14.10.05

I comunisti mangiavano gli intellettuali (di Antonio Santucci)


Da: "la Rinascita"/Cultura

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Cultura Saggistica I comunisti mangiavano gli intellettuali di Antonio A. Santucci

Non c'e' nulla di male, anzi, e accade percio' spesso, che un saggio pubblicato all'interno di una grande opera, a piu' voci e in piu' volumi, venga riproposto in forma autonoma. Come breve libro a se', magari rivisto e un po' ampliato. Perche' il suo argomento e' particolarmente suggestivo e attuale. Perche' l'autore e' di gran nome. Semplicemente perche' il �tascabile� tira meglio. Di cultura e ideologie nell'Italia contemporanea si occupava, com'e' naturale, un capitolo del sesto tomo (quasi 800 pagine apparse un paio d'anni fa) della laterziana Storia d'Italia curata e diretta da Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto. La cultura, nel nostro paese e non solo, s'e' imbattuta infatti nelle ideologie piu' o meno nefaste che hanno attraversato il secolo appena concluso. Ideologie, appunto, rigorosamente al plurale. Le quali s'imbarcavano alla conquista della cosiddetta "egemonia" culturale che, in una societa' pluralistica come quella dell'Italia repubblicana, "non ha sempre coinciso con il prevalere di un unico e obbligante centro da cui emanavano punti di vista omogenei e imperativi con validita' erga omnes". Tale "pluralismo" si e' manifestato in un'irriducibile molteplicita' di scuole e tendenze. Inoltre "nell'ambito delle discipline che piu' riflettono i percorsi simbolici e gli umori dello �spirito del tempo� la presenza di contrappesi pluralistici e di varieta' ideologiche ha impedito un uniforme appiattimento su canoni �egemonici� rigidamente imperativi". Insomma "questo quadro mobile e variegato appare come la migliore smentita di una rappresentazione �monocromatica� del panorama culturale degli ultimi trent'anni". Si tratta delle ragionevoli conclusioni cui approda l'autore del saggio, Pierluigi Battista, editorialista della Stampa e gia' condirettore di Panorama. Che le illustra con dovizia di esempi: le incrociate "nefandezze censorie", i tagli all'Arialda di Testori per la regia di Luchino Visconti nel '60, i sequestri di Viridiana di Bu�uel e dell'Avventura di Antonioni, piu' tardi dell'Ultimo tango di Bernardo Bertolucci condannato infine al rogo. L'estromissione di Paolo Volponi dalla Fondazione Agnelli, nel '75, causa la sua intenzione di voto a favore del Pci. L'attacco dell'Osservatore Romano a Fellini per la Dolce vita e la gelida accoglienza del suo Prova d'orchestra da parte dei critici di sinistra. O ancora il sospetto suscitato presso i vertici comunisti dall'innovativa biografia gramsciana di Giuseppe Fiori e certe reazioni colleriche al Togliatti di Giorgio Bocca. Come pure le oscillazioni in campo editoriale di una casa �rossa�, la Einaudi, che pubblica il monumento dell'eresia contro l'"ortodossia democratica" corrente, il Mussolini di Renzo De Felice, e insieme si macchia del rifiuto ad accogliere nel proprio catalogo la Nascita dell'ideologia fascista di Zeev Sternhell. Il tutto (e molto altro: dalle fortune anche a sinistra di autori reazionari come Carl Schmitt, Ce'line e De Maistre, al successo internazionale dell'opera omnia di Nietzsche per l'Adelphi) sullo sfondo di quella che Battista denunzia come una "cappa conformistica asfissiante che ha dispiegato i suoi effetti deleteri su una cultura ammalata di claustrofilia e cronicamente subalterna a logiche di gruppo omologanti e inclini all'incentivazione di un corrivo spirito di uniformita'". Un'aspirazione all'uniformita' che presuppone tuttavia una molteplicita' di base, quell'effettivo pluralismo di cui s'e' detto. E il bello del pluralismo, culturale e