17.6.05

Per una storia di Classe Operaia (colloquio con Rita di Leo)

BAILAMME n°26
a cura di Giuseppe Trotta

Come hai conosciuto Panzieri?

Ho conosciuto Raniero Panzieri tramite Carlo Levi con cui ero in contatto per la mia ricerca sui braccianti pugliesi ; giravo da mesi per i paesi vicini alla città di Foggia, dove avevo appena finito di frequentare la terza liceo; ero andata a Cerignola, il paese di Di Vittorio, e avevo scritto un primo capitolo sui braccianti e il partito, molto polemico nei confronti del PCI, e l'avevo portato a Carlo Levi, il quale se ne era innamorato. In quel periodo, 1959/60, Levi aveva un rapporto molto stretto con Giulio Einaudi, e tra l'altro aveva caldeggiato l'entrata di Raniero nella casa editrice torinese. Nel maggio del 1959 andai a Torino, all'Einaudi, su invito di Raniero.

Lui si mostrò molto interessato al mio lavoro (credo soltanto perchè criticavo il PCI) e mi incoraggiò a continuare, dandomi appuntamento a Roma, dove tornava di frequente, con la promessa di farmi conoscere tre persone interessantissime: Mario Tronti, che egli in quell'occasione definì 'una specie di Marx italiano', e sul cui essere comunista Raniero, una tantum sorvolava - proprio perché si trattava di Mario -; lo storico Umberto Coldagelli, laureatosi con Chabod; Paolo Santi, che Raniero mi descrisse come un 'fissato per Rosa Luxembourg'.

Quando venne a Roma, Raniero mi telefonò e mi diede appuntamento a Piazza Esedra, dove c'era un famoso caffè, che si chiamava Gran Caffè Italia o Gran Caffè Esedra sotto i portici. Arrivai in anticipo, mentre Panzieri era naturalmente in ritardo, arrivava sempre in ritardo. Nella piazza, accanto ad una colonna, c'era un gruppetto di tre giovanotti in attesa; io stavo accanto all'altra colonna, finchè, finalmente, arrivò Raniero, e questo ci riunì. Il gruppetto era formato da Mario Tronti, Umberto Coldagelli ed Alberto Asor Rosa; non c'era Paolo Santi, conosciuto successivamente.

Siamo andati a mangiare in uno di quei posti preferiti da Raniero dove andavamo solitamente, (uno era al ghetto, l'altro ai dorotei, il terzo ai treni..). Raniero venne all'incontro già con l'idea di fare i QR, e così, ci demmo appuntamento a casa mia per parlare della rivista.

La volta successiva ci incontrammo, dunque, a casa mia, dove ci siamo poi riuniti quasi sempre perché vi vivevo solo con mia sorella. La casa era a Piazza Trento, e fu lì che, per la prima volta, parlammo del nome da dare alla rivista ... Discutemmo a lungo ...

I Quaderni Rossi questo accade..

Nei primi mesi del 1960. Lo posso ricostruire benissimo perchè sono andata ad abitare nella casa di Piazza Trento nel gennaio del 1960, ed è avvenuta lì questa riunione. Ricordo benissimo che quando Panzieri pronunziò per la prima volta il nome Quaderni rossi, lo fece in tedesco riferendosi all'illustre precedente. Ci fu un po' di discussione in merito, soprattutto tra Mario e Raniero, mentre gli altri si bevevano semplicemente Panzieri e basta... Ricordo che a questa discussione partecipammo solo noi quattro, mentre in una successiva c'era anche Paolo Santi. Poi le cose andarono avanti un po' a Roma e un po' a Torino.
Ricordo la prima riunione costitutiva del gruppo QR, quando vennero dal nord, cioè da Torino e da Milano, Vittorio Rieser, Romano Alquati e Claudio Greppi. Giovanni Mottura non partecipò al primo incontro, né vi prese parte Dario Lanzardo, che ci lasciava perplessi, perchè faceva una lettura tradizionale di Marx. Credo ci fosse anche Pierluigi Gasparotto, piuttosto che Romolo Gobbi.. Forse era l'estate del 1960: dico questo perchè noi ci vedemmo nella terrazza della casa di Piazza Trento, e dunque era primavera o estate.
Ricordi come si formò il gruppo torinese?
Te lo posso raccontare attraverso Aris Accornero. Nel 1959, poco tempo prima dall'arrivo di Raniero a Torino, ci fu uno sciopero, il primo cui parteciparono gli studenti, nel senso che gli studenti andarono dinanzi alle fabbriche con l'intenzione di aver rapporti con gli operai. Ci furono dei contrasti con i fascisti e una retata della polizia. In questa occasione Aris venne fermato, insieme a Vittorio Rieser e Gianni Vattimo, e vennero portati al Commissariato, dove andarono a trovarli Raniero e Gianni Alasia. Era la prima volta in assoluto che studenti venivano fermati per questioni sindacali; oltre a loro era poi stato fermato anche Aris, giovane giornalista dell'Unita', ex operaio, licenziato per rappresaglia: si precipitarono in Commissariato i rappresentanti del Psi per gli studenti e quelli del Pci per l'ex operaio. Raniero si mise in contatto con gli studenti.
Era il maggio del 1959?
Si, diciamo tra aprile e maggio. Arrivai a Torino nel maggio del 1959, e questo episodio era successo da circa dieci giorni, e dunque è facile datarlo sulla base di questo riferimento. Tra le figure di spicco del gruppo torinese c'era Vittorio Rieser, Alquati, Gasparotto e Gobbi; Rieser era, come tutti sanno, figlio di Tina Pizzardo (la donna dalla voce "rauca", di cui parla Pavese) e di un importante medico. Ricordo che una volta facemmo una riunione a casa di Rieser, a Torino, durante la quale conobbi Mottura, Alquati e Gasparotto. Quando entrai in casa, Rieser stava suonando Schoenberg al pianoforte ... Mi colpì molto, sembrava allora anche nel fisico un piccolo Wittgenstein.
Con questi ragazzi Raniero formò un gruppo, che mise poi in contatto con il nostro di Roma. Raniero era dell'idea che il gruppo di Roma dovesse essere la componente teorica del movimento, mentre quelli di Torino dovevano essere vicini alla classe operaia, semplicemente perchè Torino era la città della classe operaia.
L' incontro-conoscenza tra i due gruppi avvenne tra molte difficoltà e diffidenze, con Raniero che cercava di fare da tramite: insomma l'incontro non andò molto bene, mentre poi, quando cominciammo a mettere in cantiere il primo numero di QR, superammo le difficolta'. Questi ragazzi avevano la mia età, il che significa che all'epoca avevano diciannove anni, forse venti/ventuno e nessuno di loro stava facendo nulla oltre l'universita' ... non avevano nessuna esperienza politica, erano, eravamo ragazzini, proprio
ragazzini ... tutti quanti.

Dalla lettura di alcune lettere di Panzieri, raccolte e curate da Stefano Merli , sembra che Raniero sia in contatto con Aris a proposito della questione di 'Fiat confino' , per le Edizioni Avanti!
Infatti Aris aveva già da qualche tempo rapporti con Raniero, li aveva avuti anche per Mondo Operaio ...
C'era inoltre la ricerca di Carocci sulla Fiat , uscita per le Edizioni Parente, credo nel 1960 ...
Certo, ma questa è precedente e riguarda essenzialmente il rapporto con Carocci, su cui, se volete, possiamo aprire una parentesi, visto che lo conobbi proprio attraverso Raniero, a Roma. Noi, che eravamo più giovani, non partecipammo in alcun modo alla ricerca Fiat.
(Tronti) Riesci a ricordare come noi, del gruppo di Roma, conoscemmo Raniero? Forse il tramite potè essere Alberto, che credo abbia scritto qualcosa per Mondoperaio …
Non lo so; so invece di aver conosciuto voi attraverso Raniero, e dunque immagino che voi lo conosceste già. E' possibile che l'abbiate conosciuto attraverso Colletti? Con Colletti Raniero aveva già rapporti precedenti; i due si erano conosciuti tramite Livio Maitan, il gran capo dei troskisti italiani.
(Tronti) Ti ricordi quando apprendemmo le tesi sul "controllo operaio" Panzieri-Libertini, uscite nel 1958? E' possibile che il nostro gruppo le abbia lette subito appena uscite, e poi abbia stabilito un rapporto con Panzieri?
Non credo, penso che le abbiate lette dopo, e che il vostro contatto con Panzieri sia stato Colletti ...
Tra le lettere che abbiamo a disposizione , soprattutto le prime, il nome di Colletti ricorre spesso ... bisognerebbe cercare un riscontro sulla veridicità di questa ipotesi.
Quando era a Roma Raniero veniva a trovarmi a casa, se ne andava nel mio studio e telefonava a tutto il mondo: chiamava sempre Foa, Colletti, il suo amico Padovani, Maitan e Paolo Santi e altri. Molte volte sono andata, a Piazza Bologna, a fare cene tra troskjsti; ciò che univa Raniero ai troskjsti era l'anticomunismo. Ad un paio di queste cene partecipò anche Augusto Illuminati, all'epoca noto segretario della FGCI di Roma, in incognito.
(Tronti) All'epoca era in voga la doppia militanza: molti comunisti erano iscritti alla Quarta Internazionale; era una sorta di massoneria: erano iscritti al Pci e erano troskjsti, ma nessuno lo sapeva. Raniero ha sempre avuto simpatia per i troskjsti, per le ragioni accennate da Rita: non perchè fossero trotskjsti, ma perchè non erano comunisti, anzi piuttosto anticomunisti ... per lui andava bene chiunque fosse in polemica con i comunisti.
Nel 1960 c'è il lavoro preparatorio all'uscita del primo numero dei QR, poi i fatti del luglio 1960 che accelerano il percorso, ed infine il seminario di Agape e, l'anno seguente, quello di santa Severa …
A proposito dell'incontro di Agape, credo di avervi consegnato una lettera di Alberto Paolucci, molto esaustiva, che racconta tutto su quel seminario . Prima di parlare di Agape, vorrei dire qualcosa a proposito del contrasto che si venne a creare circa la partecipazione o meno al primo numero dei QR di alcuni nomi, ad esempio Vittorio Foa, di Emilio Pugno, di Sergio Garavini.
Noi eravamo molto critici sull'utilizzo di questi personaggi: il contrasto riguardava il background culturale di Raniero, legato agli ambienti della sinistra salottiera torinese. Io stessa sono stata presentata a Foa ed alla moglie Lisa da Raniero, che aveva un forte e complesso legame con Foa.
Eravamo contrari alla pubblicazione del pezzo di Foa sui QR e Raniero cercava in ogni modo di persuaderci: ricordo una lunghissima discussione intorno a Piazza Trento, durata fino alle due di notte, con lui che spiegava perchè era una cosa assolutamente importante che simili personaggi fossero presenti proprio sul primo numero per legittimarlo all'interno del movimento operaio.
(Tronti) Dietro l'atteggiamento di Raniero c'era la ricerca di coperture politiche.
Esattamente. Panzieri ha molto sofferto l'ostracismo nei suoi confronti del mondo politico dopo l'uscita dei QR: lui era un funzionario del Psi, non un giovane rivoluzionario; un funzionario del Psi che nel dopoguerra aveva anche partecipato alla riorganizzazione del partito in Sicilia. Inoltre aveva un rapporto particolare con Nenni, per molti versi filiale, che per noi era assolutamente incomprensibile. Ad esempio, quando nel 1962 scoppiò l'incidente di Piazza Statuto, Nenni rispose ad una interrogazione alla Camera e lo trattò molto male. Ebbi la trascrizione dell'intervento di Nenni tramite Umberto Coldagelli, che già lavorava alla Camera e glielo feci leggere: lui era quasi in lacrime ed io gli dicevo: ma che te ne importa?
Per il suo rapporto molto stretto con Nenni non aderì mai formalmente alla sinistra socialista, nonostante io stessa sia stata portata da lui moltissime volte a riunioni noiose, tristissime, tenute da Gatti e Valori, i due che poi fecero la scissione.
Oltre ai contrasti sugli interventi di membri del movimento operaio, del primo numero dei Qr, ricordo soprattutto la trafila stancantissima per farlo uscire; venne pubblicato molto tempo dopo rispetto a quando l'avevamo fatto : era già pronto ad inizio d'anno ma uscì in agosto. Poi cominciarono le presentazioni: ci fu quella a Padova, dove Raniero conobbe Toni Negri. Conservo una lettera bellissima, nella quale Raniero racconta di questo giovanotto che gli fece moltissima impressione, e che era socialista come lui. Ricordo la presentazione a Roma, alla libreria Einaudi, che fece insieme a Mario...
Un altro nodo importante che stiamo cercando di ricostruire è il seminario che si tiene a Santa Severa, dal 23 al 25 aprile del 1962.
A me non sembra fosse aprile , credo piuttosto agosto, anche perchè andai a Santa Severa direttamente da Sorrento...Ho ben presente la presenza di Raniero .. In questo incontro Rieser fece un intervento sull'Olivetti di Ivrea, perchè vi lavorava da qualche tempo. Ricordo che quando Panzieri finì di parlare proponendo l'esigenza di studiare la realtà italiana, ci fu silenzio. Mario ed io che ci eravamo messi a scherzare invece di ascoltare, dicemmo: adesso prende la parola Alberto che è bravissimo a fare il sunto e cosi sappiamo quello che ha detto Raniero. E cosi fu. (Era appena uscita su Rinascita la recensione di Alberto a 'Lessico familiare', in cui Alberto aveva attaccato la Ginzburg, rompendo il cerchio di osanna. Raniero, in una pausa del dibattito, gli aveva fatto un grande elogio, quasi commovendolo).
Noi venimmo assolutamente sconvolti dal tono, che oggi definiremmo manageriale, di Rieser, che prese la parola dopo Raniero e fece un'analisi perfetta sull'oeganizzazione del lavoro all'Olivetti, con toni da ufficio studi aziendale. Ricordo l'intervento di Miegge e la presenza di Claudio Greppi..
L'incontro si svolse in estate, stavamo in una pensioncina dove si mangiava malissimo e Raniero si lamentava, tanto che una sera Mario, Alberto, Raniero ed io andammo a Civitavecchia a mangiare il pesce.. Ricordo tutto, come è possibile che non ci fosse Raniero?
E' possibile che ci siano stati più incontri a Santa Severa?
L'incontro che ricordo verteva su come impostare il lavoro per la rivista in modo scientifico, ed era tutto incentrato sull'apporto di Rieser che in quel periodo era strettamente legato ad Alquati e Gasparotto.
Raniero andava sempre d'estate a Santa Severa: prendeva in affitto una casa in quel villaggio che ospitava Giolitti e Saraceno, protagonisti del periodo della programmazione democratica e del primo centrosinistra, personaggi con cui Raniero discuteva e si confrontava. Posso aggiungere un'altra cosa: nel secondo ed ultimo giorno del seminario arrivò anche Stefano Merli, anch'egli ai nostri occhi molto 'alieno', nonostante Raniero cercasse di farcelo accettare.
Questo incontro era un bilancio del primo numero, ed al tempo stesso una sorta di autocritica che Raniero ed i nordici si muovevano, perchè giudicavano il lavoro fatto non abbastanza scientifico.. Quella riunione segnò l'inizio di un contrasto, perché i nostri giovani compagni settentrionali, entrati a lavorare in alcune realtà aziendali (Rieser alla Olivetti, Gasparotto e Mottura in altre), avevano ù cominciato ad avere un approccio meno antagonista rispetto al nostro, lo provava la lunghissima relazione di Rieser, che a noi parve noiosissima, ma che invece suscitò grande entusiasmo in Raniero. Egli era affascinato dalle esperienze professionali di questi giovani, pur mantenendo intatto il rapporto, di grande valenza umana, con il nostro gruppo.
A questo incontro estivo parteciparono almeno venti persone, tra cui Monica Brunatto, Mauro Gobbini..

