19.7.06

Obiettivo: governo fantoccio

AprileOnLine.Info n. 206 del 18/07/2006

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la verità che si nasconde dietro l'offensiva israeliana in Libano e nella Striscia di Gaza
Uri Avneri*


Il vero obiettivo è quello di cambiare il regime libanese insediando un governo fantoccio.
Così come questo è stato l'obiettivo di Ariel Sharon quando ha invaso il Libano nel 1982. Obiettivo fallito. Ma Sharon e i suoi seguaci ai vertici militari e politici non vi hanno mai veramente rinunciato.
Come nel 1982, l'attuale operazione israeliana è stata pianificata e portata avanti in collaborazione con gli Stati Uniti e come allora non c'è dubbio che sia stata concordata con una parte della elite libanese.
E' questo l'aspetto più importante. Tutto il resto è rumore e propaganda.

Alla vigilia dell'invasione del 1982, il Segretario di Stato Alexander Haig disse ad Ariel Sharon che prima di dare il via all'operazione era necessario attuare una “chiara provocazione” che fosse benaccetta dal mondo.
E la provocazione ebbe davvero luogo – esattamente al tempo giusto – quando le milizie di Abu-Nidal cercarono di assassinare l'ambasciatore israeliano a Londra. L'episodio non ebbe alcuna relazione con il Libano, e tanto meno con l'Olp (il nemico di Abu-Nidal), ma servì allo scopo.

Questa volta la provocazione necessaria è stata fornita dagli Hezbollah attraverso la cattura dei due soldati israeliani. Tutti sanno che non potranno venire rilasciati a meno di uno scambio di prigionieri, ma l'enorme campagna militare pronta a scattare da mesi è stata venduta all'opinione pubblica israeliana e internazionale come operazione di riscatto. (Piuttosto strano che l'identica operazione sia accaduta due settimane prima nella Striscia di Gaza, dove Hamas e i suoi partner hanno catturato un soldato offrendo così la scusa per l'avvio della massiccia operazione che il governo israeliano teneva in caldo da tempo con l'intento di distruggere il governo palestinese).

Il chiaro proposito dell'offensiva sul Libano è di spingere gli Hezbollah lontano dal confine in modo da rendere impossibile la cattura di altri soldati e il lancio di razzi sui villaggi israeliani; l'invasione della Striscia di Gaza ha l'obiettivo ufficiale di togliere dalla gittata dei Quassam gli insediamenti di Ashkelon e Sderot.
Tutto ricorda la “Operazione Pace per la Galilea” del 1982, quando all'opinione pubblica e alla Knesset (il Parlamento israeliano n.d.t.) fu fatto passare che l'obiettivo della guerra era di “Spingere i Katyusha 40 chilometri lontano dal confine”. Una deliberata bugia. Negli 11 mesi precedenti la guerra non un singolo razzo Katyusha (né un singolo colpo) fu fatto esplodere oltre il confine. Fin dall'inizio il vero obiettivo dell'operazione è stato arrivare a Beirut per insediare un dittatore Quinsling (collaborazionista n.d.t.). Come ho avuto a dire in altre occasioni, è stato Sharon stesso a raccontarmi la verità dei fatti nove mesi prima dello scoppio della guerra, cosa che io debitamente pubblicai allora con il suo consenso (senza citarlo).
Certamente l'attuale operazione militare ha anche diversi obiettivi secondari, che non includono comunque la liberazione dei prigionieri: tutti sono consapevoli che il raggiungimento di questo scopo non può avvenire attraverso le minacce militari. Ma è però possibile che si arrivi a distruggere una parte delle migliaia di missili che gli Hezbollah hanno accumulato negli anni. A tale fine i capi militari sono pronti a mettere in pericolo gli abitanti dei villaggi israeliani più esposti ai razzi Katyusha, ritenendo che, utilizzandoli come pedine degli scacchi, valga la pena di giocare la partita.
Un altro obiettivo secondario è riabilitare il “potere deterrente” dell'esercito. Si tratta del codice volto a restaurare l'orgoglio ferito dell'esercito israeliano che ha subito parecchi colpi dalle audaci azioni militari di Hamas nel sud e degli Hezbollah al nord.
Ufficialmente il governo israeliano pretende che quello libanese disarmi gli Hezbollah e li rimuova dalle regioni di confine. Ma tutto ciò è chiaramente impossibile sotto l'attuale regime libanese, delicata commistione di comunità etno-religiose in cui il più piccolo sconvolgimento potrebbe portare l'intera struttura a crollare gettando il paese nell'anarchia totale, specialmente da quando gli americani sono riusciti a spazzar via l'esercito siriano, unico elemento che ha provveduto a fornire negli anni una certa stabilità alla regione.

