28.8.06

I tanti punti controversi della missione Onu in Libano

(tratto da www.erre.info del 24/08/2006)


di Salvatore Cannavò

Non credo che nelle riserve espresse a proposito della missione Onu in Libano via sia “errore o distrazione”. Al contrario, credo che la decisione che il governo si appresta a prendere sia eccessivamente frettolosa e poco incline, almeno a livello di dibattito pubblico, a valutare la complessità della situazione e la pericolosità “politica”, non tanto operativa, in cui l’Italia si andrà a collocare.


Ribadiamo alcune considerazioni preliminari: il fatto che si sia prodotto il “cessate il fuoco” è un fatto di grande positività vista la situazione penosa in cui si trova il popolo libanese; il fatto che l’Onu abbia preso in mano l’iniziativa è anch’esso un fatto positivo che, va però sottolineato, mette in discussione lo schema utilizzato per l’Afghanistan fondato sull’intervento Nato; il fatto che l’Italia sia protagonista di una pacificazione e di un rapporto positivo con il mondo arabo-musulmano, dopo un quinquennio di “guerra di civiltà”, è anch’esso un fatto importante e da questo punto di vista bene ha fatto il ministro D’Alema a recarsi a Beirut e a incontrare i dirigenti di Hezbollah. Che, non dimentichiamolo, sono esponenti di un partito integralista e conservatore ma rappresentano pure una fetta ampia di quella popolazione, così come Hamas a Gaza e nei Territori occupati, costituendo, di fatto, un contenimento al reclutamento di Al Qaeda o delle sue costellazioni.
Detto questo, credo che non si possano banalizzare o sottovalutare i punti controversi. Innanzitutto il contesto internazionale e il luogo in cui si colloca questa missione cioè nell’epicentro della guerra globale permanente. Lo ha descritto con molta chiarezza qualche giorno fa su la Repubblica Lucio Caracciolo: la tregua siglata in Libano assomiglia all’intervallo tra il primo e il secondo tempo di una guerra che ha come protagonisti principali Israele e Iran e dietro di loro, ovviamente, gli Stati Uniti e i loro alleati e gran parte del mondo arabo-musulmano. Che non si tratti di una suggestione lo dice il dibattito che a tale proposito si sta svolgendo negli Usa ma anche in Israele. Lo scenario di fondo è quello di uno scontro aperto che ora è “solo” sospeso in virtù di due elementi: l’impasse in cui si trova la strategia unilateralista, cioè imperialista, degli Stati Uniti e l’attesa per le elezioni di “medio termine” in Usa nel prossimo ottobre. Più che parlare di “svolta” della politica internazionale, quindi, parlerei di attesa e di fase transitoria in cui quasi tutti i protagonisti cercano una riorganizzazione. Lo fanno gli Usa che devono tirare il bilancio di cinque anni di guerra globale che non ha prodotto uno straccio di risultato - è bastato un sapiente lavoro di intelligence per permettere alla Gran Bretagna quello che gli Usa non si sono nemmeno sognati in termini di contrasto al terrorismo; è in attesa l’Europa dove si aspetta di vedere l’esito della Grande Coalizione in Germania, il destino di Blair in Gran Bretagna, il futuro del governo Prodi in Italia, le prospettive dell’unificazione bloccate dai referendum contro la Costituzione; è in attesa il Medio Oriente dove Israele deve leccarsi le ferite di una guerra persa a tavolino, dove Hamas cerca di uscire dall’angolo internazionale, dove la Siria sta tenendo un profilo basso per non creare alibi ma cerca di ricavare il vantaggio maggiore della situazione, e così via. Gli unici a non aver giocato in attesa ma ad aver guadagnato punti dalla vicenda attuale sono gli sciiti di Hezbollah che divengono ancora di più gli arbitri della situazione libanese e che possono sbandierare all’intero mondo musulmano la loro “vittoria” su Israele.

