4.7.05

Dibattito sulla sinistra radicale: Due sinistre, due destini?


SINISTRA RADICALE
Due sinistre, due destini?
Bipolarismo L'inesorabile pendolo che condanna i voti alternativi
ENRICO MELCHIONDA
Comincio a domandarmi se nel quadro politico-istituzionale della seconda repubblica ci sia ancora spazio per una sinistra alternativa (e addirittura per una sinistra tout-court), o almeno quale sia il suo spazio, e non solo in termini quantitativi. E' vero: le sue varie schegge raccolgono una porzione di voti di per se' non irrilevante (tra il 10 e il 20%), se messa in relazione con il formato medio del nostro sistema partitico. Ma e' anche vero che quest'area, con il frazionamento e la concorrenzialita' che la contraddistingue, sembra destinata a rimanere eternamente in una collocazione tutt'altro che comoda. A prima vista, essa sembra godere della stessa rendita di posizione e dello stesso potenziale di ricatto che la logica maggioritaria bipolare ha assegnato ai partitini di vocazione governativa. Invece vediamo, nel caso di una sinistra di alternativa, che le cose vanno esattamente al contrario. Polverizzate come sono, queste forze sono piu' ricattabili che ricattatrici. La loro posizione si rivela cioe' insostenibile, perche' le costringe ad oscillare di continuo (e senza vie di uscita), o a dividersi, tra due opzioni altrettanto insoddisfacenti: o accettare di concorrere, ma in maniera subalterna, alla competizione bipolare al fine di sconfiggere lo schieramento avversario, o chiamarsene fuori, assumendosi pero' la responsabilita' dell'eventuale (anzi probabile) sconfitta del centro-sinistra, con conseguenti ostracismi e accuse di sabotaggio. E' su queste opzioni, del resto, che la vicenda della sinistra alternativa si e' avvitata in questi anni, tra litigi e scissioni, fino a condurla alla situazione di divisione attuale. E su di esse, com'e' noto, si sono giocati in gran parte i destini del governo di centro-sinistra, la caduta di Prodi e la rivincita di Berlusconi del 2001. Cosi' come sara' su di esse che si giochera' ancora la partita delle prossime elezioni politiche, lasciando intatte in caso di vittoria tutte le irresolutezze gia' sperimentate dopo il '96. Il che vuol dire che la posizione della sinistra alternativa risulta disagevole anche per i suoi forzati partner.

Quindi la questione e' seria. Ma non e' facile da risolvere, specialmente in un contesto maggioritario bipolare. Ne' si tratta di una peculiarita' tutta italiana: basti pensare al caso di Nader negli Usa, prostrato dal dilemma se offrire agli elettori di sinistra un'alternativa reale, anche a costo di far rivincere i repubblicani come alle elezioni del 2000, oppure ritirarsi dalla corsa, lasciando pero' campo libero alla linea Bush-light di Kerry. Sono questi evidentemente gli effetti di un meccanismo elettorale micidiale, concepito come baluardo del cartello dei partiti istituzionalizzati. Ma sbaglieremmo a dare tutta la colpa al sistema elettorale. Non si puo' escludere affatto che in futuro una situazione del genere si possa presentare anche in paesi come la Germania o la Spagna. E, insomma, dovunque esista una seconda sinistra, al fianco di una piu' forte componente moderata.

