10.8.07

I partigiani e i nazisti, mio nonno e l'Osservatore romano bipartisan

di Ascanio Celestini
(tratto da il manifesto, 10/08/2007)

Rosario arriva a via Rasella qualche minuto prima delle due. Con lui, lungo la strada ci stanno gli altri partigiani. Ma dopo un'ora i tedeschi non sono ancora passati. Poi arrivano le tre... e poi le tre e mezza... e poi alle quattro meno un quarto si decide di aspettare fino alle quattro... e se i tedeschi non si fanno vedere l'azione verrà rimandata. E già Bentivegna pensa al carretto pieno di esplosivo che deve riportarsi indietro. Pensa che ci stava la pena di morte per uno che veniva trovato con la pistola... figuriamoci con 18 chili di tritolo...
Ma qualche minuto prima delle quattro viene dato il segnale. I tedeschi arrivano. Marciano cantando una canzone tedesca che dice «Salta ragazza mia...» Davanti c'è un gruppo d'avanguardia e in fondo c'è un carretto trascinato da un somaro e sul carretto ci sta' un fucile mitragliatore. Bentivegna col braciere della pipa accende la miccia e corre via. Carla Capponi gli corre dietro, gli nasconde la spalle con un impermeabile e scappano su un autobus. Mentre la miccia brucia... lungo la strada c'è un gruppo di ragazzini che gioca a pallone proprio vicino all'esplosivo. Allora Pasquale Balsamo, un altro partigiano, corre su da via del Boccaccio, arriva lì vicino a 'sto ragazzino e gli ruba il pallone. Dà un calcio a 'sto pallone e il pallone rotola giù per la discesa. Il ragazzino si gira e je dice: «Aho, a fijo de 'na mignotta ma che stai a fa'?» Poi vede che il pallone suo non c'è più e corre in fondo alla discesa per recuperarlo... così quei ragazzini si salveranno. Nel frattempo il carretto esplode e gli altri partigiani lanciano delle bombe a mano. Nell'esplosione moriranno 32 tedeschi e un ragazzino italiano. Piero Zuccheretti si chiamava.
I tedeschi non capiscono bene quello che è successo. Pensano che le bombe siano state buttate dall'alto e si mettono a sparare per aria. Sparano verso i tetti, verso i balconi e le finestre. È stata colpita l'undicesima compagnia del Polizei-regiment «Bozen» in fase di addestramento a Roma. Quando Adolf Hitler dalla Germania viene a sapere quello che è successo a Roma in pieno centro, in pieno giorno, in una città occupata... dà ordine che vengano uccisi 50 italiani per ogni soldato tedesco morto, e bisogna far saltare in aria l'intero quartiere. Questo è l'ordine che dà Hitler dalla Germania. Poi qualcuno dice: «50 sono troppi. Sarebbe meglio ucciderne 30, meglio 20» Io non lo so quello che si sono detti in quelle ore. Io credo che non lo sa nessuno con precisione e poi chissà quante cose so' state dette in quel momento... Però so quello che è successo e so quello che stava pure scritto sul giornale che ha letto mio nonno due giorni dopo. Un paio di giorni dopo... dopo la rappresaglia tedesca... sul giornale c'era scritto che erano stati uccisi dieci comunisti badogliani per ogni soldato tedesco morto. E se i tedeschi morti a via Rasella sono 32, il conto è facile: gli italiani da uccidere sono 320. 320 che però devono essere già stati condannati a morte per fare un'esecuzione esemplare davanti agli occhi di tutti. Ma 320 condannati a morte a Roma non ce ne stanno. Li vanno a contare e in galera ce ne stanno solo tre. E tre persone non sono 300.
