14.10.05

Antonio A. Santucci, una vita per Gramsci (di Bruno Gravagnuolo)


Liberazione
29 febbraio 2004�

Da L'Unita'. La scomparsa dello studioso che con Gerratana lavoro' all'edizione critica dei "Quaderni del carcere"

Antonio A. Santucci, una vita per Gramsci

Pubblichiamo stralci dell'articolo che Bruno Gravagnuolo ha dedicato su "L'Unita'" di ieri ad Antonio Santucci, scomparso venerdi'. Cogliamo l'occasione per comunicare alla famiglia dell'autorevole studioso il piu' sentito cordoglio della direzione e della redazione di "Liberazione".


Stavolta e' vero. Antonio Santucci, artefice con Gerratana dell'edizione critica dei Quaderni gramsciani, se ne e' andato. La diffusione prematura della notizia luttuosa, che aveva fatto annunciare in anticipo la sua morte, non e' servita scaramanticamente a scongiurare l'esito a cui non c'eravamo rassegnati. Una speranza ingenua a cui ci aggrappavamo, che non ci pareva irriverente, sicuri che Antonio spiritoso come era si sarebbe divertito per quello strano incidente, una volta guarito. E invece siamo qui a raccontare Antonio stroncato da un male vigliacco, l'amico nostro certo, ma prima di tutto lo studioso di rango che appartiene a tutti. E alla sinistra in primo luogo.

Solo 54 anni e una mole di lavori preziosi. A cominciare dalla presenza silenziosa e incisiva dentro uno dei libri piu' grandi del secolo. I Quaderni del Carcere di Antonio Gramsci. Che grazie a lui e a Gerratana videro finalmente la luce in un'edizione insuperabile, quella Einaudi. Per Antonio i Quaderni non avevano segreti. E non solo in senso filologico, piano su cui eccelleva, ma anche dal punto di vista interpretativo. E su Gramsci, benche' sempre guardingo e aperto come pochi. Antonio aveva le sue idee, nutrite di lavoro al chiodo e di passione. Era il suo un "Gramsci comunista", non piegato alle mode strumentali e di immagine buoniste. Un comunista che pensava lo scacco della rivoluzione in Occidente e rifondava il marxismo dentro la complessita' della societa' civile pervasa dal fordismo, che era poi la "globalita'" di quel tempo, dopo lo strappo dell'Ottobre 1917. Ed era un Gramsci piantato saldamente sulla tradizione della filosofia italiana, capace altresi' di intuire i temi dell'"immaginario" di massa, della comunicazione, delle forme del potere immateriale e linguistico. In anticipo su tante teorie strutturaliste e post-strutturaliste. E questo era uno dei suoi tasti prediletti. Ripristinare il testo gramsciano, contro deformazioni mirabolanti e di comodo. Lasciarlo vivere criticamente dentro la tradizione a cui il testo apparteneva. Ma al contempo isolando i nuclei filosofici e di pensiero che andavano ben al di la' di quella tradizione e che restavano ancora. Come strumenti formidabili di interpretazione, oltre il comunismo e senza il comunismo.

Senza comunismo era proprio il titolo di uno dei suoi libri piu' belli (Editori Riuniti, 2000). Che condensava i due rovelli di Antonio. La riflessione sull'eclissi del comunismo occidentale - che lui sperava di cogliere come "ricorso vichiano" - e la messa a punto di categorie gnoseologiche sulla storia e sulla societa', che in Gramsci erano comunque vitali e perduravano. La "prassi" ad esempio. Che per Antonio non era una rifrittura gentiliana, ma la forma stessa del lavoro e dell'agire politico e sociale che scongela e rimescola la produzione e la riproduzione materiale. Oppure il "blocco storico", costruzione e ricostruzione dialogica di alleanze sociali che articolano la societa' civile, alla base dello stato come "forza" (..).

Da lui abbiamo imparato tantissimo, non solo su Gramsci teorico, ma su Labriola e il suo tempo, sul nesso controverso Labriola-Croce-Gentile, sui "misteri" del prigioniero Gramsci, sul suo modo di scrivere e pensare. Sul modo stesso in cui il marxismo entro' in Italia, tra formazione del Psi e revisione crociana. Riusciva a farci toccare con mano certe atmosfere, aiutandoci a dissipare tante false congetture sui falsi complotti, messi sul carico di un immaginario Pci "carceriere". Discutevamo tanto, io e Antonio. Sul comunismo, sul revisionismo, sul Pci e la svolta del 1989, che lui non aveva condiviso e che viveva con amarezza, in una col dolore di aver vissuto un ingiusto contrasto umano e professionale - dopo la morte del suo maestro Gerratana - con l'Istituto Gramsci. Che era stata la sua casa, e che aveva dovuto abbandonare, prima di diventare professore all'Universita' di Salerno. Erano discussioni forti che avvenivano al telefono oppure a Villa Ada, dove ci incontravamo per caso, io a correre lui a passeggiare per curare problemi alla schiena. Ho di Antonio nella mente tante immagini. Una foto in cui a Cava de' Tirreni, dove siamo nati, leggevamo bambini il Corrierino. L'altra su un campo di calcio polveroso sempre a Cava dove lo misi giu' con un fallo. Amici per la pelle, fratelli, compagni.

Continuero' a cercare Antonio a Villa Ada, o dalle parti di quel campo di calcio.

Bruno Gravagnuolo

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