11.3.06

Santi subito! "Infoibati" veri e presunti

Da: Claudia Cernigoi, Operazione foibe. Tra storia e mito, Edizioni Kappa Vu, Udine 2005.


Il fenomeno del collaborazionismo a Trieste assunse dei livelli talmente vasti da disgustare persino Christian Wirth, “der wilde Christian” [Christian il selvaggio, nella foto], il primo “organizzatore” del lager della Risiera:

«i collaboratori superstiti... hanno ben riferito del compiacimento e del disgusto espressi dal Wirth per avere trovato in questa città ed in Fiume tanta gente disposta a concretamente favorire, per motivi il più delle volte non politici, la realizzazione dei suoi piani in questo specifico tema» [l’eliminazione degli Ebrei, n.d.a.]. [1]

Racconta lo storico Giuseppe Piemontese, che s’era trovato a lavorare, durante l’occupazione tedesca, presso l’ufficio traduzioni della cassa di malattia dell’amministrazione germanica assieme ad un amico di famiglia, il dott. Degner, «il quale, pur non avendo precise convinzioni politiche, era fondamentalmente antinazista»: «Ebbene, egli mi faceva vedere ogni tanto lettere anonime indirizzate a Rainer (e non erano poche, a disonore della città), nelle quali si denunziavano cittadini, solitamente per bassi rancori personali»[2]. Piemontese passava i nominativi dei denunciati ad altri impiegati della cassa di malattia che provvedevano a mettere sull’avviso gli interessati, salvandone così diversi dalla deportazione e dall’arresto. Ma purtroppo non tutti i triestini erano come questi impiegati.

Uno studio serio sul collaborazionismo triestino non è mai stato fatto, ma basta spulciare un po’ tra i testi che parlano della Risiera di S. Sabba o dare un’occhiata agli atti dei processi contro i responsabili dei crimini commessi in Risiera, conservati presso l’Archivio dell’Istituto Regionale per lo Studio del Movimento di Liberazione di Trieste, per comprendere a quale livello fossero giunti i nostri concittadini di cinquant’anni fa. C'erano i delatori di Ebrei che per ogni Ebreo consegnato ricevevano un “premio” di 10.000 lire, c'erano quelli che “vendevano” partigiani, per non parlare di vari bottegai che, sentendo di sfuggita nei loro negozi parole “critiche” nei confronti del regime, si adoperavano per far arrestare gli incauti che avevano parlato troppo. Ma oltre a questa “collaborazione diffusa”, c’erano anche quelli che si applicavano seriamente a lavorare coi nazisti.

«Così a Trieste, capitale del Litorale e sede dei principali comandi e uffici nazisti, una schiera di centinaia di civili entrò a far parte dell'organico del Supremo Commissariato di Rainer e di quello dello SD-SIPO [Sicherheit Dienst - Sicherheits-Polizei] e dello stesso EKR [Einsatz-Kommando-Reinhardt] di Wirth e di Allers, con una molteplicità di mansioni: dall’interprete di fiducia che procedeva anche agli interrogatori degli arrestati ed alla compilazione di veri e propri rapporti informativi, all’amministratore di beni mobili e immobili sequestrati alle vittime, dal segretario di vari comandanti S.S. e Polizia al centralinista, dal semplice impiegato all’addetto a lavori di manutenzione».[3]

Nel corso delle indagini per il processo del lager della Risiera il giudice Serbo di Trieste scoprì presso gli archivi dell’INPS alcuni elenchi di impiegati civili dipendenti dall’SD-SIPO per i quali i tedeschi pagavano regolari contributi previdenziali e per l’assistenza malattie. Erano 156 i dipendenti con varie mansioni dal comando SD-SIPO del Litorale Adriatico e 212 dipendenti dal capo di polizia ed SS Globocnik, e dalla Gestapo, questi ultimi classificati tutti genericamente come “personale impiegatizio”, mentre dei primi 156, 74 erano classificati come interpreti, v’erano poi impiegati, autisti ed altro ed 8 erano “freiwillig”, ovvero “volontari”, denominazione data ai «partigiani disertori passati al servizio della polizia tedesca e stipendiati» [4].

