19.6.07
Le armi spuntate di un pensiero unico
Da Bartolomé de Las Casas all'ingerenza umanitaria, i diritti umani come ideologia dominante di un sistema-mondo che sta conoscendo il suo declino. «Comprendere il mondo» (Asterios) e «La retorica del potere» (Fazi editore), due saggi di Immanuel Wallerstein
Benedetto Vecchi
Immanuel Wallerstein è spesso considerato uno studioso ante litteram della globalizzazione. Una volta interrogato su questo giudizio, ha risposto stizzito che la globalizzazione è un termine vuoto che può essere riempito di ogni significato. Per questo è un termine che non ama molto usare, preferendogli le espressioni sistema-mondo e economia-mondo, attorno alle quali ha dedicato gran parte della sua produzione teorica, da quando alla metà degli anni Settanta ha mandato alle stampe i primi tre volumi di un'opera - Il sistema mondiale dell'economia moderna (Il Mulino) - che ancora adesso, a oltre trent'anni dalla sua apparizione, Wallerstein considera come un work in progress che ha bisogno della collaborazione di molti altri studiosi per accumulare dati, analisi su questo o quel fenomeno per considerarla davvero un'opera compiuta.
La lunga transizione
In questo ultimo trentennio lo studioso statunitense ha incontrato molti compagni di strada, come racconta nel libro Comprendere il mondo (Asterios, pp. 164, euro 15). Con alcuni di loro - Giovanni Arrighi, ma anche lo scomparso Terence Hopkins - ha condiviso anche le attività del Fernand Braudel Center, vero e proprio laboratorio di analisi del sistema-mondo. Il primo capitolo di Comprendere il mondo è esemplare nel delineare la genealogia culturale e politica dei concetti di sistema-mondo, economia-mondo e impero-mondo. Ma è anche un saggio che considera sbagliata la categoria della globalizzazione, perché un sistema-mondo lavora sulla lunga durata misurabile in termini di secoli e di cicli che durano dai venti ai cinquant'anni. Dunque per Wallerstein, il sistema-mondo attuale ha origine nel lontano quindicesimo secolo, mentre gli ultimi venti, trent'anni - quelli della globalizzazione, appunto - fanno parte di quella fase di di transizione da un sistema-mondo ad un altro.
L'aspetto tuttavia più interessante della attuale riflessione di Immanuel Wallerstein viene invece da un altro libro. Si tratta de La retorica del potere (Fazi editore, pp. 125, euro 14), un vera e propria panoramica dell'ideologia o meglio della geocultura del sistema-mondo capitalista, sempre per rimanere all'interno del lessico di Wallerstein. Con un'operazione ardita lo studioso statunitense individua nella polemica tra Bartolomé de Las Casas e Juan Ginés de Sepúlveda l'atto originario di quell'ideologia dei diritti umani tutt'ora usata per garantire l'egemonia dell'economia-mondo capitalista.
Las Casas e Sepúlveda erano entrambi prelati alla corte spagnola di Carlo V prima e di Filippo II dopo. Ciò che li divideva era come rendere universale la civiltà che si era sviluppata in Europa. E se Bartolomé de Las Casas era propenso a una «pratica del consenso», de Sepúlveda riteneva che il rispetto dei diritti umani, così ben rappresentati dalla religione cattolica, dovessero trovare nelle armate spagnole il miglior viatico. Da allora, sostiene Wallerstein l'imposizione dei diritti umani è stata l'ideologia dominante nel sistema-mondo. Potevano cambiare le forme politiche, come anche i protagonisti, ma il sistema interstatale fuoriuscito dalla pace di Westfalia alla metà del XVII secolo ha sempre legittimato la sua propensione egemonica con l'esportazione della religione civile dei diritti umani. La «pratica del consenso» di Bartolomé de Las Casas fu sconfitta dalla «ingerenza armata civilizzatrice» di Sepúlveda. Da allora l'Occidente ha preferito le armi alla persuasione.
La retorica del potere vigente è dunque quella dei diritti umani, sia nella sua variante liberal che in quella neoconservatrice. Possono cambiare i mezzi, ma certo non l'obiettivo perseguito, cioè il mantenimento di quel rapporto gerarchico tra centro e periferia del sistema-mondo in cui i paesi più forti esercitano la loro egemonia su quelli più deboli. La critica, dunque, deve investire quello che Wallerstein definisce il «cattivo universalismo europeo», indicando nella critica di Edward Said la via maestra dove inoltrarsi per elaborare un auspicabile «universalismo universale».