E’ in questa transizione che si colloca la missione Onu. I suoi fautori potrebbero sostenere che proprio perché la situazione è indefinita è ora di intervenire con l’unico strumento esistente in grado di lavorare per la pace. Tesi più che legittima ma che non fa i conti con due aspetti del problema. Il primo è che l’Onu è ampiamente screditata, che troppo spesso ha coperto i progetti di dominio degli Stati Uniti, come in Iraq, Afghanistan e Kosovo e che la maggior parte delle sue risoluzioni in Medioriente sono disattese. Ma quello che rende fragile questa affermazione è che per giocare davvero un ruolo in controtendenza rispetto a quello impresso dagli Usa alla politica internazionale, l’Onu avrebbe dovuto licenziare una risoluzione molto più chiara e definita della 1701. Che, invece, assegna a Hezbollah la responsabilità dell’inizio della guerra, non fa i conti con il massacro di civili perpetrato da Israele in Libano, non addebita alcunché a Tel Aviv in termini di risarcimento o di responsabilità e, in ultima istanza, stabilisce che un paese sovrano come il Libano debba ora vivere con una forza di polizia internazionale in una porzione molto ampia del proprio territorio e che una componente fondamentale dello stesso governo libanese debba essere disarmata esponendo il paese al rischio di una nuova guerra civile.

Che questo sia il problema è ormai chiaro nelle reazioni “preoccupate” e non più entusiastiche che provengono dal governo e da ampi settori della politica italiana tra cui quei dirigenti della ex Dc, come Andreotti, Colombo ma anche Dini e Formigoni, molto avveduti di questioni mediorientali e non tacciabili di simpatie estremiste.

Il punto che mi interessa è che le ambiguità dell’Onu non sono rischiose solo per la sicurezza dei nostri soldati ma rappresentano il frutto di quella situazione transitoria che ho descritto poco sopra. Situazione in cui pesano rapporti di forza globali ancora a favore degli Usa, sia pure incrinati dall’avventura irachena, da quella afgana e dal risultato della guerra di Israele in Libano e che non vengono contrastati a sufficienza da mediazioni come quella raggiunta sulla 1701, il cui esito può divenire una nuova delegittimazione delle Nazioni Unite, il rilancio della guerra globale, con l’Italia, e l’Europa, in mezzo fra due fuochi.

Per questo credo che la discussione realizzata finora sia insufficiente e nasconda una certa frenesia nel partecipare al contingente senza fare i conti con la doverosa precisazione delle condizioni politiche di base. La prima delle quali si chiama “questione palestinese”. Non deve sfuggire il fatto che l’iniziativa israeliana ha permesso di derubricarla ancora una volta a pratica da archiviare, come dimostra il dibattito avvenuto alla Knesset subito dopo il “cessate il fuoco”. Così come non può essere dimenticato che quella è la causa principale da risolvere e che senza la sua soluzione, corrispondendo alle legittime aspirazioni del popolo palestinese, non ci sarà nessun progetto di pace ma solo soluzioni a corto raggio e di breve respiro. Il nostro partito ha sempre dichiarato che una missione Onu in Medioriente sarebbe stata possibile a partire dal dispiegamento di truppe a Gaza e in Cisgiordania a garanzia della sicurezza di Israele ma soprattutto a favore della creazione dello Stato palestinese. Se non si mette questo obiettivo innanzi a tutto si corre dietro l’emergenza creata da Israele - oggi in Libano, domani in Siria? - e si alimenta una tensione crescente. L’Italia dovrebbe quindi farsi promotrice di una vera Conferenza di pace, con tutte le parti interessate, in grado di trovare un accordo complessivo per poi quindi stabilire una presenza internazionale a garanzia di quell’accordo. La presenza in Libano va in questa direzione? Con quali mezzi, quali prospettive, quali ulteriori passaggi politici e diplomatici? Al momento non se ne vede alcuno. Se si risolve questo aspetto di prospettiva gli altri nodi sono più semplici. E’ chiaro che in un contesto simile la missione Onu non potrebbe essere realizzata per disarmare Hezbollah e che le sue regole di ingaggio sarebbero di pura interposizione pacifica tra due contendenti in armi. E, se questa fosse la prospettiva, è chiaro, almeno a me, che il ritiro delle truppe dall’Afghanistan renderebbe tutto più credibile e davvero darebbe il segnale di un’effettiva controtendenza su scala internazionale.

Ecco, il governo, la sua maggioranza, sono chiamati a questa discussione che non può avvenire che in un parlamento in seduta plenaria - non certo nell’emergenzialità di queste ore - e con la discussione di un documento politico ad hoc che faccia la dovuta chiarezza ovviamente sulle regole di ingaggio ma soprattutto sul contesto internazionale - ad esempio biasimando la politica aggressiva di Israele - e sulla prospettiva in cui l’Italia decide di collocarsi. Questa sì, sarebbe una svolta.

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