11.2.06

Foibe e Ds, una revisione storica «di governo»


da Il Manifesto del 10/2/2006

Dalla «scoperta» del '96 ai «giovani di Salò», dall'adesione di Fassino alle iniziative di An fino al «giorno del ricordo»

TRIESTE Fu il 21 agosto 1996 che, con un articolo sull'Unità, l'allora segretario del Pds di Trieste, Stelio Spadaro, sollevò a livello nazionale il problema delle foibe, auspicando una «severa autocritica» della sinistra «colpevole - a suo dire - di aver rimosso la tragedia delle foibe e i crimini di Tito». Alcuni giorni dopo, in un'intervista al Corriere della Sera, Spadaro rilevò che la sinistra italiana aveva «rimosso a lungo tale vicenda» e che ora doveva «fare i conti con la storia». Queste dichiarazioni furono duramente criticate da Rifondazione Comunista e dagli storici triestini. Gli storici, soprattutto, sostenevano che a Trieste delle foibe e delle conseguenze anche tragiche dell'occupazione della Venezia Giulia da parte delle truppe del maresciallo Tito, tra il maggio e il giugno del 1945, si era parlato da subito, con articoli, saggi, libri che inquadravano storicamente tale vicenda, la quale invece, da destra, veniva presentata come una sorta di effetto dell'odio «sviscerato» degli «slavo-comunisti» per tutto ciò che era italiano, senza tener conto delle terribili colpe del fascismo in queste terre. Era il periodo del processo a Priebke per le Fosse Ardeatine e la querelle sulle foibe portò, soprattutto negli ambienti della destra locale e nazionale, a equiparare i due eventi, frutto di «ltrettanti totalitarismi» L'anno successivo, le dichiarazioni di Luciano Violante,allora presidente della Camera, sui ragazzi di Salò e sul bisogno di costruire «valori condivisi» furono di nuovo alcentro di polemiche e accuse, da sinistra, di revisionismo. Il 18 marzo 1998 si svolse al Teatro Verdi di Trieste un incontro di Luciano Violante e Gianfranco Fini con gli studenti sulla storia della Venezia Giulia. «Ci sono state - disse Violante - delle responsabilità gravi del movimento comunista e responsabilità gravi del movimento fascista: non si tratta di contrapporre una memoria all'altra, ma di capire e poi di misurarsi con l'altro sulla base della propria memoria». Per Fini era necessario «definire una memoria storica condivisa». Un netto dissenso sui contenuti del confronto fu espresso da 75 storici italiani, tra cui Angelo Del Boca, che in un documento denunciarono «l'infondatezza storica dell'argomentazione e l'inconsistenza delle richieste avanzate» da Violante e Fini. Gli storici scrissero: «E' tanto semplicistico quanto unilaterale far ricadere la responsabilità delle foibe soltanto sui partigiani dell'esercito di liberazione jugoslavo. Non si può dimenticare, infatti - si leggeva nel documento - che la responsabilità della trasformazione di frizioni e conflitti interetnici, scontati in zone di confine, in contrapposizioni politiche risolvibili solo con la violenza, ricade prima di tutto sul regime monarchico-fascista che resse l'Italia dal 1922 in poi. Delle foibe e delle espulsioni di massa - proseguiva il documento - deve essere considerato almeno corresponsabile il fascismo mussoliniano, con la sua politica imperiale ed aggressiva. Iniziative come quella di Trieste sono incompatibili con la verità storica e con i valori fondamentali della Costituzione».

L'ultimo strappo diessino avvenne a Trieste nel febbraio di due anni fa, quando il segretario dei Ds, Piero Fassino, e Luciano Violante aderirono all'iniziativa di An per la creazione, il 10 febbraio, della giornata del ricordo per ricordare l'esodo degli istriani, fiumani e dalmati. Nell'occasione, Fassino inviò una lettera agli esuli in cui sosteneva che «oggi nessuno può dire più di non sapere e ognuno ha il dovere, morale prima ancora che politico, diassumersi le proprie responsabilità. Anche la sinistra deve assumersi le proprie - scrisse - e dire con chiarezza edefinitivamente che il Pci, in quegli anni, sul confine italiano sbagliò: sbagliò perché pesarono sui suoi orientamenti esulle sue decisioni il condizionamento dell'Urss e della Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerraFredda». «Iscrivere tra le celebrazioni della Repubblica la giornata del 10 febbraio - affermò Fassino poi in una conferenza stampa di Trieste - é il modo giusto con cui l'Italia può rendere omaggio a chi fu costretto all'esodo, superando definitivamente ogni forma di reticenza e rimozione di una tragedia che ogni italiano deve considerare parte della storia del Paese».

In quell'occasione netta fu la condanna dello storico triestino Galliano Fogar, ex azionista. «Ma io mi domando - disse - come può Fassino dire che il Pci sbagliò "perché l'aggressione fascista alla Jugoslavia non poteva giustificare in nessun modo la perdita di territori né l'esodo degli Italiani"? Ma è stata quella la causa scatenante - rilevò arrabbiato - l'Italia fascista è stata responsabile e corresponsabile con la Germania di Hitler delle devastazioni e delle stragi che hanno insanguinato l'Europa. Cosa dovrebbero dire gli ebrei, i polacchi, i russi, i milioni che sono stati sterminati?»

M. MO.

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