Piazza Statuto
Il secondo numero di QR è l'ultimo unitario.. Di mezzo ci sono i fatti di Piazza Statuto... All'epoca dei fatti di piazza Statuto già c'erano le prime crepe tra i due gruppi, i nordici studiosi e i romani interventisti. Raniero aveva usato i QR e noi giovani, che chiamava scherzosamente ZENGAKUREN (era il nome di un gruppo estremista giapponese ferocissimo, a differenza nostra), secondo l'ottica di un qualificatissimo funzionario del movimento operaio, che utilizza strumenti e persone per esercitare una pressione sul suo ambiente di riferimento. Diversamente dalle speranze di Raniero, questa pressione non solo non ebbe successo, ma, al contrario, lui fu vieppiù emarginato, anche per colpa del quadro politico generale: il centrosinistra, la creazione della sinistra socialista e quant'altro.
Viste sfumare le sue prospettive, Raniero ripensò politicamente il tutto. E quando i QR furono accusati dal sindacato per i disordini di piazza Statuto, le sue perplessità aumentarono. Io credo che si possa esaminare la questione da più punti di vista: un punto di vista politico, un punto di vista teorico e un punto di vista personale.
Politicamente lui vide più gli errori che i vantaggi dell'iniziativa QR e cercò di correggerne il tiro, individuando nel gruppo di Rieser coloro che gli davano l'opportunità di farlo. Raniero veniva da Mondo operaio, un uomo che oggi diremmo stare dentro le organizzazioni, se oggi ci fossero le organizzazioni ... Lui si rese conto della possibilità di spostare il tiro pubblicando su QR le analisi sociologiche dei nordici. Da un punto di vista strettamente politico, non voleva rotture con il movimento operaio, ma provocazioni di tipo intellettuale e politico.
Per ciò che riguarda il lato teorico, egli era senz'altro affascinato da Mario, e faceva enormi differenze tra Mario e tutti gli altri (questo bisogna dirlo e riconoscerlo), non c'era in lui dubbio su questo ... A questo punto lego il politico al teorico: la linea che portava avanti Mario in quel momento equivaleva ad una rottura reale, e, siccome Raniero era intrinseco al movimento operaio della sua epoca, vedeva questo rischio e, quindi, rispetto all'interventismo di Mario che pure lo affascinava, si ritraeva.
Poi c'è il fatto personale: lui aveva finito con l'ingelosirsi moltissimo (non so se sia giusto dirlo, ma io lo dico) del fatto che Mario stava diventando un leader, mentre la sua capacità di influenza diminuiva. Raniero era convinto che la bassa estrazione sociale del giovane teorico Mario Tronti, lo avrebbe comunque tenuto in una posizione subalterna rispetto a lui ed al mondo che lui frequentava, popolato dai Foa, dai Momigliano e dai Giolitti, dai Pirelli.
Nelle riunioni all'Edizioni Avanti!, di cui non abbiamo parlato e che erano così importanti per i nostri rapporti, venne fuori in due occasioni che i presenti, con due o tre eccezioni di calibro (Rieser ed i due Lanzardo, che nel frattempo si erano uniti a noi), erano tutti dalla parte di Mario, contro l'ipotesi sostenuta da Raniero. Raniero visse malissimo tutto ciò, soffrendo moltissimo, perchè era messa in discussione la sua leadership, la sua linea, e lui non lo poteva tollerare, perchè era sì un uomo giovanissimo (morirà di lì a pochi mesi, a soli 44 anni), ma ben più anziano di tutti gli altri.
Ricordo una riunione, svoltasi anch'essa nelle sale delle Edizioni Avanti!; ricordo la grandissima tensione e sofferenza, anche fisica, di Raniero nel vedersi messo in minoranza (su 25 presenti, solo 2 erano con lui). La riunione si era aperta con un intervento di Raniero, una sorta di controrelazione di Mario, una replica molto stizzita di Panzieri, ed infine una controreplica di Mario, che in qualche modo gli andava incontro, per farlo contento.
La sera andammo al Piccolo a vedere il Galileo di Brecht. Uscimmo dal teatro e ci spaccammo in due gruppi: il nostro imboccò la via a sinistra e gli altri quella di destra. Con Raniero c'erano solo Fortini e Rieser. Mario mi disse: vai da Raniero e consolalo, non lo puoi lasciare solo. Io andai a cena con loro. Fortini mangiò due bistecche, mentre io avevo lo stomaco chiuso; a tavola con noi c'erano Rieser e un'altra donna, ma non ricordo chi fosse. Al contrario di quello che mi aveva raccomandato Mario, cominciai a 'fargli il processo', siccome avevamo appena visto Galileo, gli dissi: tu hai costretto oggi Mario a fare come Galileo.. Gli feci tutta una parte come si poteva fare all'epoca, avendo io con lui, pur solo ventenne, molta dimestichezza (frequentavo la sua casa, la moglie, i bambini).
Continuai: non so se questa cosa è recuperabile, ma vorrei che ti rendessi conto che se non lo è, tu oggi hai distrutto.. eccetera. Vi lascio immaginare.. Lui in qualche modo mi diede ragione ma mi assicurò che con Mario era recuperabile tutto. Non era così: tornando il giorno dopo in treno verso Roma, in compagnia di Mario, Umberto e Alberto, scoprii che Mario non voleva recuperare il rapporto, e che dunque stava nascendo veramente Classe Operaia.
Di che anno è questa riunione?
Del 1963.
(Tronti) Il gruppone dove andò? In una di quelle osteriacce ...(risate)
Be non so dove andaste, noi andammo in un bel ristorante ...
(Tronti) Raniero a questo teneva, lui andava alla Nuova Pesa ...
Bè per farvi capire che tipo era Raniero vi devo raccontare due episodi. Il primo incontro, combinato perchè io dovevo dargli il capitolo del mio libro, avvenne al Canova, il bar di fronte a Rosati, che oggi è un postaccio, ma all'epoca era il caffè degli intellettuali, rispetto all'altro che era il ritrovo dei cinematografari. Io arrivai, ci riconoscemmo subito, non so che cosa bevemmo e poi alla fine venne il cameriere e io feci per pagare, estraendo diecimila lire dell'epoca e lui, che era sempre senza una lira, quando il cameriere portò il resto, mi disse: ti dispiace che lo prenda io? non ho spiccioli...
La seconda cosa divertente è questa: una volta a Roma mi chiama e dice: Rita non ti dico di vestirti bene, perchè tu vesti sempre bene, ti dico: vieni con me perchè mi servi. Siamo andati alla Banca d'America e d'Italia, che adesso non c'è più, ma che all'epoca stava in uno spiazzo vicino via del Tritone. Lui aveva un assegno non trasferibile di Giovannino Pirelli, ed aveva bisogno di farselo cambiare ... Giovannino gli aveva detto: tu piglialo, se ci riesci sono fatti tuoi ... Ci presentammo nella hall e lui chiese di parlare con il direttore?
(Era un tipo unico, aveva indosso un cappotto sdrucito). Al direttore disse: guardi, questo mio amico, vede chi è (indicando il nome di Pirelli) mi ha dato questo assegno e non si è accorto che non è trasferibile ... Rita, cosa possiamo fare? Telefoni tu a Giovanni? Io facevo la parte ... Insomma, alla fine ci diedero i soldi ... Questo era Raniero ...

