20.12.04

3. Il partito dominante di massa

Le modificazioni attuali dello Stato implicano infine l'esistenza e il ruolo particolare di un partito dominante di massa, partito statale per eccellenza. Ruolo che, nel caso dell'alternanza bipartitica, spetta successivamente all'uno o all'altro partito. Contrariamente a certe analisi superficiali, questa alternanza non modifica affatto il fenomeno attuale del partito statale dominante, strutturalmente necessario al funzionamento dello statalismo autoritario. La permanenza ventennale del gollismo in Francia non e' la causa principale dello "Stato-Udr", sebbene abbia contribuito ad accentuare il fenomeno.
La devoluzione dall'organizzazione politica dei partiti all'amministrazione-esecutivo non e' un passaggio semplice. La permutazione delle funzioni fra i diversi apparati di Stato si scontra sempre con ostacoli derivanti dalla loro materialita' specifica, in questo caso da quella dell'amministrazione statale. L amministrazione, anche se, come negli Stati Uniti, presenta un'instabilita' dei suoi alti funzionari, sostituiti in blocco in caso di modificazioni governative, incarna per eccellenza la continuita' dello Stato borghese ed e' contrassegnata da rigidita' e resistenze. Il piu' delle volte e' sottomessa a regole statutarie (di diritto o di fatto) di permanenza e di centralismo gerarchico dipendenti dalla divisione sociale del lavoro al suo interno. E' cementata da una ideologia particolare (sia essa quella repubblicana tradizionale dell'interesse generale o quella neo-tecnocratica dell'efficienza) e presenta anche, riprodotte per cooptazione, divisioni e segmentazioni in clan, consorterie, fazioni (i grandi corpi dello Stato in Francia, per esempio), essendo ciascuno di questi gruppi caratterizzato da una logica propria. Cio' pone notevoli problemi, soprattutto nella misura in cui il regime delle procedure amministrative si erige a dispositivo privilegiato d'organizzazione dell'egemonia in un quadro che conserva, come nel caso dello statalismo autoritario attuale, una realta' democratica. Il ruolo attuale dell'amministrazione non corrisponde affatto, come spesso si afferma, a un neo-corporativismo. I diversi interessi si esprimono in seno all'amministrazione in maniera specifica e richiedono un'elaborazione politica. Il funzionamento di uno Stato corporativo, forma d'eccezione dello Stato borghese (fascismi specialmente), rientra in una categoria diversa. Nel caso del corporativismo statale, l'amministrazione burocratica, rete centrale delle istituzioni corporative, non ha del resto mai assolto il ruolo politico dominante (cio' non e' accaduto ne' nel caso dei fascismi ne' nel caso delle dittature militari di tipo corporativo), giacche' queste forme di Stato hanno sempre avuto a disposizione un apparato politico (partiti fascisti, esercito, polizia politica) distinto dall'amministrazione corporativizzata.
La trasformazione dell'amministrazione in partito politico reale dell'insieme della borghesia, sotto l'egemonia del capitale monopolistico, in un quadro democratico, non e' dunque un processo di generazione spontanea e si scontra con dei limiti. Nasce cosi' la necessita' di un partito statale dominante che assolva una funzione supplementare a quella di cinghia di trasmissione alla base delle decisioni burocratiche: la funzione di unificare e omogeneizzare l'amministrazione statale, di controllare e promuovere (nella direzione della politica governativa generale) la coerenza fra le sue diverse branche e sottoapparati in senso orizzontale (inter-branche) e insieme verticale (apparato centrale, apparati regionali), di assicurare la sua fedelta' ai vertici dell'esecutivo. Unificazione e coesione assolutamente indispensabili alla funzione politica che l'amministrazione assolve ormai da sola: questo partito dominante assume il ruolo di polizia (in senso lato) dell'internazionalizzazione [???] amministrazione, di sorvegliante e garante dell'apparato burocratico. Senza questo partito, tale ruolo devoluto parallelamente alle alte sfere governative dell'esecutivo puo' essere assolto solo parzialmente. Il loro controllo politico-amministrativo dall'alto si scontrera' costantemente con le resistenze multiformi della burocrazia statale. Le misure disciplinari e i richiami all'ordine nell'amministrazione, sebbene siano in aumento attualmente (il caso del Berufsverbot in Germania, per quanto estremo ed esemplare, non e' affatto eccezionale: si veda al riguardo la situazione della Francia), si scontrano d'altro canto con le resistenze dei sindacati e dell'opinione pubblica. Questo partito statale dominante funziona dunque parallelamente come rete di stretta subordinazione politica dell'insieme amministrativo ai vertici dell'esecutivo. Ruolo che non puo' essere praticamente assolto se non da un partito dominante, fortemente unificato e strutturato al suo interno. Un ruolo del genere "equamente" ripartito fra piu' partiti non farebbe che accrescere i vizi a cui appunto occorre porre rimedio.
