17.6.07
Wallerstein: «Questo capitalismo è un lusso, costa troppo e vuol farci pure la morale»
di Bruno Gravagnuolo
«Signor Gandhi, cosa pensa della civiltà occidentale?». «Credo che sarebbe una bella idea». Nulla più di quest’ironica replica del Mahatma, a un giornalista che lo intervistava, darebbe meglio il senso del saggio controcorrente che Fazi manda proprio oggi in libreria: La retorica del potere. Critica dell’universalismo europeo (pp. 125,tr. di Mauro di Meglio, Euro 14). Lo ha scritto uno dei massimi storici sociali contemporanei, nonché figura di primo piano della sinistra culturale internazionale: Immanuel Wallerstein. Notissimo negli Usa e altrove per i suoi studi sul sistema mondiale dell’economia, e grande figura accademica alla Yale University.
Si compone di tre lezioni del 2004, riviste e accresciute di un capitolo finale dedicato al ruolo del sistema formativo del sapere nell’«economia-mondo», concetto «braudeliano» che Wallerstein ha approfondito in innumerevoli lavori. Quella battuta di Gandhi. Wallerstein la cita non a caso, per indicare il problema dei problemi, nella cultura del mondo globale: quello del «falso universalismo ideologico euro-americano». Lo stesso in virtù del quale i neocons (e non solo) teorizzano espansione militare e politica dei diritti. Legittimano interventi umanitari, e magnificano le virtù progressive del capitalismo planetario, nell’era del mondo unificato. Quel capitalismo, già intravisto da Marx, ma scatenato dalla fine dei muri e dei blocchi geopolitici, che di per sé, con corredo di scienza e istituzioni, avrebbe il potere e la magia di diffondere la democrazia su scala universale. Ovviamente Wallerstein, comprende benissimo, come già il Kant della Pace perpetua del 1794, che il globo annulla le distanze e fa entrare in risonanza vecchi e nuovi mondi. Culture ataviche e secolarizzazione, aspettative inedite di liberazione e forme di colonizzazione, dentro la divisione del lavoro tra aree forti e aree subalterne. Dunque non respinge affatto l’integrazione sistemica del mondo, che corrisponde a un inevitabile espansione delle forze produttive.
Ma, e qui torna Gandhi, Wallerstein sa anche che l’universalismo dei valori europei è falso. Falsamente universale, asimmetrico e anche distorsivo di «forme di vita» che non meritano affatto di essere travolte dall’artiglieria del «turbo-capitalismo». Di qui la critica alla «retorica del potere». E il tentativo di identificare un universalismo simmetrico e articolato in «differenze». dove lo scambio sia eguale fra le aree del mondo, non solo in termini di beni e servizi, ma anche in termini di saggezza e di valori reciproci.
E allora Wallerstein comincia dalla disputa che oppose a metà 500 il sacerdote Bartolomé de Las Casas al teologo Juan Ginés de Sepùlveda, davanti a Carlo V. Che cosa c’era in ballo? Il diritto o meno di disporre delle vite degli indigeni, annessi dopo il viaggio di Colombo ai proprietari ispanici delle terre da colonizzare. Da un lato Sepùlveda sostiene che gli indigeni sono senz’anima e crudeli, ai quali imporre l’etica cristiana. Dall’altro Las Casas argomenta sulla non minore selvatichezza dei bianchi, sulle loro costumanze crudeli, sui loro interessi mascherati. E sul danno etico ed umano che la schiavitù infligge agli indigeni, con la scusa di renderli virtuosi. Discussione senza fine e che restò senza verdetto: Las Casas aveva ragione da vendere! Ma in quello scontro c’è ancora l’oggi. Infatti proprio in nome di un universalismo ipocrita (ma capace di autocritica in Las Casas) si vuole imporre la democrazia dall’esterno e con la forza. Da parte di un capitalismo che per Wallerstein costa troppo. A se stesso intanto, come oneri finanziari, infrastrutture, tasse ambientali, salari. Sicché questo capitalismo scarica tutto sull’altro da sé: comprime salari, ambiente, protezione sociale, lavoro fisso. Succhia le moltitudini per farne massa consumatrice e lavoratrice flessibile. E poi si mette in cattedra di etica universale. E la sinistra? Al più fa da infermiera.
