19.2.07

Foibe, una revisione dietro l'altra

di Tommaso Di Francesco

(tratto da il manifesto del 16/02/2007)

Non si spegne il fuoco alimentato sulle foibe dal presidente Napolitano. Il presidente croato Stipe Mesic non tace nemmeno di fronte alle proteste - modeste - dell'Unione europea. Ieri, dopo l'insistenza di Napolitano che ha ripetuto il suo «no all'unilateralismo nazionalista», anche Giuliano Amato ha espresso «amarezza».
Il fatto è che le memorie cancellate sono troppe. Napolitano ha parlato come se non sapesse che un vasto dossier sui crimini di guerra commessi dagli italiani resta misconosciuto - con le stragi nazifasciste in patria nascoste «dietro gli armadi». In una Italia dove alligna un revisionismo storico quotidiano. Con un magistrato che in una sentenza di pochi giorni fa a Roma approva e assolve la dichiarazione di un neonazifascista di Forza nuova che dichiara: «Il responsabile delle Fosse Ardeatine è il capo partigiano Bentivegna che ha la colpa di via Rasella» (sic); mentre lo storico delle foibe Giacomo Scotti viene perseguitato a Trieste e a Fiume da An e Forza nuova - una vicenda sulla quale richiamano l'attenzione delle autorità italiane Paolo Rumiz, Claudio Magris e perfino Paolo Pansa; e in un canovaccio tv, tra fulgidi dibattiti sull'autenticità improbabile degli ultimi diari di Mussolini ritrovati, è arrivato lo spot sulla Giornata del Ricordo. In onda per due settimane senza la firma della «Presidenza del Consiglio», accusava i «comunisti» delle stragi delle foibe. Era lo spot voluto dal governo precedente, ma, in continuità, la Rai e l'attuale governo hanno preferito mandarlo in onda lo stesso, anonimo. Come se nell'esercito di liberazione di Tito, multietnico e dove combattevano migliaia di partigiani italiani, ci fosse il disegno della pulizia etnica che, invece, in chiave anti-slava in Istria era stata teorizzata e praticata dal fascismo della prima ora.
Napolitano, nell'empito che lo spinge alla riconciliazione nazionale da giocare sul terreno dell'unità politica, ha messo il dito in un vermaio. E diciamolo, avrebbe fatto bene a riflettere. E' stato invece «reticente» - come ha scritto Rossana Rossanda. Mostrando di non conoscere l'assiduo lavoro su questo della storiografia italiana. Vuol dire semplicemente cancellare la storia, parlare della tragedia delle foibe in chiave «di rimozione di una pulizia etnica contro gli italiani» senza raccontare, o citare, il contesto storico che vide il nazifascismo fare scempio dei diritti e delle vite nel cosiddetto «Litorale Adriatico», non solo durante la Seconda guerra mondiale ma ben prima con operazioni di privazione di identità, cancellazione di toponimi e culti, dopo aggressioni e distruzioni squadriste, e dopo il sostegno attivo dato al regime ustascia di Ante Pavelic. Ha ragione Stipe Mesic: vuol dire essere razzisti, revanscisti e revisionisti. Naturalmente in Croazia e Slovenia sbaglia chi giustifica le foibe con le precedenti stragi fasciste. Non si giustifica mai la vendetta.
Perché però - come chiedono molsti storici italiani - con vero spirito di pacificazione un presidente della repubblica italiana non va a pregare sui sacrari slavi delle vittime civili e dei partigiani massacrati da fascisti, nazisti e generali italiani pluridecorati? Perché non esiste una giornata dei Crimini di guerra italiani? Ce n'è materia, in Libia, Etiopia, Balcani, Grecia ecc. ecc.. Già, perché non trasformare il giorno del ricordo dello sole foibe in un momento di memoria condivisa, il «Giorno del Ricordo delle foibe e dei Crimini di guerra italiani»? Correggendo anche l'impostazione unilaterale della legge e i troppi errori, primo fra tutti il numero delle vittime - come ricorda lo storico Joze Pirjevec.
A dire il vero una cosa poteva e può essere rimproverata a Stipe Mesic. Che solo dopo una feroce guerra interetnica (poco più di 10 anni fa nei Balcani, della quale la Croazia è stata capofila), ha sentito il bisogno di rivendicare la memoria dilaniata della Jugoslavia occupata da fascisti e nazisti. Lui ex comunista, poi subito dopo nazionalista, alleato del leader xenofobo Franjo Tudjman; lui compiaciuto dell'Operazione Tempesta, la più grande pulizia etnica di quella guerra, con 300mila serbi cacciati dalla Krajna e 16mila vittime. Lui che ha promosso quelle stragi a «guerra patriottica» fondativa della nuova Croazia.
Ma può farlo legittimamente un paese europeo, come l'Italia, che con il Vaticano e la Germania, riconobbe subito le indipendenze autoproclamate su base etnica nel 1991-1992, di Slovenia e Croazia, prodromo della tragedia in Bosnia Erzegovina e avvio della distruzione della Federazione jugoslava? No. Così oggi, non innocentemente, Mesic rivendica la memoria jugoslava. Meglio tardi che mai.

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