Questo partito dominante deve essere a sua volta rigorosamente controllato dai vertici dell'esecutivo (il presidente, il primo ministro), sia che questi vertici si siano elevati a tale posto perche' controllavano e disponevano gia' di un partito del genere, sia che riescano a controllarlo perche' sono, o sono diventati, le alte sfere dello Stato. E' facile riconoscere sotto questo aspetto lo sviluppo della politica gollista, da De Gaulle fino a Pompidou, rispetto al partito-movimento gollista (che non deve essere un partito come quelli di una volta � movimento � ma che, nondimeno...) e anche i problemi incontrati da Giscard d'Estaing di fronte a Chirac e all'Union pour la de'fense de la re'publique (Udr), dopo che il primo non e' riuscito ne' a erigere i repubblicani indipendenti a partito statale dominante, ne' a controllare il partito gollista. Problemi che, per quanto minori possano sembrare a prima vista quanto alla loro pertinenza politica (di classe), hanno tuttavia portato alla crisi istituzionale che conosciamo.
Il ruolo principale di questo partito dunque non e' di rappresentare di fronte all'amministrazione gli interessi del grande capitale: cio' avviene ormai direttamente. L'egemonia in seno allo Stato del capitale monopolistico, in Francia per esempio, non e' una conseguenza dello "Stato-Udr", di una Udr che, in quanto strumento del grande capitale, avrebbe colonizzato una amministrazione neutrale. E' piuttosto l'affarismo di questo partito ad essere una delle conseguenze del suo ruolo piu' generale di commissario dell'amministrazione, a dispetto di coloro che si compiacciono di contrapporre la neutralita' virginea degli alti funzionari alla corruzione dei politicanti borghesi. Questo partito puo' assolvere il suo ruolo solo in quanto e' direttamente presente (partito di Stato) in seno all'amministrazione: ma non e' questa presenza in quanto tale che in primo luogo politicizza l'amministrazione. Questa presenza in un certo senso e' l'effetto del ruolo politico ormai devoluto all'amministrazione statale, effetto che, a sua volta, amplifica la politicizzazione. Incaricata ormai del ruolo d'organizzazione dell'egemonia, costretta a scontrassi direttamente con gli interessi economico-sociali che essa deve mediare politicamente, l'amministrazione statale riesce sempre meno a operare la distinzione fittizia tra decisioni amministrative e decisioni politiche. Si politicizza ormai in modo aperto e massiccio: con aonon si vuol sottintendere che sia mai stata realmente neutrale, ma che i centri decisionali sono ormai riposti all'interno dei suoi circuiti. Parallelamente, il partito dominante investe l'alta amministrazione, vi fa avanzare le sue pedine, monopolizza i posti di comando peri suoi aderenti o simpatizzanti, espelle o neutralizza i recalcitranti su dei binari morti, rompe la gerarchia tradizionale del corpo dei funzionari, modifica e riadatta le istituzioni statali per utilizzarle meglio. Questo processo d'altronde non si attua tanto sotto la direzione dei suoi eletti e dei suoi deputati, o perlomeno nella loro qualita' di eletti e di deputati, ma piuttosto sotto la direzione dei diversi baroni e responsabili che controllano il partito.