Va da sé che la «pratica del consenso» è certo preferibile alle truppe d'occupazione, ma questo saggio di Wallerstein coglie una tendenza indiscutibile nella discussione contemporanea, cioè la centralità assegnata al rispetto dei diritti umani per accedere al tavolo del governo mondiale. Rimanendo alla contingenza, cioè quel momento dell'azione collettiva fondamentale per pensare politicamente la realtà, è indiscutibile il fatto che i diritti umani sono stati usati sia per «guerre umanitarie», come quella condotta dal liberal Bill Clinton con il sostegno convinto di un personaggio di sinistra come Massimo D'Alema nel Kosovo, che in «guerre preventive», come l'invasione dell'Iraq voluta dal conservatore George W. Bush appoggiato fermamente da un uomo di destra come Silvio Berlusconi. Inoltre, in difesa dei diritti umani sono scesi in campo intellettuali conservatori come anche intellettuali democratici se non ex-gauchiste.
La storia dimenticata
I diritti umani dunque come collante di una realtà, l'economia-mondo, che è però al suo punto di crisi più radicale. Non è certo una novità che Wallerstein consideri declinante l'egemonia statunitense, né che si stiano affacciando sulla scena internazionale paesi - la Cina e l'India - che vogliono ridisegnare a loro vantaggio i rapporti tra centro e periferia del sistema-mond. Ciò che lascia perplessi della «retorica del potere» denunciata in questo volume è la sua astoricità, quasi che i diritti umani siano una fattore perdurante del funzionamento del sistema-mondo. I diritti umani sono invece un prodotto storico che ha costituito, talvolta, un elemento di contraddizione nelle relazioni sociali e interstatali dell'ordine mondiale fuoriuscito dalla seconda guerra mondiale. Certo, espressione di quell'«orientalismo» così aspramente criticato da Edward Said, ma anche parola d'ordine per marcare un'alterità al sistema capitalistico.È in questa polarità che i diritti umani sono oscillati.
La seconda perplessità riguarda invece l'esistenza o meno di un «pensiero unico» del sistema-mondo. Più che un pensiero unico, infatti, l'attuale sistema-mondo, per restare nella cornice lessicale di Wallerstein, fa infatti leva sulla diversità, sul pluralismo delle forme produttive come delle culture. I diritti umani sono quindi la weltanschauung di chi alle armi preferisce la «pratica del consenso» per imporre il suo ordine mondiale. Una concezione del mondo che ha dovuto cedere il passo a quei fondamentalismi - del mercato e della religione - che contribuiscono a definire la governance dell'ordine mondiale. Sono dunque le teste d'uovo delle imprese a rete transnazionali e i cultori islamici o cristiani di verità rivelate che definiscono la «geocultura» di questo inizio millennio. E in questo quadro i diritti umani rappresentano semmai l'ultima spiaggia per garantire quell'innovazione sociale, culturale di cui il sistema-mondo ha ancora necessità.
(tratto da il manifesto, 17 giugno 2007)
Benedetto Vecchi
Immanuel Wallerstein è spesso considerato uno studioso ante litteram della globalizzazione. Una volta interrogato su questo giudizio, ha risposto stizzito che la globalizzazione è un termine vuoto che può essere riempito di ogni significato. Per questo è un termine che non ama molto usare, preferendogli le espressioni sistema-mondo e economia-mondo, attorno alle quali ha dedicato gran parte della sua produzione teorica, da quando alla metà degli anni Settanta ha mandato alle stampe i primi tre volumi di un'opera - Il sistema mondiale dell'economia moderna (Il Mulino) - che ancora adesso, a oltre trent'anni dalla sua apparizione, Wallerstein considera come un work in progress che ha bisogno della collaborazione di molti altri studiosi per accumulare dati, analisi su questo o quel fenomeno per considerarla davvero un'opera compiuta.
La lunga transizione
In questo ultimo trentennio lo studioso statunitense ha incontrato molti compagni di strada, come racconta nel libro Comprendere il mondo (Asterios, pp. 164, euro 15). Con alcuni di loro - Giovanni Arrighi, ma anche lo scomparso Terence Hopkins - ha condiviso anche le attività del Fernand Braudel Center, vero e proprio laboratorio di analisi del sistema-mondo. Il primo capitolo di Comprendere il mondo è esemplare nel delineare la genealogia culturale e politica dei concetti di sistema-mondo, economia-mondo e impero-mondo. Ma è anche un saggio che considera sbagliata la categoria della globalizzazione, perché un sistema-mondo lavora sulla lunga durata misurabile in termini di secoli e di cicli che durano dai venti ai cinquant'anni. Dunque per Wallerstein, il sistema-mondo attuale ha origine nel lontano quindicesimo secolo, mentre gli ultimi venti, trent'anni - quelli della globalizzazione, appunto - fanno parte di quella fase di di transizione da un sistema-mondo ad un altro.
L'aspetto tuttavia più interessante della attuale riflessione di Immanuel Wallerstein viene invece da un altro libro. Si tratta de La retorica del potere (Fazi editore, pp. 125, euro 14), un vera e propria panoramica dell'ideologia o meglio della geocultura del sistema-mondo capitalista, sempre per rimanere all'interno del lessico di Wallerstein. Con un'operazione ardita lo studioso statunitense individua nella polemica tra Bartolomé de Las Casas e Juan Ginés de Sepúlveda l'atto originario di quell'ideologia dei diritti umani tutt'ora usata per garantire l'egemonia dell'economia-mondo capitalista.