Da che tipo di famiglia proveniva?
Dalla piccolissima borghesia ebrea romana; aveva passato il periodo dal 1939 al 1945 a Palestrina, nascosto nelle campagne. Poi riammesso all'universita', aveva fatto gli esami tutti in un anno.
Tu invece in questo periodo, dal 1959 al 1963, gli anni di QR, che studi facevi?
Io? Io.. facevo la rivoluzione, ero convintissima di starla facendo. Ero iscritta a Scienze politiche, facevo un esame ogni tanto per accontentare mia madre e, al contrario di Mario, facevo veramente lavoro di base: avevo la responsabilità delle fabbriche di Roma, che poi si estese a tutto il sud. Avevo un rapporto con la Camera del Lavoro di Roma, lavoravo, gratis, alla CdL per riconoscenza per l'aiuto che mi davano perchè potessi fare la ricerca sugli edili per Carocci ...
Invece il libro sui braccianti?
Quello venne pubblicato grazie a Raniero, nel 1961.
Non stavo scherzando circa la mia attività politica 'rivoluzionaria', tant'è vero che mi sono laureata solo nel 1967, tornando, dopo l'esperienza di CO, all'università con enorme sforzo.
Durante gli anni di CO feci quasi esclusivamente lavoro politico, girando per i cantieri edili e le fabbriche. Per Roma facevo i miei giri in vespa insieme a Mario Miegge, oggi serissimo filosofo ma all'epoca un entusiasta giovane valdese 'operaista'; fuori Roma andavo con Alberto, che era l'unico tra noi a possedere una vettura, una cinquecento. Del gruppo dei giovani io ero quella che scriveva meglio: i volantini che avete trovato erano messi in italiano da me, perlomeno quelli scritti decentemente.
In un secondo momento, Raniero mi convinse ad andare a lavorare (lui diceva che mi aveva distaccato in quell'avanposto) per Mondo Nuovo, la rivista del PSIUP, dove ebbi l'occasione di conoscere molto bene Foa, Libertini, Basso e altre persone importanti dell'epoca. Su Mondo Nuovo in parte pubblicavo i risultati delle esperienze operaie che andavo a fare in giro per il Sud della Cassa del Mezzogiorno... E in parte facevo quello che Raniero voleva: cercavo di tenere a nome suo un legame con questo spezzone del movimento operaio. Tra l'altro da poco abbiamo scoperto che Mondo Nuovo era tutto pagato dall'Unione Sovietica, ma questo è comprensibile, e con il senno di poi uno lo capisce: come spiegare altrimenti l'appartamento di Piazza Mignanelli, enorme e di lusso, dove ho conosciuto giovani che sarebbero divenuti ministri, grandi manager, banchieri. Il patron, Foa, era intelligentissimo e luciferino. Lui all'epoca era uno dei segretari della CGIL ...
Si, ed era odiatissimo da Novella, perchè aveva la funzione che adesso ha Bertinotti con il governo: ogni volta che si doveva fare un accordo inventava un ostacolo per cui l'accordo non si doveva fare.
C'è poi da affrontare il discorso che riguarda Classe Operiaia, a partire dalla frattura del 1963, per poi proseguire fino alla sua chiusura..
Che avvenne al circolo Mozart di Bologna nel 1966.
Ci interesserebbe sapere qualcosa di più sulle riunioni milanesi ...
Ci incontravamo alle Edizioni Avanti! (mentre a Torino ci riunivamo al circolo Gobetti) ospiti di Gianni Bosio, l'editore, molto amico di Raniero, che ci permetteva - all'epoca era molto difficile trovare un posto dove ci facessero entrare - di tenere le nostre riunioni. Intorno a Raniero, oltre a Bosio, c'erano anche Montaldi, Ivan Della Mea ...
C'erano, ma a latere. Noi eravamo molto rigidi, cioè se c'eravamo noi non veniva Ivan Della Mea, e neanche Bosio partecipava: ci dava la sala, magari si faceva vedere un attimo, ma non si contaminava, perchè noi eravamo la pietra dello scandalo.
In questo periodo comincia anche a costruirsi un gruppo milanese dei QR ...
Si creò intorno a Monica Brunatto, che prima però era a Roma, ed andò a Milano perch voleva avere contatti con la classe operaia delle grandi fabbriche. Il giro milanese era composto da Giorgio Franchi ed altri, cui talvolta partecipava anche Sergio Bologna, che però era un uccel di bosco, viveva a Trieste, ed entrò in forza stabile al gruppo solo con la nascita di Classe Operaia; c'erano poi due allievi del filosofo Enzo Paci, uno trasferitosi più tardi in Svizzera, a Lugano, Daghini e Bonomi; ed infine, proprio nel periodo di passaggio da QR a Classe Operaia, il gruppo del Frantz Fanon, non so se ne avete mai sentito parlare...
Certamente; ricorre molto spesso nelle lettere, e sarebbe importante parlarne.
Avevamo il più profondo disprezzo nei loro confronti, perchè erano terzomondisti, filocontadini e noi eravamo operaisti e interessati solo ad esperienze del capitalismo maturo, come si diceva all'epoca. Ricordo di essere andata una volta con Mario ad una riunione di questo gruppo in un appartamento milanese, dove facemmo una relazione con risultati disastrosi ... (risate), insomma rischiammo le botte. Di Classe Operaia parleremo nel prossimo incontro.
tra la classe operaia romana (12 marzo 1998)
Nell'incontro precedente ci siamo fermati agli ultimi mesi unitari dei Quaderni Rossi.
Perché questa spaccatura così lacerante e sofferta tra Panzieri e il resto del gruppo?
Posso descrivervi come ho vissuto all'epoca questa divisione e come l'abbia poi razionalizzata. Bisogna ritornare al momento delle lotte operaie del 1962; nessuno se le aspettava, nemmeno noi che le sognavamo. Noi vivemmo gli scioperi alla Fiat come una grande occasione da non perdere; ciò significava voler vivere questa esperienza davanti alle fabbriche, con gli operai, se era possibile avere rapporti con loro. Nacque l'idea di stabilire contatti con gli operai sul merito delle lotte sindacali. Per alcuni di noi, che eravamo giovanissimi, si trattava di una vera e propria scoperta, che credevamo esclusivamente nostra; poi, studiando, sapemmo che nella storia del movimento operaio vi erano stati tanti casi simili al nostro. Eppure, al momento, eravamo strasicuri che convincere gli operai a spostare a sinistra le lotte sindacali fosse una cosa del tutto nuova.
Per quanto riguarda il gruppo romano, c'era stata una prima esperienza che era stata la ricerca sugli edili, nata per incarico di Giovannino Carocci . Carocci aveva avuto l'idea di fare una analisi sugli edili, riuscendo ad ottenere dei finanziamenti. In quegli anni, a Roma, gli operai erano essenzialmente gli edili, pur esistendo alcune isole operaie, quali la Fiorentini, la Fatme ed altre piccole fabbriche.
L'inchiesta sugli edili venne portata avanti da un gruppo di lavoro coordinato da me (Carocci se ne era andato a Parigi a sposarsi e a scrivere un romanzo ed era stato convinto da Raniero ad affidarmela). Io potevo contare, cosa rarissima all'epoca, sui soldi per pagare il questionario e le interviste. Fu la prima ricerca sul campo per noi. Coordinavo un gruppo di giovani che avevo contattato andando a lavorare per la Camera del Lavoro. Tra questi alcuni sono noti, come Massimo Loche, oggi corrispondente per la RAI, o Mario Miegge, di cui ho già parlato. Mario Miegge era fondamentale, perché possedeva una vespa con cui potevamo girare. I cantieri edili erano visitabili dalle 12 alle 13: era preferibile andare in
quell'ora piuttosto che quando finivano di lavorare, perchè dopo aver smontato avevano una fretta terribile di ritornare a casa. Eravamo convinti che gli edili dovessero avere un nuovo contratto di lavoro, che avrebbe dovuto in qualche modo saltare la figura del "capoccetta". Il "capoccetta" aveva un ruolo di intermediazione, adesso lo chiameremmo Manpower. Proponevamo che nei grandi cantieri fosse eletto niente di meno che un "rappresentante sindacale" vero e proprio. Questo era il nostro grande obiettivo. Ci esaltavamo all'idea di riuscire a convincere gli operai a fare eleggere un rappresentante sindacale. Era un'impresa difficile. Gli edili facevano due giornate, tre giornate, quattro giornate e poi cambiavano posto; solo nei grandi cantieri era possibile pensare ad una operazione del genere. Eravamo dell'idea che se fossimo riusciti nei grandi cantieri, il sindacato (la Camera del Lavoro, la Fillea, che era importantissima) si sarebbe convinto della nostra linea rispetto a quella loro tradizionale.
Il fatto è che la nostra strategia, cioè riuscire a sindacalizzare gli edili rispetto alla intermediazione tradizionale, si scontrava con la linea della Camera del Lavoro di Roma, che poggiava sui "capoccetta". I "capoccetta" erano tutti comunisti, avevano in mano le sezioni del partito del circondario (Magliana, Tiburtino Terzo, ecc.). Dove c'era la sezione del PCI, lì c'erano loro. Avevano rapporti diretti con Angelo Fredda, che era il segretario della Fillea, un ex partigiano di quelli che avevano sparato, ex edile comunista, personaggio umano indimenticabile. La nostra strategia era completamente contro la realtà della Camera del Lavoro che era sostenuta dai "capoccetta", visto che gli operai iscritti erano pochi e gli impiegati statali erano della CISL. C'era insomma una interrelazione legittima, pulitissima, ma pur sempre una interrelazione forte, minacciata dalla nostra follia giovanile.
Quando avevo cominciato a lavorare, naturalmente gratis alla Camera del Lavoro, ero stata accompagnata da Fredda nei cantieri. L'essere stata presentata da Fredda, si rivelò una sorta di lasciapassare, importantissimo; gli operai ci accettarono: me, i questionari, i giovani, le nostre proposte sul sindacato di cantiere.
Fu un lavoro di grande novità, produttiva e positiva. Avevo scoperto che si poteva avere un rapporto diretto con la classe operaia e con gli edili. Poi accadde che l'Espresso raccontò di questa ricerca, e Fredda ci chiuse la porta in faccia e ci cacciò, nel modo più staliniano di questo mondo. Lui odiava gli intellettuali, il suo mondo erano il partito e la classe operaia.
Noi, più intellettuali di così non potevamo essere, quindi ... ci sbattè la porta in faccia e ci disse che se ci fossimo permessi di tornare nei cantieri, ci avrebbe denunciato agli operai come provocatori e ci avrebbe fatto menare. Il che sarebbe accaduto.
Da tutta l'esperienza io avevo imparato come si faceva a lavorare con gli operai, a convincerli a non accettare a occhi chiusi la linea del sindacato. Nonostante le difficoltà, il gruppetto che si era creato non smise il lavoro politico, ci spostammo dai cantieri alle fabbriche. Facemmo questo lavoro nel 1961, 1962 e 1963, in contemporanea ai Quaderni Rossi. Non vi era contrasto, anzi.
Ricordo benissimo una riunione, sempre a casa mia, in cui quelli di Milano vennero con la loro esperienza di Q.R. e dell'inchiesta operaia che andavano facendo. Noi avevamo la nostra. Le due esperienze erano completamente in conflitto. Loro stavano conducendo una ricerca di tipo sociologico, mentre noi sperimentavamo quello che poi si sarebbe chiamato l' "intervento politico nelle lotte". Si capì subito che non c'era possibilità di intesa. Ai nostri occhi il loro lavoro appariva una sofisticheria intellettuale, rispetto a quella che consideravamo una esigenza pressante, ossia far capire al sindacato come si dovesse fare il mestiere di sindacalista ed al partito come si dovesse fare la rivoluzione.
Insisto molto sulla nostra utopia: era quella che inseguivamo. Per farlo, ci spostammo in altre fabbriche, in qualsiasi modo. Ad esempio, io entrai alla Fiorentini e andai a parlare col capo del personale, dicendo che ero una studentessa universitaria incaricata di fare una ricerca sull'azienda: ottenni da lui tutte le informazioni che volevo sulla fabbrica. Quando ebbi il quadro esatto delle condizioni della fabbrica, cominciai ad andare nella sezione del partito dove andavano quelli della Fiorentini per parlare con gli operai di quello che stava facendo il sindacato, di giusto e di sbagliato e di quello che avrebbe potuto fare il partito. Raniero sapeva del nostro lavoro. Diciamo che per quel che riguarda Roma e il Sud, gli andava bene. Al contrario, era molto preoccupato per quel che riguardava il Nord, perché la classe operaia era al Nord, non erano i quattro gatti della Fiorentini. Ed era preoccupato, per quel che riguardava il Nord, che si potesse fare qualcosa di simile al nostro lavoro e che ciò potesse urtare il movimento operaio. Ci separammo su questo, su un certo tipo di iniziativa politica. Classe Operaia è nata perché noi avevamo per riferimento quel tipo di iniziativa politica, che sembrava agli altri un azzardo.
nasce Classe Operaia
Panzieri era insomma più vincolato al movimento operaio.
Si, senz'altro; diciamo che questa motivazione racchiude il 60% delle cause di rottura; sono convinta che il restante 40% , però, fosse dovuto al fatto che lui non credeva nella nostra iniziativa. Dopotutto lui era più grande di noi, c'erano più venti anni di distanza; era dunque legittimo che potesse essere molto più pessimista di noi: era possibile che non ci credesse.
Quali furono le dinamiche del gruppo torinese di fronte a quanto stava avvenendo? Ad esempio, la posizione di Alquati ...
Ci fu una spaccatura: Alquati era con noi; Mottura, Rieser e Lanzardo erano con Raniero; poi c'erano quelli che gravitavano intorno a loro e c'erano quelli che gravitavano intorno a noi; nel gruppo costituente ci furono quelli che rimasero con i Q.R. e quelli che andarono con C.O. ...
I personaggi più significativi che si unirono al gruppo romano furono Alquati e Toni Negri...
Erano Alquati, Gasparotto, Romolo Gobbi: portavano avanti lo stesso tipo di intervento che facevamo noi. Su questo punto dobbiamo essere chiari; quando dico "noi", non dico mai Mario, mi riferisco a quelli più giovani, e ad Alberto; mentre il ruolo di Umberto era diverso, era un funzionario della Camera, aveva anche dei vincoli di orario.
L'attività di Mario è sempre stata estranea a nostro lavoro di intervento. Non credo di ricordarlo mai davanti ad una fabbrica; era contento che ci andassi, questo si; io, poi, raccontavo e lui incoraggiava. Ma non penso di averlo visto mai, se non una volta sola, in un cantiere edile, e dopo mille mie pressioni.
Per quel che riguarda Toni Negri dobbiamo storicamente situarlo bene.Toni Negri era una figura istituzionale, ancor più di Coldagelli. Nel 1973-1974 - quando ero assistente all'Università di Padova, lui era il direttore dell'Istituto di Dottrina dello Stato. Si entrava da lui solo bussando. C'era un pulsante e decideva lui se ricevere o non ricevere. Questo vi deve essere chiarissimo. Tutto quello che è poi stato fatto, detto ecc. non vi deve offuscare le idee sul personaggio. Lui era un vero barone universitario, di grandissima levatura intellettuale, profondamente inserito nel contesto della sua città; una città avvolgente, Padova, con tutte le sue caratteristiche; aveva sposato un membro di una importantissima
famiglia veneziana, viveva in una casa bellissima. Lui era prima di tutto questo. Ebbe una grande apertura nei confronti dei Q.R. per le ragioni che vi ho detto l'altra volta: con Raniero aveva una comunanza anticomunista fortissima. E' stato attivo nella presentazione dei Q.R. e nell'organizzazione di Potere Operaio veneto, che poi si sciolse in C.O. Che abbia fatto lo stesso tipo di lavoro politico che facevamo noi in quegli anni, non lo so.
Dalle lettere appare un suo grosso lavoro organizzativo: di chi corre, si da fare, ecc.
Io l'ho sempre visto come un intellettuale, dal punto di vista generazionale il lavoro con gli operai lo facevano i più giovani. L'unica eccezione in tal senso era Alberto. Alberto è fatto così...
Raccontavi dei vostri viaggi a Terni a bordo di una Fiat 500 ...
Insisto. Tutti i posti che io non potevo raggiungere con i treni, li raggiungevo con lui in macchina che intanto era cambiata. E lui si dava da fare come i più giovani.
Devo aggiungere un'altra cosa importante per capire il periodo. Io scoprii, già quando andai per la prima volta nei cantieri edili e poi nelle borgate (dove se ti vedevano da lontano, ti mettevano sul grammofono di casa bandiera rossa, per salutarti) che per essere veramente accettata avevo bisogno della tessera del PCI. Era una specie di passpartout. Adesso è inimmaginabile, però io sto parlando del 1960. Fu per questo che nel 1961 decisi di iscrivermi al Pci, e di farlo nella sezione del quartiere Salario, visto che abitavo in piazza Trento. Così, una sera andai in sezione: bussai, ma non c'era assolutamente nessuno. Comparve poi un vecchiettino, che dormiva in un locale della sezione stessa, in un posto arrangiato, con una branda, le pareti erano coperte di manifesti sovietici, quelli colorati con Stalin e Lenin. Il vecchiettino mi disse che dovevo lasciare i soldi, erano tre mila lire, me ne ricordo, e che dovevo tornare la sera dopo per prendere la tessera. Ho ripetuto quest'operazione, sempre in questo modo, per ben sette anni, dal 1961 al 1967. Non sono mai andata in sezione. Veramente un utilizzo sporco del partito. Poi, nel 1967, ho ricevuto la telefonata del segretario di sezione (era il marito della figlia di Togliatti): all'inizio pensavo di aver dimenticato di pagare la quota d'iscrizione, ma poi lui disse di volermi parlare.
Sono andata. Era il 1967. Nel '66 c'era stata fine di C.O. e di lì a poco ci sarebbe stata la fine della mia iscrizione al PCI. Al colloquio il segretario espresse tutta la sua meraviglia per aver identificato in me la redattrice di Q.R. e C.O. e l'autore di ecc. ecc.; mi comunicò che la sezione aveva istruito una pratica di verifica sul mio conto e che dovevo presentarmi il tal giorno alla tale ora.
Sono tornata a casa e mi sono consigliata con Aris e Mario se presentarmi. Tutti e due comunisti da più di 15 anni erano molto inquieti per il fatto, per me era diverso. Andai alla convocazione, e mi trovai imputata in un processo comunista di tipo classico: c'era l'operaio, un tappezziere, la donna impiegata, perché io ero una donna, c'era il funzionario della federazione, che era un intellettuale, perché io ero un intellettuale. Mi hanno invitato a raccontare le mie esperienze politiche. Gliele ho raccontate, più o meno. Loro ce l'avevano con me per C.O. per i Q.R., ma soprattutto perché parlavo male dell'URSS. E si che nei successivi periodi sono stata accusata dai comunisti di essere un seguace di Stalin!
Io parlavo male dell'URSS ''da sinistra'' nei pezzi che avevo cominciato a pubblicare su C.O. e in altre riviste dove mettevo in discussione il socialismo sovietico. Erano gli anni della ''riforma del profitto'' di Brezhnev, ed io affermavo che stavano costruendo il capitalismo. Cose di una banalità e di un infantilismo da ridere. I miei tre 'giudici' decisero di darmi una chance: mi invitarono senza diritto di voto ad una assemblea di sezione dove si sarebbe discusso di quello che stava accadendo in Cina. All'assemblea c'erano Trentin, Pio Marconi, ed altri intellettuali iscritti nella sezione Salario. Era un quartiere borghese e all'epoca c'era una gran quantità di iscritti. Si discuteva di come il partito dovesse comportarsi nei confronti della Cina. Si alzò un ragazzo con una mozione di appoggio a ciò che stava succedendo in Cina, si mise in votazione questa mozione che ebbe due voti, il mio e quello del ragazzo. E cosi finì il mio rapporto con la sezione Salario.
Racconto questo episodio per chiarire il contesto storico. Una situazione adesso impensabile. Il ''processo'' era durato due ore. Si erano informati e sapevano tutto. Io ero stata per sette anni una sorta di clandestina e ora loro sapevano tutto, avevano davanti tutto quello che avevo scritto. Devo dire però, anche per quello che sappiamo che è successo in altri posti e tempi, ciascuno dei tre manifestava opinioni differenti e avevano molta curiosità e rispetto e simpatia umana per il "compagno che sbaglia". Non ricordo con disagio la mia chiacchierata con loro, c'era il disagio del fatto in sé, ma non per il comportamento umano di quei tre, no, nessun disagio proprio...
Leggendo le lettere si ha l'impressione che tu abbia svolto un ruolo di coordinamento ...
Dire coordinamento è un po' troppo. In realtà avevo due ruoli; vi ho raccontato del lavoro di coordinamento, che facevo per ragioni economiche, perché, a differenza di altri, me lo potevo permettere: avevo tempo, avevo mezzi e quindi lo facevo. L'altro ruolo, invece, era quello che a me stava più a cuore, il lavoro con gli operai dell'edilizia e delle fabbriche.
Questo lavoro non venne valorizzato per come volevo, perché c'era la sottovalutazione della realtà romana, che divenne ancora più pesante quando i compagni del Nord si appaltarono la classe operaia. E del resto avevano ragione, perché la classe operaia stava là.
Io vivevo male la marginalizzazione degli operai romani e del sud e ce l'avevo moltissimo con Mario che non mi dava una mano. Non credo di averglielo mai detto, naturalmente.
Emerge così quella che era l'organizzazione interna di CO: dei gruppi di intervento e un gruppo che si occupava del coordinamento e del lavoro teorico. E' così?
Beh, il lavoro teorico era appaltato a Mario. Mario era quello che 'pensava', non c'erano dubbi per nessuno su questo.
Come accade ai piccoli gruppi, ce lo dice la storia per i bolscevichi, per esempio, eravamo multifunzionali: chi aveva più tempo e più possibilità si accollava anche il carico organizzativo, ma non c'era una divisone precisa dei compiti.
Con il nostro lavoro politico e con il nostro giornale volevamo raggiungere i due obbiettivi cui abbiamo accennato in precedenza: innanzitutto spingere il sindacato a puntare sulle lotte operaie. Dopo tutto il lunghissimo periodo in cui le lotte operaie non c'erano state, un sindacato che assumesse la lotta operaia non come un dato sporadico ma come una realtà del Paese, non c'era ancora. Ci sarà poi nel '68-'69. Nel 62-63-64 noi lavoravamo come fosse già cosi e pretendevamo che il sindacato assumesse il nostro punto di vista.
Ci sono dei pezzi bellissimi apparsi su CO che riguardano il porto di Genova, altri su Porto Marghera, altri su Firenze ...
Erano tutti gruppi di intervento ...
A Genova chi c'era?
Faina. Erano fatti dal suo gruppo di intervento. Quando si facevano le riunioni a Roma o a Milano, non partecipavano tutti quelli che si riconoscevano in C.O. Solo in alcune riunioni generali, come a Piombino o a Firenze, vi fu la presenza di quasi tutti. Il fatto è che venivano solo quelli che avevano i soldi per pagarsi il viaggio. Alquanti, per esempio, arrivava in ritardo perché faceva l'autostop.
Erano gruppi di intervento coordinati da Roma nel senso che loro mandavano il materiale, telefonavano, e noi cercavamo di incidere sulle loro mosse al minimo. C'era una gestione che oggi definiremmo di tipo federalista.