politico, e' per l'appunto la varieta' delle idee. La vivacita' delle interpretazioni contrastanti che incontrandosi o scontrandosi fanno da lievito, de claritate in claritatem, alla formazione delle convinzioni personali. E' giusto pertanto che alle vedute di Pierluigi Battista, nettamente contrarie, con larga documentazione, a una "rappresentazione �monocromatica�" del panorama culturale italiano, faccia riscontro un'analisi opposta. E' possibile sostenere onestamente, come fa Battista, l'assenza di "canoni �egemonici� rigidamente imperativi"? No: il contrassegno del dopoguerra e' in realta' l'"egemonia culturale della sinistra", che "c'e' stata e anche per lungo tempo". Ce lo spiega a sorpresa Pierluigi Battista, con encomiabile severita' verso se stesso, nell'Introduzione alla ristampa in volume del medesimo suo saggio (Il partito degli intellettuali, Laterza). Ma quale pluralismo! Potentissima "calamita", l'egemonia culturale della sinistra ha "dilagato" almeno fino a quando non s'e' schiantata contro il Muro. Con essa "l'anatema ha preso il posto della critica, e la scomunica ha rimpiazzato il metodo della libera discussione". S'e' diffuso "un clima intimidatorio, dove il discredito dell'avversario faceva premio sulla limpidezza del conflitto culturale �disinteressato�". Demonizzazione, terrorismo, denigrazione, pugnalate alle spalle, apoteosi della cultura del sospetto: non e' il lessico da campagna elettorale del Polo, sono i sistemi praticati per decenni dal partito degli intellettuali (l'acronimo, ancorche' irregolare, dovrebbe essere Pci). "A distanza di anni - termina il Battista prefatore e critico di se stesso - e' possibile dire che la cultura del sospetto sia stata liquidata e che i detriti di un sistema politico-culturale fortemente incrinato dalle �dure repliche della storia� siano stati finalmente rimossi? E' lecito supporre di no". E ben si suppone. Perche' un sospetto, perfino da parte di chi non ha mai visto un soldo della Ghepeu', potrebbe sorgere. Accompagnato da una domanda: e se la "cappa conformistica" che ha asfissiato da sempre il paese non si fosse affatto dissolta? In tal caso un saggio composto al tempo del centro-sinistra al governo potrebbe legittimamente divergere da un'Introduzione che vien fuori mentre la destra trionfa. Ma questi (in ultima analisi, si diceva un di'), sono affari privatissimi dell'autore uno e bino. La questione focale e' invece che l'egemonia culturale e' cosa assai concreta, oltre che vasta e capillare. Ora, secondo Battista, "consegnandosi nelle mani della sinistra, gli intellettuali ritrovarono l'afflato di un contromondo ideale, di una controsocieta' capace di alimentare lo �spirito di gruppo�". Ma la lotta per l'egemonia, la vera, non si combatte nel contromondo degli scaffali della biblioteca, fra Arendt e Marcuse, Horkheimer e Foucault. E neppure nella controsocieta' delle redazioni culturali dei giornali. L'egemonia tocca i 28 milioni e mezzo di dischi a quarantacinque giri venduti fra i giovani nel '64, i relativi festival di San Remo e i fumetti, i rotocalchi e le trasmissioni radiofoniche, le grandi produzioni cinematografiche e i programmi della Tv a colori. Tutto in ruvide mani marxiste? Lasciamo perdere e concludiamo con un riconoscimento una tantum: "La sinistra - scrive Battista - ha davvero incarnato, nella societa' italiana in tempi di democrazia, la parte piu' colta, piu' coralmente impegnata nel lavoro intellettuale, piu' sensibile ai richiami dell'elaborazione estetica, piu' desiderosa di leggere libri, piu' capace di apprezzare il valore artistico di un film, di un quadro, di un testo di canzone". Bando ai complimenti e alla falsa modestia: la sinistra, unita, ringrazia.

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