Las Casas e Sepúlveda erano entrambi prelati alla corte spagnola di Carlo V prima e di Filippo II dopo. Ciò che li divideva era come rendere universale la civiltà che si era sviluppata in Europa. E se Bartolomé de Las Casas era propenso a una «pratica del consenso», de Sepúlveda riteneva che il rispetto dei diritti umani, così ben rappresentati dalla religione cattolica, dovessero trovare nelle armate spagnole il miglior viatico. Da allora, sostiene Wallerstein l'imposizione dei diritti umani è stata l'ideologia dominante nel sistema-mondo. Potevano cambiare le forme politiche, come anche i protagonisti, ma il sistema interstatale fuoriuscito dalla pace di Westfalia alla metà del XVII secolo ha sempre legittimato la sua propensione egemonica con l'esportazione della religione civile dei diritti umani. La «pratica del consenso» di Bartolomé de Las Casas fu sconfitta dalla «ingerenza armata civilizzatrice» di Sepúlveda. Da allora l'Occidente ha preferito le armi alla persuasione.
La retorica del potere vigente è dunque quella dei diritti umani, sia nella sua variante liberal che in quella neoconservatrice. Possono cambiare i mezzi, ma certo non l'obiettivo perseguito, cioè il mantenimento di quel rapporto gerarchico tra centro e periferia del sistema-mondo in cui i paesi più forti esercitano la loro egemonia su quelli più deboli. La critica, dunque, deve investire quello che Wallerstein definisce il «cattivo universalismo europeo», indicando nella critica di Edward Said la via maestra dove inoltrarsi per elaborare un auspicabile «universalismo universale».
Va da sé che la «pratica del consenso» è certo preferibile alle truppe d'occupazione, ma questo saggio di Wallerstein coglie una tendenza indiscutibile nella discussione contemporanea, cioè la centralità assegnata al rispetto dei diritti umani per accedere al tavolo del governo mondiale. Rimanendo alla contingenza, cioè quel momento dell'azione collettiva fondamentale per pensare politicamente la realtà, è indiscutibile il fatto che i diritti umani sono stati usati sia per «guerre umanitarie», come quella condotta dal liberal Bill Clinton con il sostegno convinto di un personaggio di sinistra come Massimo D'Alema nel Kosovo, che in «guerre preventive», come l'invasione dell'Iraq voluta dal conservatore George W. Bush appoggiato fermamente da un uomo di destra come Silvio Berlusconi. Inoltre, in difesa dei diritti umani sono scesi in campo intellettuali conservatori come anche intellettuali democratici se non ex-gauchiste.
La storia dimenticata
I diritti umani dunque come collante di una realtà, l'economia-mondo, che è però al suo punto di crisi più radicale. Non è certo una novità che Wallerstein consideri declinante l'egemonia statunitense, né che si stiano affacciando sulla scena internazionale paesi - la Cina e l'India - che vogliono ridisegnare a loro vantaggio i rapporti tra centro e periferia del sistema-mond. Ciò che lascia perplessi della «retorica del potere» denunciata in questo volume è la sua astoricità, quasi che i diritti umani siano una fattore perdurante del funzionamento del sistema-mondo. I diritti umani sono invece un prodotto storico che ha costituito, talvolta, un elemento di contraddizione nelle relazioni sociali e interstatali dell'ordine mondiale fuoriuscito dalla seconda guerra mondiale. Certo, espressione di quell'«orientalismo» così aspramente criticato da Edward Said, ma anche parola d'ordine per marcare un'alterità al sistema capitalistico.È in questa polarità che i diritti umani sono oscillati.
La seconda perplessità riguarda invece l'esistenza o meno di un «pensiero unico» del sistema-mondo. Più che un pensiero unico, infatti, l'attuale sistema-mondo, per restare nella cornice lessicale di Wallerstein, fa infatti leva sulla diversità, sul pluralismo delle forme produttive come delle culture. I diritti umani sono quindi la weltanschauung di chi alle armi preferisce la «pratica del consenso» per imporre il suo ordine mondiale. Una concezione del mondo che ha dovuto cedere il passo a quei fondamentalismi - del mercato e della religione - che contribuiscono a definire la governance dell'ordine mondiale. Sono dunque le teste d'uovo delle imprese a rete transnazionali e i cultori islamici o cristiani di verità rivelate che definiscono la «geocultura» di questo inizio millennio. E in questo quadro i diritti umani rappresentano semmai l'ultima spiaggia per garantire quell'innovazione sociale, culturale di cui il sistema-mondo ha ancora necessità.
(tratto da il manifesto, 17 giugno 2007)