Nelle lettere di Alquati ritorna, quasi ossessiva, la necessità di una mente fresca dal centro che li aiutasse nel lavoro più schiettamente politico, necessità di un "burocrate" che scrivesse i volantini, che desse qualche direttiva..
Non è vero che non si faceva. Si faceva. Lui avrebbe voluto che lo si facesse molto di più, ma si faceva. Tenete presente che Mario si rifiutò sempre di svolgere un ruolo dirigente tradizionale e quindi era difficile riuscire a mediare tra Mario e le esigenze degli altri, giovani, inesperti. Certamente ci saranno state delle delusioni e delle sfasature, però si faceva il possibile per coordinare. Si faceva anche andando a Milano, in occasioni di riunioni, o in altro modo. Non dimentichiamo mai che noi stiamo parlando di una esperimento piccolissimo, e ha senso parlarne solo perché è poi stata ripreso.
Il '64 è l'anno di uscita ma anche di stabilizzazione di CO; nel '65 c'è la "svolta" di
Firenze, in occasione del grosso dibattito sul partito. E' una svolta molto vivace.
Abbiamo trovato una serie di appunti tuoi che mi sembrano assai indicativi.
la svolta di Firenze
Beh questi appunti raccontano tutto. Questi appunti del 1965 si riferiscono a una grossissima lite fatta a Firenze. Fu una lite terribile. Dobbiamo dire le cose in modo chiaro: Mario si era convinto che non saremmo riusciti a smuovere sindacato e partito da fuori, andando davanti alle fabbriche. Riteneva inutile portare avanti l'iniziativa, a meno che non l'avessimo resa utile per il movimento operaio, per il partito. Su questa linea di Mario, mai espressa con la chiarezza con cui la sto dicendo ora (essendo Mario un vero togliattiano...) ci fu una spaccatura terribile. Mario rimase praticamente solo; i suoi più grandi amici, cominciando da Asor Rosa e Umberto, non lo seguirono, perché non credevano che potesse esaurirsi CO, non credevano che il PCI ed il movimento operaio fossero attenti alla nostra esperienza. Erano molto perplessi. A Firenze ci fu lo scontro.
Siamo verso la fine del 1965?
Si, ma siccome non faceva freddo, non doveva essere proprio la fine, sarà stato settembre, ottobre. Che cosa successe? Successe che Mario fece un discorso bellissimo, devo dire proprio bellissimo, sull'inutilità di quello che stavamo facendo e sul fatto che non stavamo andando da nessuna parte. Non c'erano alternative: o ci attrezzavamo a fare qualcosa di più incisivo con una parte del sindacato e del partito o ci saremmo dovuti riconoscere per quello che eravamo, cioè un gruppuscolo di intellettuali che non era riuscito a sfondare.
Successe che Alberto prese posizione con Toni Negri e con Piperno contro Mario. Per capire il dramma dovete tener presente le esperienze dei piccoli gruppi, dove sembra impossibile che uno si metta contro l'altro, si era sempre insieme... Comunque Alberto, che è una persona che prende sempre sul serio tutto, aveva preso sul serio pure il dissenso con Mario. Fece un discorso contro Mario, mentre Toni Negri, dallo stipite della porta, controllava se diceva o non diceva le cose che andavano dette contro il PCI. Essere contro il PCI era la discriminante di tutto. Piperno, da parte sua, aveva organizzato la claque contro Mario e a favore di Negri. Questo era tutto. Umberto e altri non sapevano come posizionarsi. Il mio intervento, evidentemente era a favore di Mario, lo pensai tutta la notte.
Farlo o non farlo? Alberto aveva parlato la sera, poi si andò insieme a cena. Dissi a Mario che volevo intervenire per rompere il suo isolamento, Mario era contrario. Io mi sono svegliata alle due o le tre del mattino e ho scritto l'intervento. Ho chiesto di parlare. Ho passato tutto il viaggio di ritorno con Mario che ce l'aveva con me perchè avevo attaccato Alberto che intanto stava male con lo stomaco per lo stress e io lo curavo e gli ripetevo: 'ma non te la prendere'...
Io ero intervenuta per due motivi: immagino perché all'epoca mi ero convinta anch'io che C.O. non aveva futuro, ma anche perché ero seriamente preoccupata per quello che stavano combinando insieme Toni Negri e Piperno. Allora stavano cominciando a venire fuori queste differenze, stava crescendo un certo tipo di giovani che viveva quel che stava accadendo nel PSI o nel PCI in modo più antagonista di quanto noi stessi immaginavamo.
La spaccatura si stava formando. Credo sia importante insistere su questo punto. Vi ho raccontato la mia iscrizione al PCI e vi ho raccontato il suo carattere strumentale: però il PCI rimaneva allora comunque una cosa seria; noi ce l'avevamo con il PCI perché non faceva una politica di sinistra, ma questo significa che lo ritenevamo capace di farla. Quei giovani già non lo credevano più.
Era un rapporto filiale nei confronti del PCI da parte vostra...
Da parte di Mario certamente. Io nei confronti del PCI non avevo nulla di coinvolgente. La mia adesione era stata strumentale. Non così la generazione di Mario. Insisto: c'erano molti anni di differenza, nove. Nove anni sono tanti. Per me il PCI avrebbe potuto fare una azione politica più incisiva e mi arrabbiavo perchè non la faceva. In persone come me c'era un atteggiamento molto laico, nonostante la grande consonanza con Mario e che avessi un rapporto con uno che lavorava all'Unità, che ancora credeva al partito con la P maiuscola.
Ho fatto grandi liti con Aris su parole come 'riforme di struttura', che consideravo quantomeno irrealistiche nel contesto italiano dell'epoca.
A Firenze io colsi, nell'atteggiamento di Toni Negri, di Tolin, di altri, la certezza che loro credevano che il PCI dovesse essere combattuto.
C'era poi questo muoversi diverso, rispetto al passato, di persone come Piperno, che conoscevo bene. L'idea che avevano di Potere Operaio, prima Potere Operaio Veneto, poi Potere Operaio Romano, era assai diversa dalla nostra. E a Firenze per la prima volta si colse questo antagonismo radicale nei confronti del Pci. Il vero nemico era diventato il PCI, in un antagonismo senza mediazioni nei suoi confronti; in quelli come Mario c'era invece ancora l'idea-illusione di poter influire sulla politica del partito.
Alquati però seguì una posizione come quella tua o di Mario...
Si, è vero. Anche questo è proprio dei piccoli gruppi: scattano le identità o le fedeltà al di là dei propri dubbi. Ti posso dire che (ripercorrendo i nomi sui foglietti degli appunti): Gobbi non ha mai creduto alla posizione di Mario; Greppi non ci credeva, però come si fa a dire di no a Mario?; Daghini, che poi se ne andò a Lugano, no; Sbardella, Alquati e Gasparotto, Bologna no ma senza drammi.
Questa svolta di Firenze è molto importante perché segna la fine di CO, con un totale disincanto di Mario nei confronti dell'esperienza. Tenete presente che era un periodo in cui si stavano riaccendendo le speranze che il sindacato riconquistasse la rappresentanza dei conflitti di che stavano crescendo nelle fabbriche, soprattutto al Nord.
Non so quali balle avevamo in testa nei confronti del PCI. Credo che alcune illusioni fossero legate ad Ingrao. Personalmente non ci credevo, non ci ho mai creduto, mentre avevo invece interesse per quel che stava finalmente accadendo nel sindacato. Stava maturando l'autunno caldo.
A Firenze fu determinante il ruolo di Mario: Mario aveva cominciato l'esperienza di CO e Mario l'ha finì. Questo è il dato di fatto. Vi erano quelli che non volevano che finisse e che quindi rimasero molto legati a noi e ci obbligarono affettuosissimamente per qualche tempo a continuare, a tenere le riunioni, a vederci, a organizzarci, almeno per un confronto culturale. La cosa andò avanti almeno fino al '68. L'ultima riunione che facemmo fu appunto per un convegno nel 1968, nella sala Mozart a Bologna, a metà dell'anno, legata al nulla, se non al fatto che non si voleva che finisse una esperienza così...
E' sorprendente come questo rapporto duri, per esempio in Contropiano...
Mario non volle essere nella direzione della rivista, perché aveva un suo momento, un suo periodo particolare. Contropiano fu quello che doveva essere Q.R., nelle intenzioni ultime di Raniero. Con una multidisciplinarietà ad un livello ben più alto. Però era quello. Contropiano fu quello.
I rapporti tra noi sono rimasti saldi, con alcune eccezioni.. Tu devi vedere quando ci si incontra... E' quasi imbarazzante. Compreso Toni Negri. Quando uscì dal carcere la prima volta, andò a trovare Alberto a Capalbio, e ci furono gli abbracci. A Parigi telefonava dalla Sorbona perché andassimo a fare lì delle conferenze. Sto parlando di Toni Negri, immaginatevi per Greppi o Alquati. Assolutamente non c'è stata nessuna frattura, e questo è il merito di Mario, è Mario che non ha mai mandato in frantumi questa specie di palloncino rosso che avevamo gonfiato tutto da soli.
Non sarebbe il caso di parlare di alcune tappe della storia della rivista a partire, per esempio, dall'incontro di Piombino?
Si, Piombino, il 1 maggio 1964. Fra poco faremo un revival a Piombino; bisognerebbe che veniste. Hanno organizzato un serissimo convegno di studi storici, ma è il pretesto per rivedersi.
Beh lì fu il lancio della rivista, venne moltissima gente. Ricordo che nessuno in città ci volle fittare una sala, ci riunimmo nel circolo degli anarchici, fuori dal paese, guardati a vista dalla polizia, che poi ci venne a controllare uno per uno nei posti dove andammo a dormire la sera.
Mario fece il discorso di apertura che prometteva un futuro luminoso di C.O. Lo capivano poche persone perché parlava difficilissimo. Parlò del mercato unico mondiale (chi ne sapeva niente, neanche adesso che c'è la globalizzazione), della presenza dell'Unione Sovietica che aveva impedito il mercato unico mondiale e quindi reso possibile una dialettica tra sistemi e paesi.
L'idea che lanciò con questo discorso-comizio è che era possibile una rottura dell'immobilismo dell'Italia di allora. I giovani che l'ascoltavano colsero solo la parola: "rottura". Questa è la verità.
Li ci si organizzò; ricordo che c'erano esigenze immediate di intervento, mi pare a Orte, si trattò di fare i primi volantini come C.O. Ci si strutturò nel lavoro con un gruppo a Roma, che faceva da coordinamento, e con i gruppi di intervento locali che avevano la più ampia autonomia. L'impressione che ebbi fu quella di una grandissima frammentarietà e dell'enorme difficoltà di poter mettere insieme esperienze diverse.
Chi c'era a Piombino oltre voi?
Alquati aveva portato 15 o 20 persone da Torino, Gasparotto altrettante da Milano. E altri da Genova e da Firenze e Pisa. La polizia era spaventata perché c'era tanta gente. Era la prima volta. Non devi dimenticare il periodo. Nel '60 c'era stato Tambroni.
Noi romani conoscevamo solo poche persone. Infatti la nostra maggiore preoccupazione era quella di andare a mangiare da soli, altrimenti avremmo dovuto continuare a lavorare, a rispondere alle domande, ecc.; invece andando a mangiare da soli potevamo ridere tra noi e di noi stessi come ci piaceva sempre fare.
Ti posso dire che c'erano tutti quelli che hanno fatto CO, i cui nomi trovate nella rivista; quelli che non erano noti li avevano portati gli altri.
Il 95% erano persone del Nord, pochi del centro, del sud non c'era nessuno. C'era tantissima gente, tanto che non ce la facevamo a stare al chiuso e uscimmo 'dall'antro' degli anarchici dove eravamo.
La stragrande maggioranza erano giovanissimi, tutti di estrazione studentesca, c'erano i tre operai collettivi, uno del Veneto, di porto Marghera, ce n'era uno di Firenze, Alberghetti.
Solo tre, tutti gli altri erano studenti ed erano giovani.
Per loro il discorso di Mario era assolutamente incomprensibile, c'era proprio un dislivello incolmabile. Io dico che tutta l'esperienza di C.O. si è consumata su questo dislivello. Come sarebbe potuto andare diversamente? O Mario si metteva a fare anche lui il lavoro politico e allora diventava antagonista al PCI, oppure faceva di C.O. una qualsiasi rivista di sinistra. Invece no, è rimasto questo oggetto stranissimo, per cui accanto agli articoli di intervento nelle lotte, ci sono pezzi teorici difficili. Rispecchiava la realtà. Io non penso che ci siamo delle tappe nella storia di CO. C'è Piombino e Firenze e tra Piombino e Firenze il tentativo di far stare in piedi l'esperienza.
Va affermato con chiarezza il ruolo di Aris, che metteva a posto il giornale. I pezzi arrivavano e vi potete immaginare come. Dal punto di vista professionale quello che voi vedete è il frutto del lavoro di Aris, redattore dell'Unità. Lo faceva in totale sdoppiamento, come succedeva ai comunisti. Queste sono realtà per noi incomprensibili, ma per loro all'epoca non lo erano.

