell'esecutivo: non c'e' un solo presidente, ma piu' presidenti in uno. Le esitazioni, indecisioni o "gaffe" non sono dovute alla psicologia del personaggio, ma a questa situazione. Viceversa, gli studi sui poteri regionali o municipali mostrano che l'egemonia del capitale monopolistico si propaga anche nella periferia dello Stato, processo simultaneo alla disgregazione delle borghesie locali (che fanno parte essenzialmente del capitale non monopolistico) e al declino del potere dei diversi notabili di fronte all'amministrazione statale.
L'amministrazione tende dunque a monopolizzare il ruolo d'organizzazione politica delle classi sociali e dell'egemonia, cio' che va di pari passo con la trasformazione dei partiti di potere (ivi compresi, in molti paesi, i partiti socialdemocratici). Tali partiti, piu' che luoghi di formulazione politica e d'elaborazione dei compromessi e delle alleanze sulla base di programmi piu' o meno precisi, piu' che organismi che mantengono effettivi legami di rappresentativita' con le classi sociali, sono ormai vere e proprie cinghie di trasmissione delle decisioni dell'esecutivo. Mentre prima, anche nelle fasi precedenti del capitalismo monopolistico e nelle forme statali corrispondenti, i partiti, il cui ruolo politico reale era gia' in declino, continuavano ad essere nondimeno reti essenziali di formazione dell'ideologia politica e del consenso. La legittimazione ora si sposta verso i circuiti plebiscitari e puramente manipolatori (mass media) dominati dall'amministrazione e dall'esecutivo.
Cio' incide sull'organizzazione dei partiti di potere. Anche se la democrazia interna e il controllo della base sulle cerchie dirigenti di questi partiti non sono mai stati che un'illusione, anche se la legge ferrea della burocratizzazione, espressione della distanza politica piu' generale tra dirigenti e diretti, era un loro tratto congenito, questi partiti continuavano tuttavia a funzionare come canali di circolazione delle informazioni e delle rivendicazioni che, giunte dalla base ed elaborate politicamente al loro interno, raggiungevano i centri dirigenti dello Stato. Conservavano cosi' in senso verticale un flusso organico d'influenze reciproche: tutto cio' viene oggi completamente scavalcato dalle reti e dalle tecniche amministrative (inchieste, sondaggi, informazioni generali, marketing politico). Questi partiti diventano semplici canali di divulgazione e di propaganda di una politica statale in larga misura decisa al di fuori di essi. L'elezione dei loro deputati consiste essenzialmente in un'investitura accordata dal vertice, la cui qualita' di vertice dei partiti e' funzione del suo inserimento nei circuiti governativi.
Non solo la distanza tra i vertici e i militanti, aderenti o simpatizzanti di questi partiti non e' mai stata cosi' grande, ma si restringe considerevolmente anche il ventaglio delle scelte politiche offerte ai cittadini dai partiti stessi; tratto significativo della famosa alternanza bipartitica propria della maggior parte delle democrazie occidentali (Stati Uniti, Germania Federale, ecc.). E' vero che neanche prima questi partiti offrivano alternative politiche reali alla riproduzione del capitalismo, ma almeno permettevano di scegliere fra centri d'elaborazione della politica borghese diversi. Le loro divergenze si riducono oggi ai vari modi in cui ciascuno di essi divulga tale o talaltro aspetto della politica dell'amministrazione e dell'esecutivo; e alla propaganda, diversificata a seconda delle classi alle quali questi partiti si rivolgono, della stessa politica dell'amministrazione e dell'esecutivo. E' questa la famosa "disideologizzazione" di tali partiti, la scomparsa dei loro tratti ideologici distintivi e la loro trasformazione in partiti "acchiappatutto". Cio' non vuol dire tuttavia che le differenze tra questi partiti sono ormai diventate puramente fittizie (se non e' zuppa e' pan bagnato). Le differenze tra Re'publicains inde'pendants e Rassemblement pour la re'publique in Francia, quella tra democrazia cristiana e socialdemocrazia in Germania, quelle tra Partito democratico e Partito repubblicano negli Stati Uniti corrispondono in realta' a reali contraddizioni fra le frazioni del blocco al potere, per cio' che riguarda i loro interessi specifici e le varianti della politica preconizzata nei confronti delle masse popolari. Ma questi partiti non sono piu' i reali luoghi di mediazione di tali contraddizioni. Sono piuttosto casse di risonanza di contraddizioni in atto altrove: nell'amministrazione e nell'esecutivo. Cio' e' evidentissimo nell'attuale funzionamento delle componenti della maggioranza presidenziale in Francia.