Processo a doppio senso: a causa della politicizzazione diretta dell'amministrazione, da una parte sono i funzionari stessi che si polarizzano attorno al partito dominante, dall'altra e' quest'ultimo che fa avanzare i suoi uomini di fiducia nell'amministrazione. Si tratta di una vera osmosi reciproca e a doppio senso, inscritta ormai nella materialita' istituzionale, tra l'apparato statale e il partito dominante. La cerchia dirigente di questo partito e il governo sempre di piu' abbracciano dei membri della funzione pubblica: in Francia questo fenomeno e impressionante.
Ne deriva una serie di conseguenze: il blocco nella circolazione del personale politico; la costituzione di tutta una serie di interessi corporativi multiformi fondata sull'occupazione dei posti, la distribuzione delle prebende statali, il dirottamento di fondi pubblici a fini di partito, la sovrapposizione di influenza tra il partito dominante e lo Stato, l'affarismo del partito dominante. Tratti che hanno sempre caratterizzato lo Stato borghese ma che assumono attualmente dimensioni prodigiose. Fenomeni secondari certo, ma che moltiplicano considerevolmente le resistenze dello Stato-partito dominante di fronte alle alternative democratiche: la perdita del potere governativo significa, a parte i danni eventuali per le classi dominanti, la perdita di tutta una serie di privilegi materiali, ma anche il pericolo della disintegrazione per un partito la cui importanza dipende precisamente dal suo ruolo nello Stato.
Insisto nel dire che questa situazione solo in via accessoria e' dovuta a un lungo periodo di non-alternanza governativa (Udr in Francia, Democrazia cristiana per diverso tempo in Germania e ancora fino ad oggi in Italia). Il funzionamento di un partito dominante trascende tale alternanza, trattandosi spesso in questo caso di un'alternanza tra partiti dominanti Si constata d'altro canto, nel caso di un'alternanza bipartitica piu' o meno regolare (Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania Federale), la creazione di vere e proprie reti interpartitiche, la cristallizzazione di una trama permanente di circuiti nati dalla combinazione di forze personali e dispositivi appartenenti ai due partiti dominanti e che funzionano in un certo senso come nucleo di partito unico, nucleo riposto nell'apparato centrale dello Stato. Questo nucleo di partito unico, effettivo, va al di la' dei puri e semplici rapporti interpersonali tra membri di una stessa "e'lite al potere", messi in risalto da taluni autori perspicaci, Wright Mills specialmente {Wright Mills, L'e'lite del potere, Milano, Feltrinelli,1973 (3. ed.); si veda anche R. Miliband, Lo Stato nella societa' capitalistica, Bari, Laterza, 1974 (3. ed.), e, piu' di recente, P. Birnbaum, Les summet de l'Etat, 1977}, per spiegare questo fenomeno emergente. Esso e' ancorato ormai alla materialita' dei dispositivi dei partiti di potere dominanti articolata su quella, nuova, dell'apparato di Stato. Nucleo di partito unico che assolve allora il medesimo ruolo di controllo generale dell'amministrazione ma nei confronti degli altri: non solo nei confronti di coloro che rappresentano una reale alternativa politica, ma nei confronti di chiunque altro osi, anche minimamente, sottrarsi all'influenza di tale nucleo. Quanto basta per diventare pericolosi rivoluzionari: questo nucleo di partito unico trova la sua identita' soltanto erigendo l'altro a nemico.