(tratto da l'Unità del 15 giugno 2007)
«Signor Gandhi, cosa pensa della civiltà occidentale?». «Credo che sarebbe una bella idea». Nulla più di quest’ironica replica del Mahatma, a un giornalista che lo intervistava, darebbe meglio il senso del saggio controcorrente che Fazi manda proprio oggi in libreria: La retorica del potere. Critica dell’universalismo europeo (pp. 125,tr. di Mauro di Meglio, Euro 14). Lo ha scritto uno dei massimi storici sociali contemporanei, nonché figura di primo piano della sinistra culturale internazionale: Immanuel Wallerstein. Notissimo negli Usa e altrove per i suoi studi sul sistema mondiale dell’economia, e grande figura accademica alla Yale University.
Si compone di tre lezioni del 2004, riviste e accresciute di un capitolo finale dedicato al ruolo del sistema formativo del sapere nell’«economia-mondo», concetto «braudeliano» che Wallerstein ha approfondito in innumerevoli lavori. Quella battuta di Gandhi. Wallerstein la cita non a caso, per indicare il problema dei problemi, nella cultura del mondo globale: quello del «falso universalismo ideologico euro-americano». Lo stesso in virtù del quale i neocons (e non solo) teorizzano espansione militare e politica dei diritti. Legittimano interventi umanitari, e magnificano le virtù progressive del capitalismo planetario, nell’era del mondo unificato. Quel capitalismo, già intravisto da Marx, ma scatenato dalla fine dei muri e dei blocchi geopolitici, che di per sé, con corredo di scienza e istituzioni, avrebbe il potere e la magia di diffondere la democrazia su scala universale. Ovviamente Wallerstein, comprende benissimo, come già il Kant della Pace perpetua del 1794, che il globo annulla le distanze e fa entrare in risonanza vecchi e nuovi mondi. Culture ataviche e secolarizzazione, aspettative inedite di liberazione e forme di colonizzazione, dentro la divisione del lavoro tra aree forti e aree subalterne. Dunque non respinge affatto l’integrazione sistemica del mondo, che corrisponde a un inevitabile espansione delle forze produttive.
Ma, e qui torna Gandhi, Wallerstein sa anche che l’universalismo dei valori europei è falso. Falsamente universale, asimmetrico e anche distorsivo di «forme di vita» che non meritano affatto di essere travolte dall’artiglieria del «turbo-capitalismo». Di qui la critica alla «retorica del potere». E il tentativo di identificare un universalismo simmetrico e articolato in «differenze». dove lo scambio sia eguale fra le aree del mondo, non solo in termini di beni e servizi, ma anche in termini di saggezza e di valori reciproci.
E allora Wallerstein comincia dalla disputa che oppose a metà 500 il sacerdote Bartolomé de Las Casas al teologo Juan Ginés de Sepùlveda, davanti a Carlo V. Che cosa c’era in ballo? Il diritto o meno di disporre delle vite degli indigeni, annessi dopo il viaggio di Colombo ai proprietari ispanici delle terre da colonizzare. Da un lato Sepùlveda sostiene che gli indigeni sono senz’anima e crudeli, ai quali imporre l’etica cristiana. Dall’altro Las Casas argomenta sulla non minore selvatichezza dei bianchi, sulle loro costumanze crudeli, sui loro interessi mascherati. E sul danno etico ed umano che la schiavitù infligge agli indigeni, con la scusa di renderli virtuosi. Discussione senza fine e che restò senza verdetto: Las Casas aveva ragione da vendere! Ma in quello scontro c’è ancora l’oggi. Infatti proprio in nome di un universalismo ipocrita (ma capace di autocritica in Las Casas) si vuole imporre la democrazia dall’esterno e con la forza. Da parte di un capitalismo che per Wallerstein costa troppo. A se stesso intanto, come oneri finanziari, infrastrutture, tasse ambientali, salari. Sicché questo capitalismo scarica tutto sull’altro da sé: comprime salari, ambiente, protezione sociale, lavoro fisso. Succhia le moltitudini per farne massa consumatrice e lavoratrice flessibile. E poi si mette in cattedra di etica universale. E la sinistra? Al più fa da infermiera.
(tratto da l'Unità del 15 giugno 2007)