Trasformazione dei partiti di potere; trasformazione del loro personale: da rappresentanti delle classi presso i vertici dello Stato in rappresentanti e plenipotenziari, anzi in missi dominici, dello Stato presso le classi; trasformazione nello stesso senso del parlamento e del ruolo dei deputati. Queste evoluzioni corrispondono alla trasformazione della democrazia rappresentativa in statalismo autoritario. Tanto e' vero che il ruolo organico assolto prima dai partiti politici e' stato un elemento essenziale del funzionamento della democrazia rappresentativa: lo dimostrano la profonda diffidenza della borghesia e dell'apparato centrale dello Stato nei loro confronti (persino nei confronti dei partiti borghesi e piccolo-borghesi) e il fatto che il riconoscimento ufficiale e costituzionale della loro esistenza e' arrivato alquanto tardi (in Francia nel 1945). Il sistema rappresentativo dei partiti politici e' stato sempre, parallelamente certo alle lotte popolari dirette, uno dei dispositivi essenziali (per quanto monco) di un controllo (per quanto limitato) dell'attivita' dello Stato da parte dei cittadini e la garanzia (per quanto relativa) delle liberta'. L'oscillazione, in seno allo Stato moderno, tra l'estensione e la restrizione, il mantenimento e la soppressione delle liberta' politiche e' stata sempre funzione diretta dell'esistenza e del ruolo dei partiti. I fascismi, le dittature militari o i bonapartismi non hanno soppresso unicamente i partiti operai o rivoluzionari, bensi' l'insieme dei partiti democratici tradizionali, compresi i partiti borghesi e piccolo-borghesi, nella misura in cui questi, parallelamente alle loro funzioni di classe, esprimevano la presenza al loro interno di talune rivendicazioni delle masse popolari di cui non potevano non tener conto. Quindi il correlato assoluto del mantenimento della democrazia rappresentativa e delle liberta' e' il sistema stesso dei partiti, non solo di una pluralita' di partiti ma di partiti che funzionano in modo organico e relativamente a distanza dall'apparato amministrativo centrale dello Stato. La sovversione attuale di questo funzionamento, spesso mascherata dalla permanenza di un pluralismo di partiti, condiziona la restrizione delle liberta' nello statalismo autoritario.
Tanto piu' che si tratta, beninteso, di trasformazioni del sistema politico dei partiti ben piu' generali: esse riguardano il rapporto di tutti i partiti con l'amministrazione statale. In particolare, i partiti che si situavano al di fuori della cerchia del potere hanno mantenuto, fin qui, non solo un ruolo di controllo parlamentare, ma anche la famosa funzione tribunizia di rappresentanti delle masse popolari di fronte all'amministrazione statale. Funzione che e' anch'essa messa radicalmente in causa: quanti deputati socialisti, per non parlare dei deputati comunisti, hanno oggi realmente accesso, almeno nella loro veste di rappresentanti del popolo, all'amministrazione in Francia? Lo statalismo autoritario non lascia ai partiti la possibilita' di scegliere: o devono subordinarsi all'amministrazione statale, oppure devono rinunciare ad accedervi. I cittadini sono costretti a un confronto diretto con l'amministrazione, e non c'e' da stupirsi se essi, al di la' del voto, in genere si allontanano dai partiti che dovrebbero rappresentarli in seno all'amministrazione statale. Che questa situazione, oltre alla restrizione considerevole delle liberta' che di per se' implica, crei le condizioni di una eventuale bonapartizzazione del potere, e' cosa abbastanza risaputa.

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