Di conseguenza sarebbe completamente sbagliato ridurre questo fenomeno alla questione, tutto sommato abbastanza vecchia, della mancanza d'alternativa politica reale attraverso i diversi partiti di potere, senza andare oltre la critica tradizionale della "formalita'" del sistema pluralistico. Questa situazione non limita il gioco democratico solo perche' si restringe il ventaglio delle scelte politiche offerte ai cittadini. Al di la' dell'alternativa, c'e' anche la questione, certamente piu' prosaica, dell'alternanza. Questa alternanza prima esisteva, anche se non implicava alternative politiche. Ma di quale alternanza si puo' parlare oggi, se l'interscambiabilita' del personale governativo dei partiti di potere dominanti s'inscrive spesso nella rete di partito unico di tipo nuovo che sembra si stia consolidando un po' ovunque, proprio nei casi del bipartitismo dei paesi occidentali? Che questa situazione ponga rigorose restrizioni al controllo democratico piu' elementare, che, per quanto limitato, prima esisteva anche nei casi d'assenza d'alternativa chi avrebbe il coraggio di negarlo se non i cantori desueti della democrazia liberale avanzata, Raymond Aron compreso? I quali deplorano che in Francia, a causa dell'internazionalizzazione alternativa rappresentata dall'Union de la gauche, non ci sia possibilita' d'alternanza: come se, la' dove questa alternativa attualmente non esiste, ci si trovasse di fronte a chissa' quale reale alternanza. Certo, l'ho detto e lo ripeto, lo statalismo autoritario attuale non e' un totalitarismo mascherato, cioe' un regime a partito unico autentico. Tuttavia l'istituzionalizzazione di questo nucleo di partito unico, in un quadro certamente democratico, ci da' gia' un'idea della portata delle trasformazioni di questa democrazia.
Torniamo all'osmosi, ormai strutturale, tra lo Stato e un partito dominante di massa: se la ragione essenziale va ricercata nel controllo politico dell'amministrazione, ce ne sono altre che rientrano, questa volta, nel campo delle procedure di legittimazione, cio' che permette di comprendere perche' si ha a che fare qui con un partito di massa. I dispositivi di sollecitazione del consenso si spostano dai partiti politici e, del resto, dagli altri apparati specializzati fino a questo momento in questa funzione (scuola, apparato culturale, famiglia) verso l'amministrazione statale. Cio' implica modificazioni considerevoli sia del contenuto dell'ideologia dominante, sia delle modalita' della sua riproduzione e del suo inculcamento. Ma anche qui questo spostamento si scontra con i limiti derivanti dalla materialita' della rete amministrativa (materialita' fondata sulla sua "separazione" tipica dalle masse popolari) e dalla specificita' dei meccanismi ideologici. Di qui la necessita' di un partito dominante di massa che funzioni non come luogo d'elaborazione di questa ideologia, ma come commutatore-veicolo dell'ideologia statale verso le masse popolari e appendice della legittimazione plebiscitaria dell'amministrazione statale e dell'esecutivo. Ruolo che solo in parte puo' essere assolto dalla personalizzazione carismatica dei vertici dello Stato e dai mass media.
E' chiaro dunque che questa osmosi organica Stato-partito dominante di massa, anche quando non conduca al consolidamento del nucleo di partito unico, induce considerevoli trasformazioni istituzionali, che vanno appunto nel senso del declino della democrazia rappresentativa e delle liberta'.
Ma questa situazione comporta anche dei pericoli per la sinistra nell'eventualita' di un suo accesso al potere, specialmente in Francia. Certo, non si tratta assolutamente di assimilare, nel caso francese o altrove, i partiti di sinistra e i partiti di potere della maggioranza. Ne' si tratta di fare il processo alle intenzioni ai partiti della sinistra: e' esattamente il contrario. Esattamente il contrario, ripeto, perche' si tratta qui dell'osmosi strutturale, tracciata nella materialita' dello Stato attuale, tra l'apparato statale e un partito dominante di massa. L'ambito e il ruolo di un partito del genere sono in un certo senso inscritti nella realta' istituzionale. Il rischio che si corre dunque, se lo Stato non viene radicalmente trasformato dalla sinistra al potere, e indipendentemente dalle intenzioni dei partiti di sinistra e' che uno di tali partiti sia spinto, dalla forza delle cose come si dice, ad occupare il posto di partito dominante di massa. Con il rischio ulteriore di protrarre la situazione nella quale si trovano oggi i diritti delle diverse opposizioni, da qualunque parte emergano.