Nello stesso capitolo del testo sul processo per la Risiera sopra citato, troviamo due nomi di “deportati” a Lubiana [e colà processati e giustiziati eppure tuttora figuranti negli elenchi di "infoibati" nella provincia di Trieste, N.d.R.]. Il primo è Antonio Micolini, che dai dati dello stato civile avevamo come “insegnante”: in realtà «era il principale collaboratore del maggiore Mätzger dell'Ufficio IV (Gestapo), partecipando agli interrogatori condotti dai nazisti con ogni sorta di sevizie».
Il secondo è il giornalista Ettore Testore, già agente dell’OVRA e squadrista, che nel 1932 aveva fatto arrestare diversi antifascisti. All’arrivo dei tedeschi Testore si offrì come “collaboratore” scrivendo una lettera [5] direttamente al Supremo Commissario della Zona di operazioni Litorale Adriatico. In questa lettera Testore

«in considerazione delle sue capacità di giornalista politico antinglese o antibolscevico (cita ad esempio tutti i suoi scritti pubblicati in questi ultimi anni dal giornale Il Piccolo), coerente alle proprie opinioni..., simpatizzando integralmente per il nazionalsocialismo, si offre per una collaborazione ai Servizi Stampa e Propaganda di Codesto Supremo Commissariato».

Testore specificava d’altra parte che si trovava senza «incarico serio» e doveva «provvedere d'urgenza alla propria sistemazione», giacché al momento aveva soltanto una collaborazione a Radio Litorale (la radio di propaganda dei nazisti). Evidentemente il Supremo Commissario accolse l’offerta di Testore e gli diede degli incarichi, infatti troviamo Testore (che si firmava anche Tito o Lucio Speri), alla direzione di “radio Franz”, la radio che trasmetteva dalla stessa sede di radio Litorale (il vecchio palazzo della Telve in piazza Oberdan). Questa emittente, alla quale collaborò anche l’attore Giacomo Pellegrina [6], oltre a fare «trasmissioni politiche a sfondo reazionario», trasmetteva ordini ai partigiani e «tali ordini trasmessi da radio Franz ai partigiani erano del tutto falsi e tendevano a far cadere gli stessi in imboscate nazifasciste» [7].

Un altro esempio di che tipo di persone si trovino nei vari elenchi di "scomparsi" finora pubblicati: nel corso delle nostre ricerche abbiamo trovato più volte il nome di Crisa Ottocaro: vorremmo ora usarlo come esempio dello sviluppo di quella che spesso ci è apparsa anche come un’indagine investigativa oltre che come una ricerca storica.
Negli elenchi di "scomparsi" inseriti [nel libro di Pirina] avevamo trovato un Crisa Ottocaro, civile, ed un Ottocaro non meglio identificato; negli elenchi di scomparsi pubblicati dall'IFSML risultava solo un Crisa Ottocaro, odontotecnico, deportato in Jugoslavia. Papo nomina un Crisa Ottocaro, interprete, ma anche un Ottocaro agente della Polizia Militare, deceduto a Lubiana come il precedente Crisa [8]. Da una testimonianza raccolta da Samo Pahor risulta che Crisa faceva l'interprete presso le SS di piazza Oberdan; lo abbiamo trovato poi anche in un elenco di collaboratori dell’Ispettorato Speciale di PS ed in un altro elenco di appartenenti alle SS conservati ambedue presso l'archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste.
Come si vede, quando si legge “civile” nella qualifica dei “deportati e scomparsi” bisogna andare un po’ coi piedi di piombo, difatti dal primo controllo da noi effettuato sui dati forniti dallo stato civile alla stesura finale del nostro elenco, il numero dei “civili” è drasticamente diminuito (ed i supposti “civili” sono andati ad ingrossare soprattutto le file dell’Ispettorato Speciale ed in parte minore quelle dei militari e degli squadristi). Va anche precisato che abbiamo lasciato tra gli scomparsi “civili” anche un ex-prefetto ed un ex-podestà, per i quali la denominazione di “civile” sarebbe impropria, così come persone che pur non vestendo divisa avevano comunque dei comportamenti “squadristici”. A questo proposito citiamo il caso della maestra Rosa Vendola, insegnante a Trebiciano, sulla quale abbiamo raccolto le seguenti testimonianze. Racconta Lucijan Malalan, di Trebče-Trebiciano che la maestra Vendola insegnava all’asilo da lui frequentato nei primi anni Trenta. Un giorno Malalan si trovò a dire un paio di parole in sloveno ad un suo amichetto, la Vendola li sentì, afferrò il bambino per un orecchio e lo trascinò a forza attraverso tutta l’aula per punirlo di avere parlato in quella “sporca lingua”. Esiste anche documentazione [9] di un esposto fatto da un sacerdote di Trebče-Trebiciano contro la maestra Vendola che, avendo sentito il sacerdote rivolgersi in sloveno ai fedeli, aveva obbligato i bambini ad uscire dalla chiesa perché non dovevano sentir parlare la lingua “proibita”. [...]