Allora Herbert Kappler pensa bene che per sveltire la pratica... perché questo fu un crimine, ma i criminali che l'hanno compiuto non rassomigliano al mostro che ammazza le sue vittime divorandole. Tutto questo crimine rassomiglia ad una pratica burocratica dove i nazisti si trovarono a dover compilare delle liste come un qualunque funzionario di qualche anonimo ufficio del ministero... e così anche Kappler si trovò davanti all'urgenza di sveltire la pratica e forse per questo motivo pensò che era meglio passare dai condannati a morte a quelli che erano ipoteticamente condannabili. E nell'ipotesi, per Kappler, a Roma tutti potrebbero essere condannabili. Secondo Kappler era condannabile anche uno che si chiamava Ettore Ronconi. Questo faceva l'oste a Genzano. Faceva il vino... era un oste appena arrivato a Roma per portare il vino all'osteria di via Rasella. Anche lui ipoteticamente è condannabile per Kappler, e anche il giorno appresso verrà ammazzato all'Ardeatine.
Poi durante la notte muore un altro tedesco. Muore perché era rimasto ferito a via Rasella, ma muore per conto suo all'ospedale. Allora Kappler, senza che manco nessuno glielo lo va a comandare, decide che per un fatto di matematica e di giustizia bisogna mettere nel numero delle persone da ammazzare altri dieci italiani. Poi forse si sbaglia e ce ne mette 15 per un totale di 335 persone. (...)
Adesso c'è da fare più di 300 fucilazioni. Così i tedeschi si ricordano di quando Roma diventò la capitale. Di quando si costruirono le case e i ministeri e per recuperare calce e mattoni attorno a Roma si scavarono più di 170 cave con 3000 persone che ci lavoravano dentro. Adesso ci sta la guerra e nessuno pensa più a costruire cosicché le cave sono in disuso. Così i 335 vengono portati in una cava abbandonata sulla via Ardeatina. Li fanno entrare in gruppi di cinque con le mani legate dietro la schiena. L'ordine è preciso e anche questa è 'na cosa che deve essere scientifica, una pratica burocratica: le persone devono ricevere il colpo all'altezza della nuca col capo leggermente rovesciato in avanti in maniera che muoiono subito e non si sprechino troppe pallottole, ma qualcuno non muore subito. Durante l'esumazione il dottor Ascarelli ne troverà uno con quattro fori nel cranio. Per 39 di loro sarà impossibile reperire la testa, perché forse è scoppiata coi gas d'esplosione all'interno della scatola cranica. Tanti altri vengono trovati con ferite lievi e forse neanche so' morti subito.
È il 24 marzo del 1944. Quattro giorni più tardi, i tedeschi tornano alle cave Ardeatine, fanno delle buche, mettono delle cariche d'esplosivo e fanno saltare in aria l'intera cava. Una montagna di terra crolla sopra una montagna di morti. Una montagna dentro un'altra montagna. E adesso... come dice pure l'ultima frase del giornale che ha letto mio nonno: l'ordine è stato eseguito.
Ma in quei giorni esce anche un altro giornale, un giornale che esce ancora e si chiama L'Osservatore romano. È il quotidiano del Vaticano e c'è un articolo curioso che la gente n'ha parlato per tanto tempo. Se ne parla ancora oggi tutte le volte che si riparla della storia di via Rasella. E io mi immagino la gente che voleva sapere cosa c'era scritto sull'articolo... la gente analfabeta al tempo della guerra. Io mi immagino che si andava a cercare qualcuno che glielo poteva leggere questo articolo tanto importante. Così... mi immagino tutta 'sta gente che se ne va al cinema Iris odierno cinema Gioiello in fondo a via Nomentana, a Porta Pia da mio nonno Giulio e gli fa: «Sor Giulio, dite 'n po' che c'è scritto sull'Osservatore romano?» E mio nonno che dice: «C'è scritto: 32 vittime da una parte, 320 sacrificati dall'altra per i colpevoli sfuggiti all'arresto».
Mio nonno legge il giornale.... e il giornale dice che quelli ammazzati alle Ardeatine sono sacrificati, come se fosse un evento biblico e non un crimine umano. Nel giornale i nazisti diventano le vittime e i partigiani sono i colpevoli...