gli operai della terra

CO affronta a un certo punto, con articoli originali, credo tuoi e di Alquati, il problema della terra, degli operai della terra...
Diciamo che quella è stata una idea di Alquati, personaggio sregolato e geniale. Lui, che era di Cremona, aveva 'una esperienza' che faceva da pendant alla mia 'bracciantile'.
All'inizio trovò molto diffidenza, non era proprio una tematica operaista ..., poi fu invece accettata. Il numero sulle campagne l'ho gestito quasi tutto io, dalla a alla z, nel senso materiale del termine, con l'aiuto di Romano e con una piena consonanza teorica e politica con lui. Ricordo anche l'apporto di Toni, che però non riesco a inquadrare bene. Diciamo che quel numero praticamente l'ho fatto io . Lo volli fare io innanzitutto perché ritenevo che si stesse imboccando una certa idea politico culturale su questi problemi e che fosse giusto che venisse fuori. Alla fine avemmo successo nel gruppo. Si discuteva ogni numero e l'idea che ci si potesse occupare anche di quelle problematiche, venne accettata.
In quel numero c'è anche un mio pezzo su 'Operai e PCI' che è poi diventato una specie di vademecum per i gruppi negli anni settanta. Non so se vi ricordate di Bologna, ebbene, in occasione del Congresso dell'autonomia nel 1977, quell'articolo fu stampato a migliaia di copie, anonime naturalmente. In quel periodo si saccheggiarono letteralmente i nostri scritti. Tutti anonimi ... fortunatamente.
C'è stato questo rapporto stretto tra te e Alquati nella scrittura del numero sull'agricoltura, ma poi i testi sono tuoi...
Beh all'epoca non c'erano queste distinzioni così nette, non stavamo scrivendo per una cattedra universitaria. C'era una grande consonanza.