Sembra che questa situazione oggettiva riguardi in Francia, essenzialmente e innanzitutto il partito socialista: e cio' non perche' esso, in quanto tale e nel suo complesso conserverebbe la macchia originale e indelebile della "collaborazione di classe", ma per motivi istituzionali evidenti (atteggiamento dell'amministrazione nei suoi confronti, insediamento nelle reti municipali e regionali, peso del suo dispositivo elettorale e dei suoi deputati, ecc.). Sia chiaro: il problema non e' di stabilire se il partito socialista debba contare piu' del partito comunista o viceversa. Quello che qui ci interessa va al di 1a' della discussione sull'"equilibramento" delle forze in seno alla sinistra. Il problema e': come evitare il pericolo che il partito socialista vada ad occupare lo spazio e il ruolo di un partito dominante di massa? Pericolo di cui taluni dei suoi dirigenti, del resto, sembrano coscienti. Certo, uno "Stato-Psf" non sarebbe analogo a uno "Stato-Udr". Ma la situazione istituzionale di un partito dominante di massa comporta di per se', e al di la' della natura del partito che occupa questo spazio, una restrizione del controllo democratico e delle liberta'. C'e' il pericolo che la democratizzazione dello Stato, le misure previste dalla sinistra specialmente per il rinnovamento del ruolo proprio dei partiti nell'esercizio della democrazia, restino lettera morta.
In ogni modo, non bisogna illudersi: lo statalismo autoritario implica considerevoli trasformazioni della democrazia. Queste trasformazioni si riassumono nella rafforzata esclusione delle masse dai centri di decisione politica, la separazione e la distanza accentuata tra apparati di Stato e cittadini nel momento stesso in cui lo Stato tuttavia invade l'insieme della vita sociale, il centralismo statale che raggiunge livelli senza precedenti, i tentativi di irreggimentazione allargata delle masse tramite i processi di "partecipazione", in breve l'accresciuto autoritarismo dei meccanismi politici. Questo autoritarismo non concerne solo l'amministrazione burocratica e, quindi, l'insieme degli apparati di Stato, ne' consiste semplicemente in un aumento della repressione fisica organizzata o in un rafforzamento della manipolazione ideologica. Si manifesta decisamente nella introduzione di nuove tecniche di potere, nella messa a punto di una serie di pratiche, di canali, di supporti che mirano a creare una nuova materialita' del corpo sociale sul quale s'esercita il potere. Materialita' che differisce considerevolmente da quella del corpo politico nazionale-popolare degli individui-cittadini liberi ed eguali dinanzi alla legge, da quella della dissociazione istituzionalizzata tra il pubblico e il privato, fondamento della democrazia rappresentativa tradizionale.
