20.1.06

Cicchitto: La continuit�à dei comunisti

Pubblichiamo il discorso tenuto dall'On Fabrizio Cicchitto in occasione della sua visita al comitato redazionale di Ragionpolitica, lo scorso 12 febbraio. E' di particolare interesse il riferimento alla continuità storica e ideologica del comunismo italiano.

La continuità dei comunisti
di Fabrizio Cicchitto - 26 febbraio 2005

La carta di identità della sinistra di oggi, protagonista di un'opposizione urlata e senza contenuti programmatici apprezzabili, porta la fotografia del partito comunista più importante dell'Occidente europeo. Il fallimento delle strategie della sinistra è nelle ragioni del fallimento del sistema comunista, alla cui ideologia l'Unione odierna è ancora in gran parte intimamente legata.

Per quanto gli storici e i dirigenti comunisti e post comunisti si siano affannati a dimostrare l'autonomia del PCI da certe inclinazioni e scelte del Partito Comunista Sovietico, una vera indipendenza sostanziale da Mosca non c'è mai stata; ha semmai sempre prevalso l'organicità e il fedele sentimento verso la centrale sovietica del comunismo internazionale. Il mito della rivoluzione bolscevica internazionale era giunto anche da noi, nella prima metà del '900; e si incamminava verso la sua probabile realizzazione storica con la resistenza comunista nell'ultima guerra. Il sogno dei comunisti di allora era vedere l'Italia nella sfera sovietica del Patto di Varsavia. Lo stesso comportamento di Togliatti parla chiaro, nonostante la vulgata storica di parte che si è stratificata sui fatti di quegli anni fino ad occultarne almeno parzialmente la verità sostanziale.

Proprio su Togliatti potremmo aprire un capitolo vasto e interessante; per quanto i comunisti di oggi si dicano progressisti e aperti al confronto, difendono Togliatti e ne sostengono un'interpretazione "autonomista". Ma l'ex "compagno Ercoli", fin dai tempi del suo soggiorno moscovita, in cui faceva parte del gruppo dirigente del Comintern, fu uomo di fede stalinista rigidamente ortodossa, condividendo anche la correponsabilità di "grandi processi".

La stessa "svolta di Salerno", presentata nei libri di storia come una coraggiosa e autonoma scelta di Togliatti, fu in realtà un decisione imposta da Stalin. Il dittatore sovietico, nel rispetto della geopolitica di Yalta, fece presente la necessità di lasciare l'Italia fuori dalla strategia rivoluzionaria comunista: l'alterazione dell'equilibrio internazionale che ne sarebbe conseguita non sarebbe certo stata gradita agli americani. Dunque anche la tanto decantata strada democratica non fu che il frutto dell'ennesimo atto di obbedienza al partito guida (buon per l'Italia!). L'ortodossia di Togliatti, inossidabile fino all'ultimo, è ravvisabile anche nella pressione da lui esercitata su Mosca in favore dell'intervento in Ungheria.

Nel '68 questo comunismo ancora organicamente legato a Mosca e che cercava di utilizzare il concetto gramsciano di egemonia in una duplice versione (conquista delle "casamatte" politico-culturali del sistema: scuola, giornali, TV, magistratura; politica delle alleanze: il compromesso storico, per conquistare il sistema dall'interno, fu scavalcato a sinistra dal movimentismo prima studentesco ('68) poi operaio ('69). In quel movimentismo dapprima furono prevalenti elementi di liberazione personale (fra cui quella sessuale) poi prevalsero in esso tutte le componenti ereticali della storia della sinistra (maoismo, trotskismo, guevarismo). Anche per risposta allo stragismo rapidamente in quelle derive estremiste prevalsero le componenti da cui derivarono forti correnti terroriste (BR, Prima Linea) che si proponevano di costruire il partito armato per la rivoluzione. Uno dei retroterra di quel terrorimo fu la componente partigiana di origine secchiana che coltivava la teoria (e poi la pratica) della "resistenza tradita".

Quel movimento tutto era fuor che pacifista, fuor che democratico. Questa è stata la stagione che ha formato buona parte della classe intellettuale di oggi, ancora prona ai miti internazionalisti del comunismo tradizionale, riciclati in salsa terzomondista, filoaraba, pacifista e ambientalista; estendendosi perfino ad interessare il cristianesimo sociale. Le Brigate Rosse ebbero rapporti con i Palestinesi e con i servizi cecoslovacchi, con Carlos. La stagione violenta del terrorismo è figlia di quella rivoluzionaria che l'ha preceduta.

Il messaggio totalitario si è affievolito man mano che ci si addentrava negli anni '80, fino alla caduta del muro di Berlino e dell'impero sovietico. Quegli avvenimenti, liberatori per l'umanità, rappresentano il crollo dei riferimenti storici del comunismo italiano. In quel momento la storia rigettava l'ideologia comunista come un pensiero totalitario che sapeva produrre solo dittature sanguinarie. Il cambio del nome, da PCI a PDS, non fu il frutto di una conversione democratica della sinistra comunista, ma di un'operazione politica e tattica, di un preciso calcolo strategico: come salvare il partito nella nuova situazione mondiale. Infatti il cambio del nome non avvenne prima, bensì dopo il crollo del muro: fu la conseguenza di una necessità strategica nel quadro politico improvvisamente mutato.

Da allora, non potendo più sperare nella realizzazione del socialismo storico con i mezzi tradizionali, è apparso utile il ricorso alla rivoluzione giustizialista: questa è stata Mani Pulite, che fra il 1992 e il 1994 ha fatto tabula rasa di un'intera classe politica italiana che poteva essere in qualche modo di ostacolo alla conquista del potere da parte dei comunisti (riciclati o meno).

Adesso che anche quel progetto si è impantanato, alla sinistra di matrice comunista è rimasto solo il pensiero negativo, accompagnato dalla retorica della demonizzazione. La sinistra è solo anti-qualcosa, perché non sa più cosa deve pensare nemmeno di se stessa. Le resta l'odio per Berlusconi e per tutto ciò che è diverso da lei: in questa chiave si possono intendere l'antiglobalismo, l'ambientalismo integralista, lo stesso filoarabismo portato alle estreme conseguenze. Ma sotto a tutte queste posizioni, complessivamente antioccidentali e antidemocratiche, c'è il DNA del comunismo, la sua propensione utopistica e rivoluzionaria, la sua anima totalitaria e intollerante.

Il comunismo sembra morto, e di certo le sue terribili forme storiche non sono oggi riproponibili; ma l'idea è viva e produce odio misto ad una pratica politica inaccettabile fatta di calunnia e slealtà, di menzogna e progettualità antidemocratica. Ad un periodico come Ragionpolitica è affidato il compito di formare una specie di "diga culturale" contro le ricette e i messaggi di una diffusa retorica negativa; la missione di fungere da autentico polo innovatore contro le armi dei veri conservatori, che non stanno certo nella Casa delle Libertà.

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