i Fanon
Possiamo parlare del Fanon?
E' stato molto importante nella fase di abbandono di CO. L'idea di chiudere questa esperienza aveva gettato nella disperazione (non c'è altro termine) il 90% del gruppo, che poi saranno state un centinaio di giovani. Allora si è cercato qualche cosa che potesse sostituirla.
Il gruppo Fanon è venuto fuori nell'ambito del dibattito sul sottosviluppo e quindi del terzomondismo, che era un tema all'epoca vivo. Noi avevamo una posizione proprio opposta, come si desume dallo scritto di Mario Lenin in Inghilterra. Alcuni compagni come Monica Brunatto, un gruppetto di due o tre che erano legati a Paci, poi anche Daghini, si erano fatti abbagliare dal terzomondismo e dalla possibilità di inserirci nel circolo Fanon, impegnato sia in America Latina che in Africa. Ci fu un incontro a Roma, non so se con lo stesso Fanon o con uno del gruppo dirigente, dal quale venne chiaramente fuori che non era possibile un rapporto con loro. Facemmo anche lo sforzo di andare Mario ed io a Milano ad un seminario con il gruppo Fanon. I nostri premevano perché noi aderissimo all'iniziativa. Alla stazione ci aspettavano gli altri di Milano, la Brunatto, Gasparotto e andammo con loro al seminario.
Presentarono il loro discorso sulle lotte contadine, sulla lotta di liberazione dei popoli coloniali. Noi esponemmo la nostra linea, che aveva al centro le lotte operaie nelle società capitalistiche avanzate. Si capì che non c'era nessuna possibilità di comunicazione. Non so se poi sono continuati altri tentativi, io ricordo solo questo seminario di Milano che durò tutto il giorno. Le nostre posizioni e le loro erano del tutto inconciliabili. Questo era all'inizio del '67.
Dove abitava la Brunatto. Che fine ha fatto Monica Brunatto?
E' morta di cancro. Dieci anni fa. Era un tipo straordinario. Lei era una donna bellissima, assolutamente originale. Se fosse vissuta avrebbe forse fatto una fine violenta. Era assolutamente fuori da tutti gli schemi.
Questa esperienza di Fanon rende meno traumatica la fine ... La fine, insisto, è il seminario alla sala Mozart a Bologna. Ci fu una relazione di Mario, quella mia su Lenin, gli operai e le masse, una di Bologna su Rosa Luxemburg. Greppi era quello che aveva organizzato tutto per continuare a tenerci insieme.
C'è poi il Centro Francovich ...
Prima noi ci riunivamo nel circolo Rosselli di Firenze. Giovanni Francovic era un giovane, amico di Greppi, un compagno attivo negli interventi, un giovanissimo storico che ebbe un incidente automobilistico. Il circolo venne dedicato a lui per questa morte improvvisa.
Aveva 24 o 25 anni. L'ho conosciuto bene, era molto bravo, figlio di noti intellettuali fiorentini, si era assolutamente "identificato", come si diceva all'epoca, in C.O. perchè il socialismo ha fallito
Passiamo ai tuoi interessi per l'Unione Sovietica ...
Diciamo che questa mia attività è legata ad una specie di divisione di compiti che ci eravamo dati con Mario: io dovevo studiare perché il socialismo era fallito, lui doveva studiare perché il capitalismo aveva vinto. Può sembrare una battuta ma è proprio così. Gli studi sull'Unione Sovietica non nascono certo perché io mi identificavo nell'esperienza del socialismo sovietico. La spinta iniziale è quella che vi ho raccontato. In quel periodo, a metà degli anni sessanta, sull'onda di quel che stava succedendo in Unione Sovietica, si parlare molto delle riforme economiche sovietiche: per me si trattava di provare che lì non si stava facendo il socialismo. Così nacquero i miei interessi per l'Unione Sovietica: poi diventarono uno specialismo, ma sempre in funzione politica, come poi gli studi su Contropiano. Mi interessava portare avanti una posizione di rottura rispetto a quello che si diceva solitamente sull'URSS.
Io seguivo moltissimo la stampa estera rispetto agli altri, un po' perché lavoravano, un po' perché avevano interessi diversi. Io ero quella addetta alle relazioni internazionali. E' un po' come quando ci fu il primo governo bolscevico: quello che sapeva il francese andò a fare l'ambasciatore in Francia, quello che sapeva il tedesco andò a Berlino, quello che sapeva l'inglese andò a Londra. Siccome io leggevo le lingue straniere, ero quella addetta alle relazioni internazionali e avevo così più occhio per quello che succedeva negli Stati Uniti e per quello che succedeva nell'Unione Sovietica. Mauro Gobbini era l'esperto dell'Inghilterra, Umberto era l'esperto della Francia. C'era una sorta di divisione dei paesi.
Questo sia all'epoca di CO che dopo. L'interesse per l'Unione Sovietica nacque dal fatto che in quel paese stava succedendo qualche cosa; si trattava di verificare l'ipotesi che invece del socialismo si stava costruendo il capitalismo. Mario non voleva che si parlasse male dell'Urss, non voleva allora e credo non voglia neanche oggi ... (risate)
Ricordo benissimo che una volta, sulla base di alcune letture, avevo fatto una traccia di un seminario sull'Unione Sovietica e glielo diedi da leggere; lui, dopo averlo scorso, mi disse che quel lavoro lo poteva scrivere qualsiasi borghese. Non so che tipo di insulto vi può sembrare oggi, all'epoca era di quelli da aprire la finestra e buttarsi giù... (risate)
Il saggio Lenin e i soviet nella rivoluzione l'ho scritto insieme a Toni Negri. (Scorrendo i testi) Questa Paola Vinay era la moglie di Paci, era attiva nell'organizzazione. C'è tutto un piccolo gruppo di valdesi che erano prima con noi e che poi si staccarono.
Si stacca anche il gruppo di Genova e della Liguria ...
Si stacca sempre per la discriminante PCI... Se ne vanno malissimo, sono i soli che se ne vanno da nemici, per iniziativa di Faina. Non avevamo avuto all'inizio rapporti diretti, li abbiamo avuti in un secondo momento. Fu un episodio brutto.
Non so cosa posso dirvi su C.O. per chiudere questa chiacchierata. Volevo dare un giudizio su cosa è stata l'esperienza di C.O. E' stata una esperienza politica concreta. Non lo sarà Contropiano, tanto meno Laboratorio politico. Con C.O. avemmo tutti l'illusione di non star facendo gli intellettuali, ma di stare producendo qualcosa di concreto, di utile: lavoravamo per fare il giornale e questo era anche per una gran parte di noi, lavoro politico concreto, che poi diventava uno strumento e questo strumento era la possibilità di avere rapporti con operai e sindacalisti. Di fare 'intervento politico nelle lotte'.
Questa esperienza l'ho fatta per circa cinque-sei anni. Per tutto il resto della mia vita non ho mai avuto l'idea di fare quello che si chiama un lavoro produttivo. L'unica volta in cui ho avuto l'impressione di servire a qualcosa (non servire il popolo... -risate-), di essere utile a qualcosa e di fare quindi un lavoro che avrebbe dato risultati è stata C.O. E' stata una esperienza irripetibile. Bisogna contestualizzarla: un movimento operaio in crisi, la morte di Togliatti che sembra aprire nuove possibilità, le lotte operaie che riprendono... Avemmo allora l'illusione di stare facendo politica per cambiare le cose. Lo rifarei.

Questa intervista a Rita Di Leo si è svolta in due tappe, tra febbraio e marzo del 1998. Erano presenti alla prima chiacchierata oltre al curatore Mario Tronti e Francesco Verducci. Le domande e i commenti di Tronti sono segnalati all'inizio. E' difficile rendere in forma scritta l'intelligenza ironica, la simpatia, la memoria puntigliosa di Rita Di Leo. Questa trascrizione rende solo in parte l'esperienza umana che ha comportato per chi scrive l'incontro con lei.

R.Di Leo, I braccianti non servono, Einaudi, Torino 1961
R.Panzieri, Lettere, Marsilio, Venezia, 1987
A.Accornero, Fiat Confino, Ed. Avanti, Roma, 1960, poi riedito in Il mestiere dell'avanguardia, De Donato, Bari, 1981 Una anticipazione dell'inchiesta sarebbe poi uscita su Mondo Operaio in due puntate illustrate da foto di fabbrica, sui n.8 e n.9 di agosto e di settembre del '58 (pp.35-47 e 22-32 rispettivamente), nell'ambito del dibattito aperto da Lucio Libertini e Raniero panzieri sul 'controllo operaio.
Così ricorda quel periodo Aris Accornero: "Sei mesi prima ero stato licenziato per rappresaglia dallo stesso padrone, e ciò mi dava una motivazione in più, mentre il nuovo mestiere di cronista sindacale aggiungeva anche il dovere. Già quando ero in fabbrica avevo del resto aiutato Giovanni Carocci (e con me Vittorio Rieser e altri) a condurre la sua indagine sulla situazione FIAT, svolta tra il dicembre del 1956 e l'aprile del 1958, e pubblicata nel maggio, pochi mesi prima della chiusura dell'OSR. Quel fascicolo fece scalpore giacché da fonte insospettabile - come si dice - veniva documentato e denunciato il discriminatorio regime politico istaurato dall'azienda torinese nei propri stabilimenti". A.Accornero, Il mestiere dell'avanguardia, De Donato, Bari, 1981, pag. 27. Inchiesta alla FIAT. Indagine su taluni aspetti della lotta di classe nel complesso FIAT. era apparsa in Nuovi Argomenti n.31-32 marzo -giugno del 1958 ed era poi uscita per le edizioni Parenti nel 1960 G.Carocci, Inchiesta alla FIAT, Parenti, Firenze, 1960
Sono ora consultabili nell'"Archivio Quaderni Rossi-Classe Operaia" presso Mario Tronti

