5.5.06
Rino Sala e il confine orientale della storia
Il confine orientale della storia
di Enzo Collotti
Il Manifesto, 03/05/2006
La scomparsa di Rino Sala, docente universitario e animatore dell'Istituto storico della Resistenza di Trieste. Storico, saggista e ricercatore appassionato delle vicende del Friuli Venezia Giulia è stato tra i primissimi studiosi italiani ad attingere alle fonti di provenienza jugoslava
Sta per essere pubblicato a cura dell'Istituto per la storia della Resistenza del Friuli-Venezia Giulia l'Atlante storico della lotta di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, che reca come introduzione l'ultimo illuminante scritto di Rino (Teodoro) Sala, scomparso a Trieste una decina di giorni fa, soccombendo a un male inesorabile e a sofferenze atroci, sopportate con coraggio e grande dignità. Scompare con Rino Sala uno degli studiosi che più hanno contribuito nell'ultimo quarantennio alla costruzione dell'osservatorio triestino di una storiografia sul confine orientale svincolata dalle ipoteche del nazionalismo locale. Docente agli anni Sessanta nell'università di Trieste, animato da una vera passione didattica, animatore dell'Istituto storico della Resistenza a Trieste e nella regione, collaboratore dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, membro del suo direttivo nazionale e presidente della sua commissione didattica, Sala ha costantemente coniugato nella sua attività didattica e scientifica le sue doti impareggiabili di sensibilità umana e di instancabile ricercatore, da quando, trapiantato a Trieste - era nato a Civitavecchia nel 1928 - era entrato in contatto con la realtà contraddittoria e stimolante insieme di una città e di una regione uscita dal conflitto mondiale con le ferite di un'area come poche in Italia penalizzata dalla guerra fascista.
Chi come me ha condiviso per decenni il sodalizio di studi con Sala piange la sua scomparsa come quella di un ricercatore che come pochi conosceva la documentazione italiana e internazionale sulle vicende del confine orientale, essendo fra i primissimi studiosi italiani (accanto a Elio Apih, scomparso lo scorso anno e poco più anziano di noi) ad attingere alle fonti di provenienza jugoslava per avviare le ricerche sul nesso tra la crisi del regime fascista nella Venezia Giulia e la politica di aggressione e poi di occupazione nei territori balcanici. Quando ancora il Cnr era sensibile a questo tipo di ricerche, contribuimmo insieme al recupero della documentazione italiana e jugoslava che da Lubiana, a Fiume, a Belgrado potemmo utilizzare per impostare la storia del confine orientale al di fuori di un'ottica nazionalista e localistica.
Lo studio di Rino Sala sulla «provincia di Lubiana», pubblicato nel 1967 nei contributi portati al convegno internazionale di Budapest del 1966, fu in assoluto il primo studio italiano che affrontava l'esperienza di un territorio jugoslavo sotto occupazione italiana, nel quale veniva messo in rilievo fra l'altro un aspetto ricorrente della politica italiana nei Balcani, ossia il permanente contrasto tra autorità civili fasciste e autorità militari. Quando nel 1974 pubblicammo insieme il volume Le potenze dell'Asse e la Jugoslavia (presso l'editore Feltrinelli) nella collana dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, ambienti governativi accusarono l'Istituto di avere superato i propri limiti istituzionali, a testimonianza di come fosse allora difficile affrontare temi che rompevano la cortina di rimozioni che circondava ancora le responsabilità del fascismo e qualsiasi discorso sui crimini italiani in terre d'occupazione.
La politica d'occupazione italiana nei territori della Jugoslavia sconfitta e totalmente disgregata divenne tema della costante attenzione critica di Sala, la cui ricerca, in stretto rapporto con la politica di snazionalizzazione delle popolazioni slave della Venezia Giulia, ebbe come centro di gravità il ventennio della politica estera e interna del regime fascista e in questo quadro la centralità dei problemi balcanici, alla luce dei quali andavano inquadrati, e non certo come storia locale, i problemi del confine orientale. Dalla storia del separatismo croato (con il contributo al convegno di Ancona del 1977) allo studio della stampa per le forze d'occupazione in Jugoslavia (1972), ai rapporti tra italiani e cetnici e al conflitto che ne derivò con i tedeschi (intervento a Brescia del 1992) ad altri contributi apparsi sulle riviste «Italia contemporanea» e su «Qualestoria», Sala ha portato avanti con nuovi apporti documentari e coerenza interpretativa lo studio del coinvolgimento balcanico dell'Italia nella seconda guerra mondiale sfociato in due importanti contributi d'insieme: il saggio Tra marte e mercurio. Gli interessi danubiano-balcanici dell'Italia (2000) nel volume da me curato Fascismo e politica di potenza (La Nuova Italia) e soprattutto il saggio di largo respiro sulla seconda guerra mondiale del volume einaudiano sul Friuli-Venezia Giulia nell'ambito della Storia delle regioni.