Per quanto riguarda l'Italia, ammettiamo pure che, dopo tre anni funestati dal governo di centro-destra, gli altri abbiano imparato la lezione. Non per questo ci si puo' illudere che il problema non si riproporra' ancora. Finche' ci saranno due sinistre cosi' distanti per culture e programmi, il pendolo continuera' a oscillare inesorabilmente. Ora, in vista del 2006, esso sembra tornato saldamente verso l'accordo. Ma non si riesce proprio a capire come potranno convivere nella pratica di governo cose cosi' diverse, una volta che ci si sia sbarazzati del collante anti-berlusconiano. Forse prima o poi si perseguira' la soluzione finale: neutralizzare la sinistra alternativa, cosi' da rendere finalmente autosufficiente un Ulivo a nucleo �forte� (in questo senso andava infatti l'iniziativa del Triciclo). Del resto, un marchingegno per minimizzare il potenziale di coalizione delle forze centrifughe potrebbe far comodo anche a un centro-destra riposizionato piu' al centro, come lo vorrebbero Follini e i suoi potenti supporter �neocorporativi�. In questo senso potrebbe funzionare un ritorno al proporzionale, che non e' detto affatto debba significare la fine del bipolarismo. Il paradosso e', poi, che questa �soluzione finale� potrebbe solleticare le stesse smanie puriste di una certa sinistra radicale, che nel suo splendido isolamento si sentirebbe finalmente libera di coltivare le proprie inclinazioni movimentiste.

Malgrado tutto, una tale soluzione non e' tanto facile da realizzare: i rischi che comporta sono troppo alti, almeno nell'immediato, finche' la logica della competizione rimane quella attuale. E non e' detto che funzioni anche in prospettiva. Per intanto rimane l'impasse, che per la sinistra alternativa si traduce in una vera e propria trappola. Come uscirne? Puo' esistere una terza opzione, tra subalternita' e isolamento?

Vengo qui alla proposta di Asor Rosa: i vari spezzoni della sinistra alternativa si mettano insieme in qualche modo per far pesare la propria forza nei rapporti con la componente moderata del centro-sinistra e nella formulazione dei programmi di governo. Una proposta di puro buon senso, anche se non nuova, ma che non a caso cade puntualmente nel vuoto. Come mai? Tutti i sospetti qui ricadono sulle leadership, accusate di ostacolare la prospettiva dell'aggregazione per volgari interessi di bottega o, al contrario, di volerla adottare, con una scorciatoia �politicista�, proprio per perpetuarsi in quanto �ceto politico�.

Il fatto e' che le logiche di ceto politico, pur non andando mai sottovalutate, non bastano a spiegare la situazione assurda della sinistra italiana. A monte delle divisioni vi sono infatti problemi di strategia e di cultura politica, di non facile soluzione, che richiedono un lavoro di lunga lena e il massimo coinvolgimento di movimenti e organizzazioni sociali pur non assimilabili a un'impresa strettamente politica (qui condivido cio' che scrive Rossanda). Il che non vuol dire che intanto le forze della sinistra alternativa se ne debbano stare con le mani in mano, anzi implica che si impegnino sul serio in direzione di una riaggregazione, con tanto di obiettivi a breve (unita' d'azione) e medio termine (costituente di un nuovo soggetto politico). C'e' bisogno, insomma, che la politica si riprenda il ruolo che ad essa dovrebbe spettare, e cioe' quel ruolo veramente rappresentativo a cui invece abdica sia quando si arrocca in una collocazione separata, autoreferenziale, meramente procedurale, sia quando si culla nell'illusione di potersi limitare a rispecchiare il protagonismo �dal basso� della societa' e dei movimenti.

Non so se la sinistra alternativa riuscira' a ritagliarsi uno spazio autonomo e non residuale nel nostro sistema politico o se e' destinata a soccombere alla sua americanizzazione progressiva. Il fatto stesso che abbiamo preso l'abitudine a chiamarla sinistra �radicale�, secondo la tradizione americana (fa bene Testi a ricordarcelo), e' forse il segno di una mutazione profonda. In ogni caso, c'e' un elemento che trovo preoccupante in questa nostra discussione: si da' per scontato che i destini delle due sinistre siano irrimediabilmente separati. Credo che, invece, la stessa sinistra alternativa sia priva di un futuro se non avra' come sponda e alleato una vera sinistra riformista, cosi' come l'abbiamo conosciuta nella tradizione europea. La sua involuzione non e' un problema di cui ci si possa lavare le mani.

(il manifesto - 17 Agosto 2004)

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