Così rievoca il Convegno di Agape una lettera di Paolucci a Rita Di Leo: " Cara Rita, ti scrivo solo ora, a campo concluso, per due motivi, cioè per darti una visione completa di quanto abbiamo fatto e anche perché finora tempo sufficiente per scrivere (pigrizia) non ce ne è stato. Quanto ti scrivo sono ovviamente mie impressioni nemmeno ripensate, e, mi sembra inutile dirlo, non valide per nessuno degli altri del gruppo presenti ad Agape. Ti confesso che, ignorando completamente cosa fosse Agape, sono rimasto sconcertato (anche perché l'incontro è stato, diciamo così, brutale. Dopo un viaggio così lungo e due ore di pullman, cantare salmi, ascoltare prediche mi è sembrato un po' fuori luogo. Ma è risultato chiaro anche in seguito che non sono un soggetto adatto alla 'comunità' nel senso che prediche, salmi, lettura bibliche e discussioni sul 'corpo di Cristo' mi sono estranee e mi sembrano irreali, ma probabilmente queste cose andrebbero viste con meno superficialità e certo con più serietà. Ma forse erano taluni aspetti, diciamo così, marginali che pesavano molto in ciò e che mi facevano 'ribelle' alla comunità (essi sembrano, credo, più convincenti se detti a voce, perciò rinuncio ad accennarteli). Ma passiamo a cose più serie. Dopo una discussione ad alto livello sullo spirito di Agape, il corpo di Cristo (Miegge), il limite, il trascendente (Mottura) ecc.., discussione accanita e ti assicuro non improvvisata, ma seria, serissima, anzi (la maggioranza del gruppo erano 'filosofi'), ma ti confesso per me sconcertante e anche spesso difficile da seguire (eravamo da poco arrivati), si è andati a letto tra un cigolio straziante di reti, e solo la stanchezza ci ha consentito di prendere sonno (non però a Raniero che per sua disgrazia si trovava proprio sotto di noi, e qui ci sarebbero da dire tante cose anche riguardo alla acustica di Agape). L'indomani si è iniziato il lavoro che è stato intensissimo e interessantissimo, il tema, del resto, lo lasciava prevedere. Il nostro studio si è aperto con la relazione di Miegge sulla alienazione in Rousseau e Hegel, giustamente impostata non a livello filosofico ma a livello di analisi della condizione operaia. Mario ha dottamente illustrato il concetto di estraniazione in Rouseau, che non è un frutto psicologico (la disuguaglianza sussiste quando l'uomo entra nella società, quando è 'guardato' dagli altri ecc.) ma riguarda le 'strutture', facendo una analisi approfondita e originale della Rivoluzione francese, ed esaminando poi lo stesso Hegel. La relazione attesissima di Tronti (smarrito e in disparte) ha suscitato consensi ed entusiasmi e con essa si sono aperti i seminari di studio (per altro falliti per mancanza di tempo). La relazione in Marx all'interno del processo produttivo (pur non escludendo che essa si estenda poi ad altre sfere di attività umana, come i consumi, lo scambio ecc.) è stato il tema che Mario ha trattato sollevando numerosi problemi e
discussioni. Mario ha ricondotto attraverso i Manoscritti del '44 allo studio del Capitale e in particolare alla IV sezione (se ne è fatta anche una lettura collettiva, che però tra il sonno, la fame, il freddo e la troneggiante figura di Raniero in veste da Carlo Magno che invitava il lettore a non confondere 'lavoro' con 'valore', ha dato pochi risultati). Punto fondamentale della relazione di Mario è stato il problema del superamento della alienazione che ha identificato direttamente con il problema della rivoluzione socialista. Mario ha messo in luce alcuni aspetti fondamentali che penso possano servire per uno studio più approfondito, come linea, cioè, da seguire dei testi di Marx. La relazione del marxista ortodosso Panzieri, come egli stesso si è definito, è stata lunghissima e veramente notevole. Ha fatto una analisi approfondita del capitalismo citando numerosi testi e considerando con rigore scientifico il suo evolversi, i suoi vari processi di sviluppo (le dinamiche del capitalismo, le continue innovazioni tecniche lo sviluppo tecnologico ecc.), di accumulazione e di formazione del plusvalore, sia nella fase del capitalismo concorrenziale, che nella fase moderna della concentrazione monopolistica e oligopolistica, esaminando poi il rapporto, la posizione dell'operaio di fronte al capitale, nella fabbrica moderna, con i suoi processi di razionalizzazione e di parcellizzazione, di dispotismo e le strutture gerarchiche ecc. In particolar modo ha poi considerato i modelli di sviluppo fondato sugli stadi di sviluppo tecnologico, nei quali parte importante hanno le cosiddette tecniche di integrazione, le relazioni umane, tecniche nel capitalismo più avanzato portano a forme di 'cogestione' e a un alto grado l'informazione, l'alienazione operaia nella questione del tempo libero (non vista come una ideologia di evasione) ma considerando la pianificazione della vita dell'operaio anche fuori dall'officina, cioè i processi di razionalizzazione più raffinata che esigono che integrazione si effettui anche fuori dalla fabbrica, impedendo cioè che possano sorgere elementi che renderebbero poi più difficile l'integrazione più totale nella fabbrica stessa. Infine Raniero ha preso in considerazione gli aspetti del superamento dell'alienazione in rapporto al neocapitalismo, la situazione delle ideologie della classe operaia all'interno del sistema, la considerazione allora, non di una scomparsa della classe operaia, ma anzi della presenza vivace di essa in lotte che però non trovano ancora uno sbocco politico organico serio; e con la constatazione della deficienza e debolezza dei movimenti organizzati della classe operaia stessa (il fatto cioè che le lotte della classe operaia tendono a svolgersi a livelli di stabilizzazione del capitale stesso..) ... Il gruppo di Torino ha fornito con la sua relazione una evidente conferma delle posizioni teoriche di Raniero. La relazione sulla FIAT condotta a tappe forzate nei due giorni, è stata il giusto coronamento del lavoro e ha chiarito molti aspetti e messo in luce taluni punti di
grande importanza per il nostro studio circa il problema dell'effettiva alienazione dell'operaio all'interno della fabbrica e anche fuori. Purtroppo non ho potuto ascoltare la parte di Mottura perché seppellito (con mia grande rabbia) nel letto e ho sentito così quella di De Palma e quella di Rieser che mi è sembrata veramente notevole, e una discussione finale nella quale sono emerse certe divergenze (tutti i gruppi sono uguali!) su taluni punti all'interno del gruppo stesso, con interventi soprattutto di Alquati (personaggio interessantissimo) veramente illuminanti e di messa a fuoco di certi aspetti. Ci sarebbero moltissime cose da dirti su Agape e la nostra settimana di studio ma credo che sarà cosa migliore dirtele a voce quando ci vedremo.." La lettera è consultabile nell'"Archivio Quaderni Rossi-Classe Operaia" presso Mario Tronti.
cfr. le osservazioni in proposito dell'intervista di Alquati
Può essere utile riportare qui i ricordo di un altro dei protagonisti di questo incontro, Romolo Gobbi: "La nostra presenza quotidiana davanti alla SPA si interruppe per qualche giorno in aprile, dal 23 al 26, perpartecipare al convegno di QR a Santa Severa, dove finalmente conobbi i componenti del nostro gruppo di Roma. Mi stupì soprattutto quel piccolo intellettuale romano, Mario Tronti, che nutriva la nostra stessa trepida aspettativa per gli scioperi per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Mi stupì anche per la sua freddezza, l'estrema sicurezza con cui parlava di fabbriche mai viste e per l'incredibile pesantezza del suo eloquio, gravido di cultura e di marxismo-leninismo. Noi, per nulla annichiliti dalle ponderose discussioni, confermammo la nostra natura di 'selvaggi' con il solito comportamento proletario-goliardico e con un paio di imprese che volevano attenuare l'aria di sacralità aleggiante su tutta la riunione. Basti ricordare la cerimonia della messa a letto di Panzieri, che si sentiva poco bene, da parte delle 'donne dei QR'. Anzitutto, non so perché, piegammo le due grandi rose di ferro che delimitavano l'ingresso del piccolo giardino della pensione di cui eravamo ospiti. Le piegammo verso la via e successe un casino per cui arrivarono i carabinieri e ne seguì una denuncia per blocco stradale del povero Panzieri. Poco piacevole dovette essere per lo stesso la nostra abitudine di farci servire gli extra con la frase rituale 'paga Panzieri'. Meno gravido di conseguenze lo scherzo fatto a qualcuno, che ci stava particolarmente antipatico: gli ficcammo sotto il letto la carogna di un gatto trovato morto sulla spiaggia. Naturalmente le nostre bravate erano una manifestazione polemica contro di 'sociologi' che continuava oltre le discussioni. A S.Severa si discusse del II numero dei QR che sarebbe uscito due mesi dopo e nel quale le due linee si giustapponevano".

R. Gobbi, Come eri bella classe operaia, Longanesi, Milano, 1989 pag., 100-101
E' probabile che Rita Di Leo si riferisca a un seminario successivo a quello documentato dalla lettera di
Panzieri e dai ricordi di Gobbi. Nell'incontro di aprile Panzieri, pur presente, come scrive, non interviene.
Così ricorda quel seminario Panzieri in una lettera ad Alberto Asor Rosa: "Riunione di S.Severa. Sono molto dispiaciuto di non avere dato quel contributo che i compagni forse si aspettavano e che del resto avevo anche preparato. In realtà ero in condizioni fisiche disastrose e questa è stata la ragione principale per la quale ho anche rinunciato a tenere la relazione, che forse sarebbe servita a ribadire le tesi di Mario. Ma non capisco come tu possa dire che non ho sostenuto le posizioni di Mario. Se da mesi ne sono il propagandista più attivo!.
A S.Severa Mario ha fatto ancora un 'salto' in avanti nella sua elaborazione.. è del tutto evidente che egli è l'unico pensatore marxista di cui si abbia conoscenza ai nostri giorni.. Quali le cause vere, politiche, oggettive, di questo disagio? Ecco la mia risposta: c'è stato un salto nella situazione oggettiva generale al quale non riusciamo ad adeguare l'attività dei gruppi. Il salto è rappresentato, ovviamente, dalla presa di coscienza politica del capitalismo circa il suo attuale stadio di sviluppo..E' lo stesso salto che ha reso più chiare e più impegnative le linee di ricerca teorica: le impostazioni ed elaborazioni recenti di Mario sono radicate in questa realtà..Fino a ieri la nostra istanza unitaria e rivoluzionaria di classe si presentava inevitabilmente sotto un profilo negativo, oggi esistono le condizioni perché si configuri come concreta, attuale, politicamente piena di espressione degli esistenti rapporti dio classe.. naturalmente ciò non comporta affatto né un disordinato attivismo (anzi) né una sopravvalutazione delle nostre possibilità, forze e compiti (anche qui, anzi). Comporta in ogni caso il più scrupoloso rifiuto di ogni mentalità di setta o di gruppo di pressione, e la visione ben chiara della responsabilità coinvolta oggi nelle nostre posizioni responsabilità assai più forte di ieri a livello generale e concreto di classe. Comporta di porsi di fronte alla crisi delle organizzazioni, come fattori di riunificazione e non di disgregazione degli elementi di classe che nella crisi emergono"

Panzieri, Lettera del 10 maggio 1962 a Asor Rosa , pag.330-331
Nota sulla recensione di Asor Rosa a Lessico familiare
Questa espressione ha una sua storia all'interno del gruppo. "Il 20 febbraio 1962 eravamo nel partito esattamente da un anno e ci fu un riesame della nostra radiazione. Pierluigi disegnò un cartiglio con una grande zeta rossa, per Zengakuren come ci chiamavano nel sindacato, al cui centro campeggiavano due braccia incrociate nel classico gesto osceno col motto:' moriantur burocrates'. In alto c'era un'altra scritta:' sempre espulsi, sempre presenti'" M.Gobbi, Come eri bella.., op. cit. pag.99 Ma l'espressione ricorre già nell'epistolario di Panzieri. Così troviamo in una lettera del 23 settembre 1961: "Sabato e domenica c'è stato il convegno sulla Olivetti a Ivrea, preparato dal gruppo (Romano, e Rieser con qualche aiuto episodico), e tenuto a livelli PSI: esempio di 'trasposizione' nel partito non di posizioni ideologiche (che sono sempre dialettizzate e assorbite) ma di un lavoro con tutta la sua dimensione concreta. Le relazioni sono state fatte da compagni che non sono completamente 'integrati' al gruppo ma sulla base di un lavoro fatto insieme: Dina, ingegnere della Olivetti, della sezione di Ivrea, e Muraro, della FIOM (ma quest'ultimo si può considerare - o quasi - zengakuren)"

Panzieri Lettera a Rita Di Leo pag. 325. L'esperienza degli Zengakuren era stata fatta conoscere da Azione Comunista che " documenta con scritto tratti dalla pubblicistica della sinistra straniera, l'evoluzione della teoria e della lotta di classe nel mondo e la situazione delle avanguardie internazionali. Il giornali contribuì a far conoscere le posizioni di Fenomeno obrero revolucionario (Spagna), delle Zengakuren (Giappone), di International socialism ( Gran Bretagna), di New and letters (USA), di movimenti rivoluzionari sud africani e di molti altri raggruppamenti" A. Peregalli, Le dissidenze comuniste tra Lenin e Mao.