Note.

1. ANED Ricerche, S. Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera, ANED/Mondadori 1988, pag. 161/II
2. Dall'introduzione a Il movimento operaio a Trieste, Ed. Riuniti 1974
3. S. Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera, op. cit., pag.32/I
4. Ibidem, pag. 32/I. Deposizione in istruttoria del teste Italo Montanari (19/8/70)
5. Archivio dell'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, X-762
6. Su Giacomo Pellegrina si veda il cap. sulla foiba Plutone
7. Documento n.769-busta XXI archivio IRSMLT.
8. L. Papo, Albo d'oro, Unione degli Istriani di Trieste, 1995
9. Testimonianza di Sabo Pahor. Si tratta di un esposto presentato dal sacerdote alla Commissione per l'accertamento dei crimini di guerra istituita in Jugoslavia all'inizio del 1944.



Oltre alla "lotta antipartigiana" i membri dell'Ispettorato [di Pubblica Sicurezza di Trieste] si occupavano anche di prelevare gli Ebrei da deportare in Germania: gli agenti si presentavano in casa delle persone da prelevare, in genere in seguito a denuncie di solerti vicini di casa o bottegai della zona (va ricordato che i nazisti ricompensavano con 10.000 lire - dell'epoca! - i delatori per ogni denuncia che portava ad un arresto) [1], i prigionieri venivano poi portati in via Bellosguardo e da lì "smistati" in Risiera.
Uno dei membri dell'Ispettorato che, secondo le teorie storiche descritte più sopra, viene considerato "infoibato" in quanto incarcerato a Lubiana e probabilmente fucilato, è l'agente Alessio Mignacca, specializzato nella ley de fuga, come leggiamo in alcuni documenti raccolti nel "carteggio processuale Gueli".
Ad esempio uccise Francesco Potocnik, che «rotto un vetro della finestra saltava dal I piano nel cortile interno e cercava di fuggire. Fatto segno a vari colpi di pistola da parte dell'agente Mignacca e raggiunto da un proiettile cadeva ucciso» [2]; e ferì gravemente Roberto Caprini che «tentava di darsi alla fuga saltando da una finestra al primo piano nel sottostante giardino ove veniva raccolto dalla guardia di PS Mignacca Alessio».

Mignacca partecipava anche agli "interrogatori", come nel caso di Umberta Giacomini, che quando fu arrestata era incinta di quattro mesi: fu "interrogata" da Collotti in persona, che la picchiò selvaggiamente assieme ad altri agenti, tra i quali Mignacca, che la colpì con un calcio ed in seguito a questo la donna abortì.
Nei ranghi dell'Ispettorato entrarono molti volontari, persone che lasciarono il proprio lavoro per potersi permettere impunemente violenze e saccheggi, come nel caso di Mario Fabian, che lasciò il suo posto di tranviere, perché come membro dell'Ispettorato aveva maggiori possibilità di guadagno. Fabian fu ucciso nei primi giorni di maggio '45 ed è l'unica persona che risulta essere stata gettata nel pozzo della miniera di Basovizza [3].

[...] Un altro personaggio degno di nota nella storia del confine orientale che andiamo raccontando e legato alla X Mas è Remigio Rebez, detto il “boia” della caserma di Palmanova. Così si legge nell'estratto della sentenza n. 120 del 5/10/46 della Sezione Speciale della corte di Assise di Udine nella causa penale contro Ruggiero Ernesto, Rebez Remigio, Rotigni Giacomo:

«Il primo novembre 1944 fu mandato a Palmanova un reparto della milizia fascista, composto da una cinquantina di uomini, comandato dal capitano Ruggiero Ernesto per coadiuvare il capitano Pakibusch nella lotta antipartigiana. Il reparto stette a Palmanova, nella caserma Piave, fino al 19 aprile 1945 e ad esso si aggregò il sergente Rebez Remigio della X MAS... Durante tale periodo, innumerevoli e feroci delitti furono commessi nei territori dei mandamenti di Palmanova, Udine, Codroipo, Latisana, Cervignano, Monfalcone e Gradisca dal reparto che meglio potrebbe denominarsi... “banda Ruggiero”. Furono arrestate ed imprigionate circa 500 persone e molte centinaia di esse furono percosse e seviziate perché dessero le informazioni che gli aguzzini volevano sull’entità e dislocazione delle forze partigiane e sulle loro armi» [4].

Rebez venne condannato a morte per aver collaborato con il tedesco invasore e per aver privato della libertà «centinaia di persone sottoponendo moltissime di esse a violenze inaudite e cagionando loro lesioni anche gravi e persino la morte mediante torture raccapriccianti...».
[...] In ogni caso Rebez non solo non pagò con la vita i suoi misfatti, ma neanche con il carcere: godette infatti dell’amnistia di Togliatti ed è vissuto libero e indisturbato a Napoli.
Il “Piccolo” di Trieste ha pubblicato, in data 26 marzo 1996 un articolo su di lui dal commovente titolo “Rebez voleva tornare a vivere nella sua Muggia”. Ma, come spiega poi l’articolo, una decina d’anni prima Rebez fu “salvato” dalla polizia, perché «era apparso a una commemorazione funebre nel cimitero di Muggia e, riconosciuto, per poco non venne linciato dalla folla».
Nonostante ciò, Rebez risulta come "infoibato" negli elenchi di "scomparsi" stilati da Gianni Bartoli, Luigi Papo, Marco Pirina. Nessuno di questi evidentemente ha fatto un minimo controllo sui nomi.


Note

1. La maggior parte degli Ebrei triestini fu però "venduta" dal collaborazionista ebreo Grini che, nonostante - o forse proprio per - questo, finì anch'egli bruciato in Risiera proprio al momento in cui i nazisti smobilitarono il lager.
2. "Carteggio processuale Gueli" in archivio IRSMLT XIII 915. Non abbiamo trovato notizie su Francesco Potocnik, ma può darsi che questo fosse il nome risultante dai documenti falsi che l'uomo aveva addosso al momento della cattura e non il suo vero nome.
3. Si legga a questo proposito il capitolo dedicato alla "foiba" di Basovizza.
4. La strage di Stato - Vent'anni dopo, a cura di Giancarlo De Palo e Aldo Giannulli, ed. Associate 1989, pp.39-40.



Altro epigono del revisionismo storico è il pordenonese Marco Pirina [nella foto], nato a Venezia nel '43, di famiglia friulana, figlio di un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana (Francesco Pirina, insegnante di educazione fisica) ucciso dai partigiani nel luglio del '44.
Negli anni Sessanta Pirina frequenta l'università La Sapienza a Roma, diventa presidente del FUAN romano e poi del Fronte Delta, il gruppo di estrema destra che operava all'Università di Roma e che, stando ai piani del tentato golpe Borghese, avrebbe avuto l’incarico di tenere il controllo dell'Università.
Viene arrestato per coinvolgimento nel tentato golpe e prosciolto e rilasciato nel giro di un mese (estate '75). Ha affermato nel corso di una conferenza tenuta a Cormons nel novembre 1998, di essere stato arrestato solo perché il suo nome era stato trovato nell'agendina del "comandante" (così l'ha chiamato Pirina) Saccucci [1].

Così si racconta in un libro che parla della "strategia della tensione" che ha insanguinato l'Italia nel dopoguerra:

"Nel febbraio del '76, nell’ambito dell'inchiesta sul tentativo di golpe Borghese, uno dei fascisti inquisiti, il dirigente romano del FUAN (e dell’organizzazione Fronte Delta) Marco Pirina, rivelerà di essere stato contattato anni prima da esponenti del Fronte Nazionale (fra cui Mario Rosa e Sandro Saccucci) che gli proponevano di associarsi al tentativo di golpe. Durante tali colloqui il Rosa avrebbe minacciato lo sconcertato Pirina ricordando che il F.N. aveva "sistemato (...) una persona che parlava troppo" facendo il nome di Calzolari" [2].

