27.4.06

Presidente della Camera


LA VERA POSTA di Rossana Rossanda
il manifesto, 25/04/2006

Non ho votato Rifondazione perchè Fausto Bertinotti diventasse presidente della Camera.
E' un suo diritto, l'elettore delega, ma può sperare. E io non lo speravo nei panni di speaker della discussione parlamentare, chè altro non potrà fare: anche le sortite pubbliche dovranno essere contenute. Lo speravo come sollecitatore continuo del governo e nel governo di una scelta, per quanto mediata, esplicitamente di sinistra: Bertinotti dice di ispirarsi a Pietro Ingrao. Ma Ingrao fu spedito alla presidenza delle Camera perchè dava fastidio a Botteghe Oscure, 'promoveatur ut amoveatur '. La Cdl è in perfetta malafede quando si agita perchè il più radicale dei leader di sinistra si contenta di discutere e governare l'agenda dei lavori. Ed è ancora più strano che tanti di Rc si sentano da questa nomina sdoganati. Ma da che? Ma da chi?.
Non mi impressiona tanto il metodo. Se tutto il problema si riduceva agli squilibri dell'Unione- a me questo a te quello- cinque persone dovevano riunirsi, parlarsi, sbrigarsela tra loro e riaffacciarsi uniti, senza lettere di Fassino, silenzi di Prodi, ritiri di D'Alema, incursioni di Cossiga e Andreotti. Mi impressiona che dal 10 aprile siamo costretti soltanto a questo spettacolo. Se la Cdl ci sguazza, è che gliene è stato offerto il destro. Se ha da essere un mercato, tenetelo tra voi, viene da dire. Anche se colpisce che per la presidenza della Repubblica nessuno del ceto politico sembra pensare a una personalità che non faccia parte del giro più prossimo: non a un Gustavo Zagrebelski, non a una Tullia Zevi, non a uno Stefano Rodotà, non a una Tina Anselmi - i primi che mi vengono in mente fra coloro che esistono non soltanto per virtù di qialche segreteria.
Il tutto sarebbe fastidioso ma meno grave se non generasse un generale scansarsi dal guardare in faccia lo strappo avvenuto nel centrosinistra e paese, che le primarie avevano occultato. Sembra che nessuno se ne accorga e ne tenga conto. Neanche nell'imminenza delle amministrative e del referendum sulla Costituzione che, se dovesse fallire, sarebbe la peggiore sconfitta, e per decenni: se lo si tiene basso, chi indurrà l'elettore, già malmostoso, a infilarsi per la terza volta in meno di tre mesi in una cabina elettorale?
Se è vero, come credo,che a mettere insieme le molte anime del centrosinistra è stata l'urgenza di finirla con un degrado della democrazia come in Italia dopo il fascismo non si era mai visto, questa dovrebbe essere la preoccupazione principale. Il degrado non è una parentesi, dilaga, allaga, fa marcire. Prodi e Scalfari si danno più pensiero dei conti pubblici: Ma neanche questi sono una questione contabile. E' una questione pesantemente politica, l'elettorato poco ne sa e molto teme dai diktat del Fmi e di Almunia. Chi è meno abbiente teme come la peste le ' riforme strutturali' cui il nuovo governo è pressato ancora prima di formarsi, salvo la scelta prodiana di Padoa Schioppa. Sa solo che finora essa hanno significato tagli alle pensioni, tiduzione della spesa pubblica per scuola e sanità, stretta del potere d'acquisto. Potrebbe non essere così? Forse: Ma lo si spieghi e in chiaro. Non si dimentichi che dopo i famosi sacrifici per entrare nell'euro doveva venire una fase più confortevole che non arrivò mai, mentre i poveri sono diventati più poveri, i ricchi più ricchi, i precari più precari.
E passiamo sulle molte altre divisioni trasversali sulle quali il centrosinistra si ostina a tacere: Dalla laicità alle questioni che ormai la tecnologia propone sul corpo, delle donne e non solo, sulla quale ha da finire la bufala della 'libertà di coscienza', premurosamente avanzata dopo un inchino di passaggio alle virtù della buona religione. Cero nulla sarà facile. Per questo ci si aspettava un impegno prioritario, senza traccheggiamenti, della coalizione passata per miracolo o almeno dalla sua sinistra. Sembra sfuggire a tutti in quale confusione di idee, interessi, incertezze e paure il paese è aggrocigliato. E questo fa più paura delle convulsioni del Cavaliere.


Il ruolo di Bertinotti: Domande a Rossanda su Parlamento e riforma della politica
di Rina Gagliardi

Liberazione, 25/04/2006

Bertinotti è un “vincitore ingombrante” o, al contrario, uno speaker innocuo? E’ destinato a terremotare, in permanenza, l’equilibrio politico del governo Prodi o, all’opposto, si è già istituzionalizzato, imborghesito, placato? Insomma, per citare un classico di Umberto Eco, è un apocalittico o un integrato? Vedete bene: il segretario di Rifondazione comunista non è ancora stato nominato alla Presidenza della Camera né, com’è logico, ha reso note le linee-guida alle quali cercherà di ispirare il suo lavoro, che già il dibattito propone punti di vista pressoché diametralmente opposte.