L'idea di insediare un Quinsling in Libano non è nuova. Fu David Ben-Gurion a proporre, nel 1955, di prendere un “ufficiale cristiano” e di insediarlo come dittatore. Ma Moshe Sharet dimostrò come una simile idea non potesse basarsi che sulla completa ignoranza della realtà libanese e la bocciò. Eppure 27 anni più tardi Ariel Sharon tentò comunque di attuarla attraverso l'imposizione di Bashir Gemayel come presidente, per poi vederlo morire assassinato poco tempo dopo. Il fratello Amin che gli succedette firmò un trattato di pace con Israele, ma fu destituito dal suo incarico (ed è ora pubblicamente sostenitore dell'operazione israeliana).
I calcoli si avvalgono della previsione che, in presenza di pesanti bombardamenti aerei da parte israeliana sulla popolazione libanese con relativa paralisi di porti ed aeroporti, distruzione di infrastrutture, bombardamento di aree residenziali e taglio del collegamento stradale tra Beirut e Damasco, l'opinione pubblica libanese si infuri sempre più con gli Hezbollah arrivando a pressare il governo affinché aderisca alle richieste israeliane. Dal momento che l'attuale governo non si sogna neanche di arrivare a questo, un dittatore verrà mandato al potere con il supporto di Israele.
E' questa la logica militare, sulla quale nutro seri dubbi. E' molto probabile che la maggior parte della popolazione libanese reagirà come farebbe qualsiasi altro popolo del mondo: con furia e odio contro l'invasore. E' quanto accaduto nel 1982 quando gli sciiti nel sud del Libano, fino a quel momento docilissimi, insorsero contro gli occupanti israeliani creando il movimento degli Hezbollah, poi divenuta la più forte organizzazione del paese. Ma il rischio per l'elite libanese è alto. se palesata la collaborazione con Israele, ne andrebbe della sua stessa sopravvivenza (in ogni caso, i razzi Quassam e Katyusha hanno mai portato la popolazione israeliana ad esercitare pressione sul governo perché si arrendesse? Assolutamente no.)

La politica americana è piena di contraddizioni, il presidente Bush anela ad un “cambio di regime” in Medioriente, ma l'attuale governo libanese è stato solo recentemente formato sotto la pressione degli Stati Uniti. Nello stesso tempo, Bush è riuscito unicamente a spaccare l'Iraq e a causare una guerra civile. Potrebbe ottenere la stessa cosa in Libano se non si decide a fermare le truppe israeliane in tempo. Ancor più, una devastante azione contro gli Hezbollah potrebbe fomentare la furia non solo dell'Iran ma anche tra gli sciiti iracheni, sul cui appoggio si fondano tutti i piani di Bush per un regime pro America.

Allora qual'è la risposta? Non a caso gli Hezbollah sono usciti allo scoperto con il rapimento dei soldati proprio quando i palestinesi chiedevano soccorso. Dal momento che la causa palestinese è molto popolare in tutto il mondo arabo, dimostrando di essere amici nel bisogno mentre gli altri paesi arabi latitano, gli Hezbollah sperano di incrementare la loro popolarità, mentre al contrario, se si dovesse raggiungere un accordo israelo-palestinese, gli Hezbollah verrebbero relegati ad un irrilevante fenomeno locale.

A meno di tre mesi dalla sua formazione, il governo Olmert-Peretz è riuscito a sprofondare Israele in una guerra su due fronti caratterizzata da obiettivi irrealistici dai risultati imprevedibili. Se Olmert spera di essere assimilato al Signor Macho-Macho, uno Sharon numero 2, rimarrà molto deluso. Lo stesso vale per i disperati tentativi di Peretz di venir preso seriamente per un potente Signor Sicurezza. E' sotto gli occhi di tutti quanto questa campagna militare, a Gaza come in Libano, sia stata pianificata e imposta dall'esercito. L'uomo che prende le decisioni ora in Israele si chiama Dan Halutz e non è un caso che il lavoro in Libano sia stato portato avanti dalle forze aeree.

L'opinione pubblica israeliana non è entusiasta della guerra, si è solo rassegnata con stoico fatalismo perché le è stato detto che non c'è alternativa. Ed invero, chi può esservi contro? Chi non desidera che vengano liberati i “soldati rapiti”? Chi non vorrebbe che venissero rimossi i Katyusha e ripristinata la deterrenza? Nessun politico osa criticare l'operazione, ad eccezione degli Arab Mks (arabi israeliani membri del Knesset n.d.t.) che sono comunque ignorati dalla popolazione ebraica.
Nei media i generali regnano indisturbati, e non solo quelli in uniforme. E' difficile trovare un generale ormai in pensione che non sia stato invitato dagli organi di informazione per commentare, spiegare e giustificare ciò che sta accadendo: tutti parlano all'unisono.
(Un esempio: il più popolare canale televisivo israeliano mi ha invitato per un'intervista sulla guerra dopo aver saputo che avevo preso parte ad una manifestazione pacifista. Ero davvero sorpreso. Ma non per molto: un'ora prima di andare in onda mi ha chiamato un redattore del talk show a cui ero stato invitato per comunicarmi che si era verificato un terribile errore, la persona che volevano invitare era il professor Shlomo Avineri, ex direttore generale del Foreign Office, sul quale contavano perché giustificasse qualsiasi atto perpetrato dal governo, qualunque esso fosse, in alto linguaggio accademico).

“Inter arma silent Musae” quando le armi parlano, le Muse tacciono. O piuttosto: Quando le pistole ruggiscono, il cervello cessa di funzionare.
Infine solo un breve pensiero: Quando lo Stato di Israele fu fondato, nel pieno di una guerra crudele, un poster fu attaccato ai muri: ”Tutto il Paese – un fronte! Tutto il popolo – un esercito!”
58 anni sono trascorsi, ma lo stesso slogan è ancora valido come allora. Che cosa ci dice circa le generazioni di statisti e generali?

*Gush Shalom

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