Azione Comunista 1956-1965 in Classe n. 17 1980 pag. . 147
Sono ora reperibili nell'"Archivio Quaderni Rossi-Classe Operaia" presso Mario Tronti
Di questa ricerca romana promossa da Carocci c'è traccia anche nell'epistolario di Panzieri: "Intanto mi sembra necessario che il gruppo romano cominci a funzionare. Non so se potete concretare il progetto di lavoro a livello di base, che sarebbe sostenuto - come motivo di ricerca, ma non come fine - dalla proposta di Giovanni Carocci circa l'inchiesta sull'edilizia. naturalmente parlerò anche di questo con Pirelli, per l'aspetto finanziario". Lettera a Mario Tronti del 12 dicembre 1960 pag.302-303. Il 28 dicembre 1960 risponde Tronti a Panzieri: "L'inchiesta di Carocci prende corpo, si precisa, si amplia molto e soprattutto acquista sempre più un chiaro carattere politico nelle direzione delle nostre idee generali. Me ne occupo adesso da vicino e un po' tutti ce ne occupiamo, cosicché il lavoro pratico dell'inchiesta diventi un punto di riferimento per tutto il gruppo romano. Abbiamo pensato di affiancare a questo lavoro pratico una direzione di lavoro politico-teorico, e una serie di incontri e di dibattiti sui temi di sociologia marxista e non. Su questi ultimi punti è necessario un contatto più stretto tra noi e in particolare sentiamo il bisogno delle vostre conoscenze e delle vostre esperienze torinesi" Lettere op. cit. pag. 304. Il 30 giugno del 1961 troviamo un'altra lettera di Rita di Leo a Panzieri, sempre su questa ricerca di Carocci: "E' tornato Giovanni Carocci, so chi ti ha scritto chiedendoti la traccia dei colloqui FIAT (a me promessa da Mottura e mai giunta). Il soggiorno parigino ha, come era fin troppo facilmente prevedibile, acuito in lui la spinta sociologica (ormai si esprime in termini di scuola di Sorbona) e quella editoriale (c'è la proposta Finardi-Parenti--->3 milioni e quella di Feltrinelli---> 10 milioni) e il risultato è stato quello di acuire in me il sovversismo di cui sono sempre più cronicamente affetta.."

Lettere, op. cit. pag. 316
Questa la trascrizione degli appunti di Rita Di Leo circa il suo intervento nella dramatica riunione. Ad essa farà riferimento nel seguito dell'intervista: "Vorrei riferirmi all'intervento di Asor Rosa che ha esposta la sua visione, le sue opinioni riguardo a quanto sta accadendo nel MO e ne ha tratto conseguenze ed anzi principi sui quali CO dovrebbe poggiare il suo lavoro futuro.
Secondo Asor Rosa l'analisi di Tronti sui sommovimenti all'interno del MO sono troppo ottimistiche, giacché se è vero che si deve ammettere la formazione di una grossa sinistra ufficiale, bisogna tuttavia riconoscere che tale sinistra è macroscopicamente più riformista della vecchia dirigenza.
Da un lato si assiste al fatto che la struttura del partito riesce a tutt'oggi a catturare e neutralizzare le spinte di base, dall'altro lato la sinistra riformista, appena nata, ha già dichiarato di non essere disposta a concedere spazio agli "estremismi".
Discende da ciò la chiusura di una ipotesi di lavoro all'interno del PCI e del PSIUP. Discende altresì, nella visione di Asor Rosa, che la cristallizzazione del MO provocherà l'esodo dei militanti, i quali rimarranno disorganizzati, senza guida politica.
A questo punto un compito politico di grande portata si aprirà (?) per CO e cioè l'assunzione da parte del gruppo, di noi presenti, del processo di riunificazione delle forze rivoluzionarie, ormai definitivamente deluse dal PCI e dallo PSIUP.
Tale lavoro avrebbe però limiti ristretti se non poggiasse su proposte organizzative. L'immissione delle forze in movimento in un processo organizzativo alternativo a quello del MO dovrebbe essere secondo Asor Rosa il nostro programma per il futuro.
Per essere ancora più esatti, Asor Rosa ha posto due programmi: il primo ristretto all'elaborazione del discorso teorico, con l'abbandono dell'illusione di poter attraverso di esso dirigere le forze politiche in movimento; il secondo impostato su un lavoro politico con in prospettiva la nuova organizzazione di classe.
Nessuno di questi due programmi a me sembra soddisfacente e realistico.
Quello di limitare la nostra azione all'elaborazione teorica di una strategia rivoluzionaria, per il fatto che noi ci consideriamo militanti rivoluzionari e non scienziati rivoluzionari o costruttori di formule per futuri uomini di buona volontà.
Le nostre formule intendiamo provarle noi.
Al secondo programma ho da fare alcune osservazioni.
Riguardo all'ottimistica visone di Asor Rosa sulle masse di militanti delusi del MO che ci cadrebbero tra le braccia solo che avessimo nel frattempo aperto la sede della nuova organizzazione e diffuso il nuovo
programma veramente rivoluzionario, la realtà è molto complessa. Come ha detto ieri Tronti, siamo in un momento di transizione sia per quanto riguarda l'offensiva capitalistica, sia per quanto riguarda la situazione interna del MO. Ambedue queste forze tendono ad una stabilizzazione, alla pace sociale, tutte e due queste "forze" hanno di fronte la classe operaia che si oppone oggettivamente al loro disegno tanto simile.
L'opposizione al padrone ha il suo terreno tradizionale nella lotta di fabbrica. L'opposizione al MO si esprime in molti modi, il più diffuso dei quali è il rifiuto dell'organizzazione, del partito operaio giacché non lo si ritiene più tale, non lo si ritiene più utilizzabile da parte operaia, lo si ritiene fossilizzato. Il rifiuto del partito operaio da parte degli operai non è il rifiuto del PCI o del PSIUP ma della possibilità (dell'utilità) di una organizzazione politica in quanto tale. Il momento in cui anche gli operai italiani si trovassero completamente al di fuori del MO sarebbe una grave sconfitta per la classe, equivarrebbe alla chiusura temporanea di qualsiasi speranza di processo rivoluzionario.
E' proprio tenendo presente le conseguenze di un distacco della classe dal partito, che si devono vedere oggi le prime crepe alla fossilizzazione del partito come una novità enormemente positiva. Scoprire che il modello di società di Ingrao è già stato molto meglio definito e portato avanti dalla socialdemocrazia classica mezzo secolo fa, è una perdita di tempo. Il gesto di Ingrao, la possibilità di riformare una dialettica all'interno del PCI deve servire a dimostrare a livello operaio che il partito non è uno strumento di potere nelle mani di quattro vecchi traditori presenti o di quattro giovani traditori futuri.
Nel momento in cui all'interno del partito si tornassero a mettere in discussione le proposte del gruppo dirigente, allora torna a ridiventare possibile un uso operaio di questo strumento di potere.
Passare attraverso il PCI per fare la rivoluzione non significa ritenere il PCI come è oggi una organizzazione rivoluzionaria, ma significa non costringere la classe al lungo travaglio nel rifiuto di una organizzazione politica, alla lunga operazione di ricucitura tra la classe e un nuovo partito, significa il ritorno della classe all'azione politica, attraverso le lotte per il partito, non più solo contro il padrone, ma contro il piano.
La nostra scelta non è tra il PCI e una nuova organizzazione, ma tra il tentativo di arginare il divario tra la classe e l'organizzazione politica oppure stare ad aspettare che la classe, ricevuta la salutare lezione, sappia questa volta scegliere bene.
Ripeto i sommovimenti all'interno del PCI ci interessano non perché la sinistra rappresenti una alternativa per la classe, ma perché essi sono la dimostrazione che il partito non è un possibile, di cui imparare ogni giorno a fare a meno, ma uno strumento di potere di cui va organizzata con pazienza la conquista.
Non facciamoci suggestionare dallo spavento di Negri per gli operai italiani in procinto di inglesizzarsi; graziea particolari italianissime fortune la classe operaia non è ancora sbriciolata in milioni di operai ridotti a esprimere una lotta personale contro il padrone. Ieri Tronti ha parlato del nostro programma di lavoro che deve svolgersi contemporaneamente su classe e partito, della nostra azione come gruppo esterno. Intervenire nelle lotte dei metallurgici perché essa blocchi il piano, intervenire sulla lotta all'interno del PCI perché prevalga un punto di vista operaio.
Intervenire si, ma come gruppo esterno, il che significa rendersi conto che CO non può da sola dirigere lo scontro dei metallurgici né sostituirsi ad Ingrao contro Amendola. CO può diffondere nell'uno e nell'altro campo le sue parole d'ordine e sperare che illuministicamente camminino. Per ora CO può fare questo; farlo dovrebbe portare ad una crescita politica del gruppo, quantitativa e qualitativa.
Aver trovato finalmente lo sbocco politico alle nostre indicazioni di lotta e cioè potere scrivere coi volantini il contratto; la lotta per noi è un mezzo per bloccare il piano la classe intera dei padroni; ma strumento non immediato per bloccarlo ogni giorno è l'organizzazione politica in fabbrica. La lotta contro il piano è la lotta.., questo dovrebbe portare alla nostra crescita.
Intanto siamo pochi, nonostante cinque anni di impegno politico, ci concediamo troppo il lusso, tutti intellettuale, di continui ripensamenti. Non so quanti di voi fossero a Piombino 2 anni fa, certamente c'è il nostro attuale presidente che, anche in quella occasione, fece il presidente.
A Piombino, due anni fa, liquidammo felici e contenti l'illusione della minoranza rivoluzionaria, cioè del gruppetto che crea nuove etichette, nuove organizzazioni per la rivoluzione.
Non so quanti di voi fossero con i QR all'epoca del primo numero, quando ci liberammo dell'illusione che il sindacato e quattro sindacalisti onesti potessero fare la rivoluzione. Eppure la settimana scorsa mi sono giunti due volantini che dimostravano tale illusione ancora viva; in uno si logorava per l'ennesima volta la parola d'ordine "scontro generale di massa", nell'altro si esaminava la piattaforma contrattuale per dimostrare agli operai i tradimenti della CGIL.
Infine il lavoro sul partito. Si ha l'impressione che troppo spesso sinora sia stato legato, sia dipeso dall'incontrocon i quadri comunisti disposti a chiacchierare con i giovani oppure no. Nel primo caso si dichiara verificata la linea di CO, nel secondo si riteneva dimostrata l'impraticabilità di essa ed anzi il distacco del PCI dalle masse operaie.
Uno dei pochi compagni che hanno portato avanti il lavoro sul partito con impegno e che ci voleva dare le prime indicazioni, necessariamente empiriche e artigianali, è stato ieri interrotto con violenza spropositata. Gli è stato chiesto quale sbocco potessero avere i fermenti intorno al partito degli operai dell'AR.
Mi chiedo se si è riflettuto sull'importanza che un rifiuto della politica del gruppo dirigente del PCI, portata avanti dagli operai, come quelli dell'AR, attraverso le cellule di fabbrica, le sezioni territoriali, qualsiasi canale, l'importanza che una tale presa di posizione operaia avrebbe sui movimenti all'interno del partito, sulle indicazioni utili per una costruzione..". Tali appunti sono ora nell'"Archivio Quaderni Rossi-Classe Operaia" presso Mario Tronti.
Nota sul Convegno di Piombino del 1998
Si tratta di "Classe Operaia" n.3 marzo 1964
Nell'epistolario si trova un accenno curioso ai rapporti tra Rita Di Leo e Monica Brunatto: "Teneteci informati minutamente - scrivono a Tronti Raniero Liliana Giovannino Edda il 12 giugno del 1961 - delle appassionanti vicende interne del gruppo, soprattutto della dialettica Rita-Monica. E tu, ci raccomandiamo, conservati sempre 'saggio'". Lettere, op. cit. pag. 312 Intervista a Rita Di Leo 26

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