La scomparsa di Sala ci lascia fra l'altro il rimpianto che egli non abbia potuto lasciarci l'opera d'insieme sulla politica d'occupazione nella penisola balcanica alla quale di fatto aveva lavorato nella sua pluridecennale attività, insistendo fra l'altro, come ebbe a dire nella sua ultima uscita pubblica, al convegno triestino dell'Aned del 2004, «su un dato che appare ormai consolidato: i metodi 'coloniali' adottati dalle amministrazioni civili e militari ebbero un carattere di continuità e di omogeneità dalla Grecia, all'Albania, ai territori ex Jugoslavi». Solo un esempio degli spunti e delle proposte interpretative di cui sono disseminati i molti contributi di Sala che sarebbe auspicabile fossero raccolti in un unico grande volume per agevolarne la reperibilità, ricostituirne in un certo senso l'organicità tematica e mettere in evidenza l'attualità di un lavoro che non è stato certo superato da studi più recenti e soprattutto in una ricostruzione di carattere storiografico segnalare anche la precocità di ricerche sviluppate in epoche in cui gli studiosi del resto d'Italia prestavano scarsa attenzione al lavoro di uno studioso probo e schivo, tanto lontano da ogni esibizionismo quanto severo anche con se stesso. Né il ricordo dello studioso e dell'esempio che lascia anche a molti dei più giovani che intorno a lui si sono formati può andare dissociato dal ricordo dell'uomo buono e giusto quale egli è stato.
di Enzo Collotti
Il Manifesto, 03/05/2006
La scomparsa di Rino Sala, docente universitario e animatore dell'Istituto storico della Resistenza di Trieste. Storico, saggista e ricercatore appassionato delle vicende del Friuli Venezia Giulia è stato tra i primissimi studiosi italiani ad attingere alle fonti di provenienza jugoslava
Sta per essere pubblicato a cura dell'Istituto per la storia della Resistenza del Friuli-Venezia Giulia l'Atlante storico della lotta di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, che reca come introduzione l'ultimo illuminante scritto di Rino (Teodoro) Sala, scomparso a Trieste una decina di giorni fa, soccombendo a un male inesorabile e a sofferenze atroci, sopportate con coraggio e grande dignità. Scompare con Rino Sala uno degli studiosi che più hanno contribuito nell'ultimo quarantennio alla costruzione dell'osservatorio triestino di una storiografia sul confine orientale svincolata dalle ipoteche del nazionalismo locale. Docente agli anni Sessanta nell'università di Trieste, animato da una vera passione didattica, animatore dell'Istituto storico della Resistenza a Trieste e nella regione, collaboratore dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, membro del suo direttivo nazionale e presidente della sua commissione didattica, Sala ha costantemente coniugato nella sua attività didattica e scientifica le sue doti impareggiabili di sensibilità umana e di instancabile ricercatore, da quando, trapiantato a Trieste - era nato a Civitavecchia nel 1928 - era entrato in contatto con la realtà contraddittoria e stimolante insieme di una città e di una regione uscita dal conflitto mondiale con le ferite di un'area come poche in Italia penalizzata dalla guerra fascista.