Calzolari era l'ex marò della Decima, uomo di fiducia di Junio Borghese, che fu trovato annegato (lui che era un esperto sub) in un pozzo di mezzo metro d'acqua poco tempo dopo la strage di piazza Fontana.
Pirina verso la fine degli anni '80 si è stabilito a Pordenone e per un periodo ha militato nella Lega Nord. In seguito è passato a Forza Italia e poi ancora ad Alleanza Nazionale. A Pordenone ha fondato il Centro Studi Silentes Loquimur, assieme alla moglie Annamaria D’Antonio, goriziana, figlia del pilota Raffaele D'Antonio che "negli anni '30 spaziò con il Duca d'Aosta nei cieli di Gorizia" [4].
Nella sua carta intestata sostiene di essere "dep. Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace", una strana organizzazione che pare abbia sede in Sicilia ed il cui nome trovammo sui giornali nell'estate del 1999 come coinvolta in un traffico di barre d'uranio: la notizia scomparve subito dai "media" e non se ne seppe più nulla. Di questo parlamento pare facciano parte il piduista Salvatore Bellassai e l'avvocato Michele Papa del quale il giudice Carlo Palermo scrisse che era "l'ambasciatore" segreto degli interessi di Gheddafi in Italia e frequentatore del Circolo Scontrino di Trapani, centro studi alla cui inaugurazione sarebbe intervenuto anche Licio Gelli. Con Papa sarebbe stato promotore di iniziative filoislamiche anche l'avvocato Sinagra, il promotore delle denunce che portarono al cosiddetto "processo alle foibe", del quale parliamo successivamente.
Della "Silentes loquimur" fu, per breve tempo all'inizio dell’attività, presidente l'avvocato d'origine fiumana Claudio Schwarzemberg, missino, sindaco del "libero comune di Fiume in esilio", un articolo del quale darà lo spunto all'avvocato Sinagra per presentare denuncia contro Oskar Piskulic, come vedremo poi.
[...] Pirina, che a volte è stato sconsideratamente definito sulla stampa il "Wiesenthal italiano" per la sua costanza nel cercare di accusare esponenti del movimento partigiano (sia italiani che sloveni o croati) di essere stati dei "criminali", ha redatto più volte elenchi di presunti "responsabili" dei "crimini delle foibe", elenchi spesso utilizzati dalla stampa per ipotizzare rinvii a giudizio ed incriminazioni, spesso mai verificatesi.
Il libro Genocidio…, pubblicato nel 1995, è stato da noi analizzato approfonditamente nella precedente edizione di Operazione foibe a Trieste, rilevando nell’elenco di “scomparsi” dalla provincia di Trieste redatto da Pirina il 64% di errori, in quanto il sedicente "storico" aveva inserito nell'elenco di 1.458 "infoibati od uccisi dai partigiani a guerra finita" anche più di 900 nominativi di persone che non erano morte in quelle circostanze: partigiani uccisi dai nazifascisti, caduti in guerra o addirittura nomi di persone che erano sì state arrestate ed anche imprigionate ma erano sopravvissute; ma anche numerose duplicazioni di nomi per errori di trascrizione o perché inseriti in elenchi di "scomparsi" anche di Gorizia, Istria e Fiume. In seguito alla pubblicazione di questo studio, Pirina ha risposto, a modo suo, dando alle stampe un pamphlet dal significativo titolo Ecco il conto!, che non a caso riprende in copertina il titolo, la grafica ed una delle foto che apparivano nell’omonimo libello edito dai nazisti nell’inverno del ’43 sulle foibe istriane. Per amore di precisazione, va detto che nulla nelle critiche di Pirina è andato ad inficiare i contenuti dello studio da lui contestato, anzi il suo pamphlet è servito a fornirci ulteriori dati che ci hanno permesso di ricostruire le vicende di presunti "infoibati".

Note:

1. Sandro Saccucci (parlamentare del MSI, ex parà, coinvolto nel golpe Borghese), nel 1976, durante un suo comizio, sparò ed uccise un militante diciannovenne della FGCI a Sezze; si rifugiò in Argentina dove morì un alcuni anni or sono).
2. AA.VV. La strage di stato vent'anni dopo, cit., pag.44
3. Così leggiamo nella dedica in Adria Storia 1, Silentes Loquimur 1993

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