I due editoriali simmetrici del Corriere della Sera e del manifesto di ieri rappresentavano, esemplarmente, questa divaricata preoccupazione. Per Panebianco, Rifondazione ha vinto le elezioni (tesi non del tutto infondata), i riformisti sono stati sconfitti, e Bertinotti, da presidente della Camera, condizionerà pesantemente, a sinistra, il nuovo esecutivo - quasi si approssima la repubblica dei soviet.

Per Rossana Rossanda, invece, la conquista del vertice istituzionale da parte del Prc rappresenta una sorta di rinuncia preventiva alla lotta necessaria per costringere Prodi a fare politiche di sinistra - insomma, è quasi una resa, come fu quella del più prestigioso predecessore di Bertinotti, Pietro Ingrao, spostato dal Pci a Montecitorio in una classica logica da “promoveatur ut amoveatur”.

E dunque? Dunque, intanto, questi ragionamenti - e queste paure così difformi - danno l’idea che a tutto siamo fuorché ad un evento di ordinaria routine. Un “fatto politico” di prima grandezza, comunque destinato a modificare l’equilibrio politico della prossima fase, quella che sarà imperniata sul governo dell’Unione.

Proviamo a ragionarne, se possibile, con calma? La riflessione di Rossana Rossanda muove da un presupposto analitico tutto da dimostrare: quello per cui il presidente della Camera è, non può che essere, un puro notaio dei lavori parlamentari. Un ruolo minore, insomma, nella vicenda politica e nelle scelte dell’esecutivo. Se così fosse, avrebbe ragione a lamentare quello che lamenta - ovvero il già consumato depotenziamento della funzione politica della sinistra radicale. Ma a me pare proprio che così non sia.

Nei fatti, nella famosa “costituzione materiale” delle cose, il presidente della Camera ha assunto, nell’ultimo decennio, una funzione politica marcata - basti l’esempio, appena alle nostre spalle, di Pier Ferdinando Casini, che sulla sua presidenza “moderata” non solo ha contenuto alcuni eccessi berlusconiani, ma ha costruito una leadership credibile per il futuro del centrodestra. Nei fatti, cioè, dallo scranno più alto di Montecitorio si può molto lavorare per determinare scelte, priorità e, soprattutto, “centralità” politiche.

Del resto, perché mai, se no, i Ds avrebbero rivendicato la carica per il loro uomo più rappresentativo? Massimo D’Alema - questo è sicuro - sarebbe stato un presidente della Camera tanto eccellente ed “ingombrante”, quasi quanto lo sarà Bertinotti - ma in una direzione, e al servizio di una visione strategica, tutt’affatto diverse. (A proposito: questa è stata la partita vera che si è giocata, in questi giorni: una partita tutta politica, altro che scontro sulle o per le poltrone o, peggio, “mercato dei posti”. Sarebbe bene finirla, con le drammatizzazioni e i finti scandali. O si pensa che i nuovi assetti del parlamento, del Quirinale, del governo si farebbero meglio tirando a sorte?)
Poi, naturalmente, c’è la soggettività di chi assume questo incarico - e con essa le sue chances di sviluppo, le sue potenzialità. Trattandosi di Bertinotti, queste carte sono intuibili fin da oggi (e un altro commento di ieri, sul “Riformista”, le sottolinea acutamente): attengono ad un compito, il rilancio della democrazia e della partecipazione politica, che il segretario di Rifondazione comunista ha più volte rappresentato in una formula efficace, la “Grande Riforma” di cui l’Italia ha bisogno come il pane. La stessa Rossanda, nel suo articolo, pone l’accento su questa urgenza - sull’emergenza democratica. Come può non vedere, allora, che proprio su questo terreno è decisiva la qualità politica, la radicalità democratica, di un presidente come Fausto Bertinotti, per ciò che egli è e per ciò che rappresenta? E chi, se non il presidente della Camera, può provarsi a mettere in moto questo processo? Un processo che comprende, per un verso, un rapporto nuovo tra dimensione istituzionale, società civile, movimenti. E che implica, per l’altro verso, una tendenza tanto virtuosa quanto necessaria: il riequilibrio dei poteri dello Stato, ovvero quel rilancio della centralità del parlamento e delle assemblee elettive di cui tanto abbiamo parlato e che, forse, ci siamo persi per strada. Tutto chiaro, tutto a posto? Ma no, il lavoro - l’avventura - deve ancora cominciare. La rivoluzione non è alle porte, si tranquillizzi il “Corriere”. Ma una nuova stagione della politica, questa sì, ha tutte le ragioni di temerla e di paventarla.

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