Chi come me ha condiviso per decenni il sodalizio di studi con Sala piange la sua scomparsa come quella di un ricercatore che come pochi conosceva la documentazione italiana e internazionale sulle vicende del confine orientale, essendo fra i primissimi studiosi italiani (accanto a Elio Apih, scomparso lo scorso anno e poco più anziano di noi) ad attingere alle fonti di provenienza jugoslava per avviare le ricerche sul nesso tra la crisi del regime fascista nella Venezia Giulia e la politica di aggressione e poi di occupazione nei territori balcanici. Quando ancora il Cnr era sensibile a questo tipo di ricerche, contribuimmo insieme al recupero della documentazione italiana e jugoslava che da Lubiana, a Fiume, a Belgrado potemmo utilizzare per impostare la storia del confine orientale al di fuori di un'ottica nazionalista e localistica.
Lo studio di Rino Sala sulla «provincia di Lubiana», pubblicato nel 1967 nei contributi portati al convegno internazionale di Budapest del 1966, fu in assoluto il primo studio italiano che affrontava l'esperienza di un territorio jugoslavo sotto occupazione italiana, nel quale veniva messo in rilievo fra l'altro un aspetto ricorrente della politica italiana nei Balcani, ossia il permanente contrasto tra autorità civili fasciste e autorità militari. Quando nel 1974 pubblicammo insieme il volume Le potenze dell'Asse e la Jugoslavia (presso l'editore Feltrinelli) nella collana dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, ambienti governativi accusarono l'Istituto di avere superato i propri limiti istituzionali, a testimonianza di come fosse allora difficile affrontare temi che rompevano la cortina di rimozioni che circondava ancora le responsabilità del fascismo e qualsiasi discorso sui crimini italiani in terre d'occupazione.
La politica d'occupazione italiana nei territori della Jugoslavia sconfitta e totalmente disgregata divenne tema della costante attenzione critica di Sala, la cui ricerca, in stretto rapporto con la politica di snazionalizzazione delle popolazioni slave della Venezia Giulia, ebbe come centro di gravità il ventennio della politica estera e interna del regime fascista e in questo quadro la centralità dei problemi balcanici, alla luce dei quali andavano inquadrati, e non certo come storia locale, i problemi del confine orientale. Dalla storia del separatismo croato (con il contributo al convegno di Ancona del 1977) allo studio della stampa per le forze d'occupazione in Jugoslavia (1972), ai rapporti tra italiani e cetnici e al conflitto che ne derivò con i tedeschi (intervento a Brescia del 1992) ad altri contributi apparsi sulle riviste «Italia contemporanea» e su «Qualestoria», Sala ha portato avanti con nuovi apporti documentari e coerenza interpretativa lo studio del coinvolgimento balcanico dell'Italia nella seconda guerra mondiale sfociato in due importanti contributi d'insieme: il saggio Tra marte e mercurio. Gli interessi danubiano-balcanici dell'Italia (2000) nel volume da me curato Fascismo e politica di potenza (La Nuova Italia) e soprattutto il saggio di largo respiro sulla seconda guerra mondiale del volume einaudiano sul Friuli-Venezia Giulia nell'ambito della Storia delle regioni.
La scomparsa di Sala ci lascia fra l'altro il rimpianto che egli non abbia potuto lasciarci l'opera d'insieme sulla politica d'occupazione nella penisola balcanica alla quale di fatto aveva lavorato nella sua pluridecennale attività, insistendo fra l'altro, come ebbe a dire nella sua ultima uscita pubblica, al convegno triestino dell'Aned del 2004, «su un dato che appare ormai consolidato: i metodi 'coloniali' adottati dalle amministrazioni civili e militari ebbero un carattere di continuità e di omogeneità dalla Grecia, all'Albania, ai territori ex Jugoslavi». Solo un esempio degli spunti e delle proposte interpretative di cui sono disseminati i molti contributi di Sala che sarebbe auspicabile fossero raccolti in un unico grande volume per agevolarne la reperibilità, ricostituirne in un certo senso l'organicità tematica e mettere in evidenza l'attualità di un lavoro che non è stato certo superato da studi più recenti e soprattutto in una ricostruzione di carattere storiografico segnalare anche la precocità di ricerche sviluppate in epoche in cui gli studiosi del resto d'Italia prestavano scarsa attenzione al lavoro di uno studioso probo e schivo, tanto lontano da ogni esibizionismo quanto severo anche con se stesso. Né il ricordo dello studioso e dell'esempio che lascia anche a molti dei più giovani che intorno a lui si sono formati può andare dissociato dal ricordo dell'uomo buono e giusto quale egli è stato.