6.2.07

Stefano Chiarini, giornalista generoso e militante


di Aldo Garzia

(AprileOnLine.info, 05 febbraio 2007)


Ciao Stefano Esperto come pochi di Medio Oriente, sempre in prima fila sulla questione palestinese, sotto le bombe della prima guerra del Golfo. Un uomo appassionato e gioviale che ha trascorso venticinque anni nella redazione de "il manifesto"





La notizia come uno sparo: Stefano Chiarini è morto d'improvviso, colpito da infarto. Sabato sera c'è stato l'incredulo e terribile passaparola tra amici e compagni che si frequentano ormai poco ma sono legati da un filo invisibile che è generazionale, politico, affettivo.
Stefano era a casa, con la moglie Elena e i suoi due figli. Stava lavorando a un articolo per "il manifesto", il giornale dove ha passato oltre venticinque anni. Nell'ultimo periodo aveva dei problemi di circolazione alle gambe. Pochi anni fa aveva sconfitto una fastidiosa malattia agli occhi che lo costrinse a indossare degli antiestetici occhiali anti-luce. Quei disturbi sono stati i segnali premonitori che qualcosa non funzionava nella pressione e nel suo cuore generoso, sempre disposto - come ha scritto bene Maurizio Matteuzzi sul "manifesto" di domenica - a buttarsi con ostinazione nelle "cause perse", che poi sono quelle dei popoli dimenticati del Terzo mondo.
Con Stefano va via un pezzo di seconda generazione del giornale e dell'impresa politica che abita ancora in via Tomacelli 146. Molte individualità, accanto alla speranza comune di cambiare l'Italia e pure il mondo, si sono incrociate per anni prima al quinto e poi al terzo piano di quello stabile dall'architettura mussoliniana nel centro di Roma. Qualcuno, come Stefano, vi ha trascorso metà della sua esistenza, consumando prima la giovinezza e subito dopo la maturità di marito, padre e inviato nei punti caldi delle guerre e dei conflitti mediorientali.

Ricordo quella sera di gennaio 1991, quando al telefono dei capiredattori arrivò la sua chiamata da Baghdad. Aveva voluto restare sotto le bombe della prima guerra del Golfo, unico giornalista insieme a Peter Arnett della Cnn. L'attacco dell'aviazione statunitense era imminente, lui stava per recarsi nel rifugio antiaereo dopo aver dettato l'articolo di giornata. Nei giorni precedenti non si era lasciato convincere ad abbandonare l'Iraq che prendeva fuoco. Stefano era così: inutile cercare di fargli cambiare idea, se era convinto della sua.
L'ho conosciuto nei primi anni Settanta all'università, dove si era iscritto alla facoltà di medicina dopo aver frequentato il Liceo Giulio Cesare di Corso Trieste dove aveva imparato a difendersi dagli attacchi dei fascisti pur non avendo il fisico del culturista. Quell'apprendistato gli permetteva di essere sempre nelle prime file dei cortei e del servizio d'ordine del "manifesto". Una volta le ha prese così tante dalla polizia che fu ricoverato al Policlinico, diventando per i più fifoni di noi un piccolo eroe da guardare con rispetto. La sua zona di impegno politico era la Tiburtina, Ponte Mammolo, dove militava nei collettivi operai-studenti che si occupavano di salute in fabbrica.

Stefano è sempre stato radicale e inflessibile nelle sue convinzioni. Era un lato del suo carattere, che forse trovava radici nella formazione cattolica giovanile: se si crede in Dio e poi in qualcos'altro, bisogna farlo davvero e fino in fondo. Amava la polemica e la provocazione. In uno dei primi cortei femministi e separatisti non aveva scelto, come la maggioranza di noi, di restare ai margini. Alzando la voce, aveva detto chiaro e tondo ad alcune compagne che sfilavano a Largo Argentina che la loro scelta era sbagliata perché il movimento in cui eravamo tutti impegnati doveva restare uno e indivisibile.
Il caso ha poi voluto che andassi a vivere per qualche tempo in un appartamento dove c'era una sua ex fidanzata, con la quale aveva mantenuto un rapporto di amicizia e di scambio. La frequentazione era perciò diventata meno casuale delle riunioni che "il manifesto", gruppo politico romano, teneva nella sede di via Monterone. Ho iniziato allora a cogliere i lati più nascosti del suo carattere: la generosità, l'abnegazione, la disponibilità all'amicizia e finanche la timidezza.
Gli anni del primo riflusso della marea sessantottina lo hanno condotto a Londra con la voglia d'imparare perfettamente l'inglese. Lì ha iniziato a occuparsi del conflitto che dilaniava l'Irlanda del nord. Le sue cronache per "il manifesto" erano intrise di passione e di dovizia di particolari storici, non solo di attualità. E' nato in quel periodo, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, il cronista Chiarini: un giornalista schierato, dotto nelle materie che seguiva, convinto che il giornalismo era una delle modalità con le quali continuare a fare politica raccontando episodi, storie e lotte che si svolgevano in terre distanti dalla nostra. In Italia erano in pochi a conoscere al pari di Stefano la storia e la contemporaneità dei paesi del Medio Oriente, oltre alle radici e all'attualità della "questione palestinese".

Quando ci siamo ritrovati a via Tomacelli, la comunicazione - assieme alle polemiche - sono riprese dal punto dove le avevamo lasciate (lui sempre troppo di sinistra ai miei occhi, io sempre troppo moderato ai suoi). Ci univa, al di là delle differenze, ciò che insieme avevamo vissuto a metà degli anni Settanta e che poi ci avrebbe portato a collaborare più strettamente sia nel giornale sia nell'ideare un volume dedicato a Cuba della sua casa editrice, raffinata nella grafica e nella scelta dei titoli, Gamberetti .
Negli ultimi anni leggevo da lontano le sue cronache e seguivo con distacco i suoi percorsi politici in cui però, perfino nella scelta di candidarsi nelle liste dei Comunisti italiani alle ultime elezioni del 2006, scorgevo la stessa coerenza e generosità di gioventù. Quando capitava di incontrarci, il parlottare riprendeva fitto come se non avesse subito interruzioni. Proprio come accade a quanti sono uniti dal filo invisibile degli anni Settanta, che è insieme generazionale, politico e affettivo.
In questo momento in cui qualcosa della passata gioventù si spezza irrimediabilmente, mi piace ricordare l'ironia e il sorriso sornione di Stefano insieme a quella borsa - un archivio ambulante - da cui non si separava mai e che conteneva fotocopie, ritagli e materiali che lui solo sapeva decifrare e ordinare.
Chiarini ha vissuto intensamente i suoi appena 55 anni. Era amato per la sua umanità e molto apprezzato per il suo lavoro giornalistico. Questa consapevolezza non addolcisce il dolore di quanti lo hanno conosciuto e ora devono arrendersi all'idea di non rivederlo più.

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