Questa nuova matrice d'esercizio del potere, ancorata agli stessi processi che condizionano il nuovo ruolo dell'amministrazione-burocrazia statale, riposta nel nucleo principale ed esemplare dell'amministrazione, si irradia e si propaga in tutte le sfere della vita sociale. Essa va ben al di la' dei soli apparati di Stato (anche concependo, come e' necessario, lo spazio dello Stato in maniera ampia) nei quali tuttavia essa per eccellenza si elabora. Al di la' di una statalizzazione della vita sociale, ma innestandosi e appoggiandosi su tale statalizzazione, del resto ben reale e crescente, una nuova modulazione statalistico-autoritaria d'esercizio del potere s'erige a reale codice generale nel quale s'inscrive il funzionamento del potere nel complesso delle relazioni e rapporti sociali. Se non si tratta qui di una semplice moltiplicazione analogica, per mimetismo, di un "modello" d'esercizio statale del potere nei dispositivi extra-statali (cio' che si sarebbe tentati di pensare se si considerasse lo Stato come fondamento primo e fonte esclusiva di qualsiasi potere), non si tratta neppure di un archetipo-diagramma che governa, in modo immanente a ogni potere, micropoteri molecolari nei quali lo Stato si dissolverebbe. Si tratta, in definitiva, della matrice di nuove forme di divisione sociale del lavoro, presente certo, come stampo originario, nei diversi rapporti sociali ma che, attualmente, s'elabora e si riutilizza innanzitutto nel dispositivo amministrativo dello Stato verso cui convergono i rapporti sociali. Ogni potere attuale e' orientato verso lo statalismo autoritario.
Se lo statalismo autoritario si distingue dunque dal totalitarismo, se non puo' identificarsi con un fascismo di tipo nuovo o con un processo di fascistizzazione, si distingue anche dalle precedenti forme democratiche dello Stato. Esso non comprende in se' puramente e semplicemente germi o elementi diffusi di fascistizzazione, ma cristallizza il loro concatenamento organico in un dispositivo permanente e parallelo allo Stato ufficiale. Dispositivo che non e' solo tenuto a disposizione dalle classi dominanti, ma s'interseca in permanenza con lo Stato ufficiale nel funzionamento e nell'esercizio quotidiano del potere. Gli esempi abbondano: lo sdoppiamento e la dislocazione di ogni branca e apparato di Stato (esercito, polizia, giustizia, ecc.), da un lato reti formali e apparenti, dall'altro nuclei strettamente controllati dai vertici dell'esecutivo, e lo spostamento costante dei centri di potere reale dalle prime ai secondi: meccanismo implicato nel ruolo attuale dell'amministrazione, sorvegliato e assicurato dal partito dominante; lo sviluppo massiccio, direttamente orchestrato dalle alte sfere dello Stato e in osmosi con il partito dominante, di reti statali parallele, pubbliche, semipubbliche e parapubbliche, che hanno la funzione di cementare, di unificare e di controllare i nuclei dell'apparato di Stato (in Francia, il Service d'action civique, le polizie parallele, ecc.). Si potrebbe facilmente (anche troppo) allungare l'elenco.
In questa trasformazione infine si inscrivono oggi le modificazioni dello Stato sotto il suo aspetto di Stato nazionale. Altrove ho dimostrato che lo Stato nazionale continua ad avere sempre una sua pertinenza, contro tutta una corrente che vede nell'internazionalizzazione attuale del capitale il decadimento puro e semplice degli Stati nazionali in Europa di fronte alle societa' multinazionali, al super-Stato americano o al super-Stato dell'Europa unita. Nondimeno esso presenta a tal proposito modificazioni importanti, su cui non mi soffermero' se non per sottolineare che le modificazioni in questione non sono direttamente dovute a fattori esterni (alle "pressioni" degli altri Stati su ogni Stato nazionale). Questi fattori agiscono su ogni Stato nazionale solo se interiorizzati, inscritti nelle sue trasformazioni specifiche. E' sotto tali trasformazioni che ha luogo, oggi, l'arretramento della sovranita' nazionale, non solo nella politica dei governi europei, ma nella materialita' istituzionale dei diversi Stati. E' innanzitutto in questo Stato parallelo, in questa trama politico-amministrativa profonda, che prendono corpo le reti trans-statali, dalla "cooperazione" delle polizie e dei centri d'informazione fino alle varie procedure trans-nazionali di presa di decisione: le istituzioni internazionali ufficiali sono solo la punta dell'iceberg. Difficilmente potrei essere tacciato di fantapolitica, ma come non fantasticare su questo nucleo di partito unico in una dimensione internazionale? La famosa "commissione trilaterale" ne e' forse la prefigurazione.

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