22.2.07

Foibe, perché il caso è tutt'altro che chiuso

di Tommaso Di Francesco

(tratto da il manifesto del 20/02/2007)

All'improvviso, con la stessa apparente nettezza con la quale si era espressa, la protesta del presidente croato Stipe Mesic è rientrata, con la dichiarazione che nelle parole del presidente italiano Giorgio Napolitano «non c'era nessun attacco alla Croazia» né «al Trattato di pace del 1947 e gli accordi di Osimo e di Roma» e che «non conteneva ispirazioni revansciste e storico revisioniste». E' quello per cui la Farnesina per quasi una settimana ha attivamente «lavorato». Dietrofront di Mesic dunque. Soprattutto dopo la retromarcia, vera, del presidente Napolitano che per primo aveva ridimensionato le sue affermazioni unilaterali. Il caso dunque è chiuso?
No. Almeno per due ordini di motivi, internazionale e interno. Dal punto di vista dei nuovi governi balcanici, tutt'altro che eredi della ex Jugoslavia, il caso resta sensibilmente aperto. Mesic fa marcia indietro per obbligo alla diplomazia europea e italiana (e alla questione dei diritti di proprietà rivendicati da Roma), ma non certo per essere stato isolato. La Commissione europea che pure ha criticato Mesic, non ha in realtà mai messo in discussione l'adesione di Zagabria alla Ue. In patria poi il presidente croato ha avuto vasta solidarietà, tra le popolazioni di Istria e Dalmazia dove non c'è famiglia che non abbia una vittima del nazifascismo, e dal governo Sanader di destra pronto a cavalcare ogni «croaticità», perfino la liberazione dal nazifascismo. E' l'ambiguità sostanziale dell'esperienza croata, rappresentata da Franjo Tudjman (uno dei generali di Tito prima di diventare presidente xenofobo, negazionista e ultranazionalista), e poi dallo stesso Stipe Mesic, ex comunista, neonazionalista e sponsor dell'indipendenza croata su base etnica e della «guerra patriottica», vale a dire i massacri nella Krajna serba e nella Mostar musulmana. Che volete che sia la memoria per Mesic, pronto nel giro di pochi mesi a proclamare l'anniversario della «nazione croata» degli ustascia di Ante Pavelic e la guerra di liberazione partigiana?! Ma soprattutto poche ore prima del dietrofront di Mesic c'è stata la lettera di richiesta di chiarimenti, più formale ma destinata a pesare di più, del presidente sloveno Janez Drnovsek, esponente di quella Slovenia assai più integrata in Europa e anche più legata all'Italia. Al quale è stato risposto. Come a dire che le preoccupazioni per le parole di Napolitano, formalmente rientrate, sono più che reali e diffuse.
A questo punto però, se era facile immaginare che, di fronte a pressioni e ricatti, le ribellioni a parole delle piccole patrie etniche sarebbero formalmente rientrare, il nodo da sciogliere resta. E riguarda le responsabilità dell'Italia che non possono essere certo delegate ad altri. Insieme a quello dei contenuti e dei modi con cui l'Italia di Berlusconi - che ha sdoganato l'estrema destra postfascista e quella neo-nazifascista di Forza nuova e Fiamma tricolore - ha prima rappresentato quell'infernale e delicato periodo storico che va dal 1941 al 1945 nel sud-est europeo e in particolare nel «Litorale adriatico», e poi lo ha legittimato con un voto bipartisan in Parlamento nella legge del «Giorno del Ricordo». Un atto di memoria revisionata decretata per legge al quale ha partecipato una sinistra inconsapevole e reticente. Le parole di Napolitano che ha ridotto la tragica vicenda delle foibe a un episodio di «pulizia etnica contro gli italiani» ideologicamente rimosso, restano una pesante testimonianza di reticenza sulle responsabilità primarie del nazifascismo contro le popolazioni balcaniche. L'Italia ha il diritto di denunciare le foibe come sanguinosa pagina di vendette, ma non a prescindere dal contesto storico dei crimini del nazifascimo che occupava militarmente quelle terre balcaniche. Perché il presidente della repubblica, come chiedono molti storici italiani, non va a pregare sui sacrari slavi delle vittime civili e dei partigiani massacrati da fascisti, nazisti e generali pluridecorati e celebrati? Perché la celebrazione non diventa occasione di memoria anche sui crimini di guerra italiani, correggendo l'improbabile numero di vittime come chiede lo storico Jorge Pjerevec e decidendo almeno il senso dello spot televisivo, bugiardo e senza firma nell'ultima edizione.
Il caso è tutt'altro che chiuso. Ce lo ritroveremo tra un anno, alla quarta celebrazione, voluta come le altre non a caso a due settimane di distanza dalla giornata della Memoria della Shoah - ha ricordato lo storico Enzo Collotti. Tanto per permettere, con improponibili paragoni e sulla pelle della verità storica, la riconciliazione nazionale e la cosiddetta «unità politica» degli italiani che sta a cuore al presidente Napolitano. Sì, il caso è tutt'altro che chiuso.

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