4.7.05

Primarie: Un rimedio peggiore del male


PRIMARIE
Un rimedio peggiore del male
Centrosinistra Il colpo definitivo a quello che resta dei partiti
ENRICO MELCHIONDA
Trovo sorprendente che la proposta delle primarie non abbia suscitato nel centrosinistra nessuna obiezione di principio. Dopo che a luglio scorso Prodi l'ha messa sul piatto del suo rientro, ho aspettato per quattro mesi che qualcuno dicesse un no sostanziale, ma niente. Al massimo, dubbi di carattere procedurale o contingente, schermaglie tattiche o strumentali. Nessuno che ne contestasse la logica di fondo. Nel frattempo abbiamo assistito alle discussioni e alle polemiche piu' inverosimili e nominalistiche, come quelle sul nome e sul posizionamento del centrosinistra, ma sulle primarie l'unico problema su cui ci si e' appuntati e' stata la candidatura di Bertinotti. Fino al punto di far dire al segretario dei Ds che in un'alleanza politica �ci si divide sul programma, non sulla leadership�. Ci sarebbe di che rimanere sbalorditi se non sapessimo come funzionano le coalizioni dopo l'introduzione del maggioritario e quanto abbia sfondato la personalizzazione della politica nel nostro sistema. E' vero, alcuni hanno provato timidamente a proporre che le primarie si svolgessero sul programma piuttosto che sul leader. Tuttavia, di fronte alle difficolta' pratiche, hanno subito fatto marcia indietro, dimostrando che la loro era solo una boutade. Il risultato e' che le primarie sono entrate pacificamente nell'agenda politica del centrosinistra, considerate un passaggio cruciale in quella che si immagina (troppo ottimisticamente) come una marcia trionfale verso la riconquista del governo. In esse si vede lo strumento ideale per creare quella partecipazione che riduca la distanza tra partiti e popolo del centrosinistra, gia' esplosa in modo eclatante con il fenomeno dei girotondi, e che soprattutto legittimi democraticamente una leadership la quale, priva di risorse proprie, deve unificare una coalizione eterogenea e litigiosa. Niente di strano quindi che la procedura preveda una sola candidatura effettiva. Ma, poiche' pur sempre di una consultazione elettorale si tratta, appare altrettanto ragionevole che ci sia chi presentera' la sua candidatura di bandiera, anche se beninteso rigorosamente non alternativa a quella del prescelto.
Ebbene, a me tutto questo pare il segno, se non di un impazzimento, certo di una degenerazione profonda della cultura politica nel centrosinistra. In tutte le sue componenti, purtroppo. Sono anni che le sentiamo polemizzare con i fenomeni del populismo e del direttismo, paventare i �pericoli plebiscitari� e l'americanizzazione della nostra vita politica. Pero' al momento opportuno, quando sono in gioco scelte pratiche, la direzione che prendono e' proprio quella. Sarebbero tanti gli esempi da fare, negli ultimi quindici anni. Ma basta vedere a che cosa sono stati ridotti i partiti per rendersene conto. Privati ormai di funzioni partecipative, essi sono oggi puri strumenti politici del leader di turno, per il resto affaccendati a tempo pieno nella promozione del proprio personale politico. Ma a quanto pare tutto questo non e' bastato: tanto vale andare fino in fondo. Ecco allora le primarie.
Non esiste forse un meccanismo piu' micidiale delle primarie per distruggere i partiti come strutture organizzate di rappresentanza. Lo sa bene chi conosca minimamente la storia politica degli Stati uniti. Prima sotto l'urto del movimento progressista-populista d'inizio secolo e poi con l'avvento della videopolitica degli anni sessanta-settanta, le primarie hanno fatto da grimaldello per smantellare i partiti americani. Espropriati del controllo delle candidature e ridotti a mere etichette senza organizzazione, questi partiti hanno dovuto cedere l'iniziativa politico-elettorale a piu' o meno improvvisati imprenditori politici, agli interessi irresistibili delle corporations, all'attivismo dei gruppi di pressione piu' vari. Quel meccanismo che doveva democratizzare il processo elettorale si e' rivelato insomma la breccia perfetta per l'affermazione di una politica oligarchica. E non e' privo di ironia che ad adottarlo per primi, negli anni settanta, furono i democratici. Il suo esito e' stato infatti il crollo della partecipazione e la dilatazione sfrenata del ruolo del denaro nelle elezioni, cioe' l'espulsione di una parte della popolazione, guarda caso quella economicamente piu' svantaggiata, dal processo democratico.
Perche' le primarie hanno l'effetto (all'apparenza paradossale) di impoverire il processo democratico? Com'e' possibile che questa procedura iper-democratica finisca per avanzare sempre in parallelo con la crescita dell'alienazione politica? Si badi bene: non dico che le primarie provochino di per se' (o almeno immediatamente) il declino della partecipazione. Le due cose derivano semplicemente dalla stessa logica, quella del direttismo, che non mira alla democrazia partecipativa, bensi' ad annichilire le strutture intermedie di rappresentanza politica. Cioe' i partiti. Poiche' la partecipazione e' correlata, piu' che a qualsiasi altro fattore, al senso di efficacia del proprio voto, l'elettore si accorge presto che esprimersi per un candidato piuttosto che per l'altro non serve a molto se poi non c'e' un'organizzazione collettiva che stabilmente rappresenti, traduca in progetti politici e immetta nel processo di governo i propri interessi e valori.
Anche in Italia, come a suo tempo negli Usa, si cerca di far passare l'introduzione delle primarie come un favore che si farebbe ai partiti, perche' possano rinnovarsi e rivitalizzarsi. E in effetti anche qui da noi l'innovazione e' giustificata dalla crisi e dalla degenerazione in cui i partiti sono ormai caduti da tempo. D'accordo, ma rimane il problema che il rimedio e' peggiore del male, nel senso che finira' per ammazzare il malato. Si tratterebbe allora di fare un discorso di verita': che cosa vogliamo farcene dei partiti? Da questo punto di vista, e' perfettamente comprensibile che Prodi, nella sua posizione, sentendosi forte di un consenso che ormai va oltre i partiti che originariamente lo avevano designato, non intenda piu' essere il loro candidato e percio' voglia procurarsi attraverso le primarie una legittimazione autonoma. Ma non e' comprensibile che i partiti stessi accettino volentieri di suicidarsi. Il sistema maggioritario e il profumo del potere sono senz'altro molto forti per resistergli, per non sacrificargli di volta in volta qualche pezzo della propria identita' e della propria autonomia, ma da gruppi dirigenti degni di questo nome ci si aspetterebbe una capacita' di guardare alla prospettiva, almeno di sapere (e dichiarare) dov'e' che ci stanno portando.
Quella delle primarie e' una strada da cui sara' poi difficile retrocedere, nel senso che non ci si puo' illudere che la scelta rimanga confinata a una certa congiuntura, a certe modalita' e a un certo tipo di elezione o carica. Che cioe' il meccanismo rimarra' sempre controllabile, come sembra piu' o meno in quest'occasione. Lo si e' visto in America: esso tende ad autoalimentarsi, estendendosi (a tutte le candidature, e non solo quelle monocratiche) e intensificandosi (dalle primarie chiuse a quelle aperte, poi alle blanket e perfino alle nonpartisan), fino ad imporne l'istituzionalizzazione. Con partiti del genere, per meta' statalizzati e per meta' privatizzati, non meraviglia che la politica sia normalmente poco attraente. Dovrebbe meravigliare invece che ne sia proprio la sinistra il veicolo prediletto, in America come in Italia.

(il manifesto - 3 Dicembre 2004)

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