Dico alla bassetta che è qui che incomincia la storia. Da questo punto dovremmo incominciare a raccontarla. Fino ad ora io ho solo messo in fila i fatti, ma è da questo momento che qualcuno ha incominciato a raccontarli. È qui che nasce il racconto e anche la polemica che lo accompagna. A questo punto abbiamo incominciato a sentire qualcuno che diceva: «Ma lo sai che quei 33 soldati che vennero ammazzati dai partigiani a via Rasella erano altoatesini? Mica erano tedeschi, erano proprio altoatesini! Dunque questo attentato di via Rasella fu un gesto criminale senza motivo perché andò a colpire altri italiani... italiani dell'Alto Adige invece delle truppe d'occupazione tedesche!» E io dico che sì... è vero! I 33 uccisi a via Rasella erano altoatesini, erano del Polizei-regiment «Bozen», erano altoatesini. Ma non erano mica gli stessi altoatesini che fanno lo speck sulle alpi! Dico che questi erano nazisti! E poi non credo che la nazionalità conti qualcosa, nel senso che i partigiani romani non facevano un'azione contro qualcuno soltanto perché si trattava di un tedesco. Anche tra i tedeschi ci stanno le differenze e i partigiani non avrebbero sparato a qualcuno solo perché era nato in Germania. Nessuno avrebbe sparato a Hegel, il filosofo, oppure a un ortolano di Berlino o a Schumacher il pilota della Ferrari! Credo che ci sta una bella differenza tra un filosofo, un ortolano, un pilota di formula uno e... un nazista!
E poi c'è l'altra polemica... quella dei manifesti. Perché tanta gente dice che i tedeschi stamparono dei manifesti. Manifesti sui quali c'era scritto che i tedeschi avevano arrestate 300 persone e l'avrebbero salvate soltanto se i partigiani autori dell'azione di via Rasella si fossero presentati. E visto che i partigiani non si presentarono i tedeschi si sentirono autorizzati a compiere l'eccidio delle Ardeatine.
Ma, dico alla bassetta... come potevano stampare i manifesti se la bomba di via Rasella scoppia alle quattro di pomeriggio del 23 marzo... e soltanto un giorno appresso i 335 delle Ardeatine erano già stati uccisi? Come potevano avere il tempo di stampare i manifesti e attaccarli sui muri di Roma?
E poi lo dicono persino i tedeschi che i manifesti non furono mai stampati. Lo dicono al processo nel novembre del '46 quando il giudice dice a Kesserling che avrebbe potuto avvisare la popolazione di quello che stava succedendo e lui risponde: «Sì, adesso a distanza di due anni credo che l'idea sarebbe stata buona!» E il giudice gli fa: «Però non lo faceste?» E Kesserling: «No. Non lo feci!»
E poi i tedeschi non avevano motivo di avvertire i romani che stavano per ammazzare più di 300 persone. Se l'avessero fatto a Roma sarebbe scoppiata una rivolta.
Insomma, i tedeschi non dissero niente se non dopo che la cosa era successa. Eppure ancora oggi tanta gente dice: «Mio nonno li ha visti i manifesti... mio zio li ha visti... c'erano i manifesti», perché la gente i manifesti li ha visti pure se nessuno li ha mai stampati... e mica per cattiveria... ma perché in questa menzogna che si porta avanti da più di cinquant'anni s'è trovata una speranza per questi 335... una speranza che davvero non gliel'ha data mai nessuno. Qualcuno ti dice: «io l'ho sentito perfino alla radio 'sto comunicato!» Ma la realtà è che se tu avessi acceso la radio in quei giorni mica sentivi i comunicati. Se avessi acceso la radio avresti sentito le canzonette che mandava il regime. Ascanio Celestini è considerato uno dei migliori esponenti del cosiddetto teatro di narrazione. Nel 2000-2001 ha scritto e rappresentato Radio Clandestina (da cui è tratto il testo a fianco, ed. Donzelli), un racconto costruito a partire dal libro l'Ordine è già stato eseguito di Alessandro Portelli, premio Viareggio '99, che raccoglie la memoria orale legata all'eccidio delle fosse Ardeatine del 24 marzo 1944. Lo spettacolo fu presentato nei locali dell'ex-carcere nazista di via Tasso (ora Museo della Liberazione) in forma di studio per i Luoghi della Memoria, manifestazione organizzata dal Comune di Roma e dal Teatro di Roma. Attualmente sta lavorando al suo primo disco, che uscirà a ottobre e si intitolerà «Parole sante».

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