10.8.07

Via Rasella, un legittimo atto di guerra

La Cassazione dà ragione al partigiano Bentivegna e condanna Feltri e il Giornale. E' la terza sentenza definitiva sul 23 marzo 1944. Soddisfatto e scettico l'ex Gap

di Andrea Fabozzi
(tratto da il manifesto, 08/08/2007)

Per la terza volta la corte di Cassazione ha sentenziato la legittimità dell'atto di guerra del 23 marzo 1944, via Rasella. Per la terza volta ha dato ragione ai partigiani, a Rosario Bentivegna che è l'ultimo sopravvissuto del gruppo dei Gap che in quel giorno del '44 portò a segno - si legge nella sentenza - un «legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante», l'undicesima compagnia del 3° battaglione dello SS Polizeiregiment Bozen. E per la terza volta i giudici di Cassazione - la terza sezione civile - hanno dato torto agli improvvisati revisionisti, stavolta si tratta di due giornalisti. Francobaldo Chiocci e più di lui Vittorio Feltri che da direttore del Giornale il 6 aprile 1996 in un fondo («Una giustizia un po' partigiana») aveva equiparato Bentivegna ad Erik Priebke, il capitano delle SS boia delle Fosse Ardeatine. Feltri, Chiocci e la società editrice del Giornale (di proprietà di Paolo Berlusconi) erano stati condannati tre anni fa a un risarcimento danni di 45mila euro in favore di Bentivegna. Ora la sentenza della Cassazione (n° 17172) rende definitiva quella condanna e stabilisce che l'azione di via Rasella era «diretta a colpire unicamente dei militari».
Il fatto che debba essere un tribunale a sancire la verità storica su uno degli episodi più importanti della guerra partigiana a Roma e in Italia non consente di esultare. A 85 anni Rosario Bentivegna (Paolo) accoglie la notizia con sperimentato scetticismo: «I faziosi e gli imbecilli che continueranno a ignorare la verità ci saranno sempre». Medico, marito di una partigiana medaglia d'oro, Carla Capponi, Bentivegna che è stato anche giornalista all'Unità è la memoria vivente dei Gap romani, con Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini. Di via Rasella ha scritto varie volte, l'ultima solo l'anno scorso pubblicando (per la casa editrice del manifesto) un istruttivo carteggio con Bruno Vespa che nel suo abituale best seller natalizio aveva ripetuto le banali falsità sul 23 marzo '44, dalla più atroce - i partigiani non si erano consegnati ai nazisti così permettendo la «rappresaglia» delle Ardeatine - alla più patetica - le 33 vittime erano solo ignari concittadini.
Secondo i giudici di Cassazione invece le SS altoatesine non erano «vecchi militari disarmati», come sostenuto dal Giornale, ma «si trattava di soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e pistole (ciascuno, ndr)». Non erano nemmeno cittadini italiani «in quanto facendo parte dell'esercito tedesco i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica». I giudici hanno poi confermato con sentenza quello che era già scritto in un libro di Sandro Portelli - L'ordine è già stato eseguito - di otto anni fa: non è vero che erano stati affissi dei manifesti che invitavano gli attentatori a consegnarsi. Anzi questa affermazione, di Feltri (e successivamente, tra gli altri, di Vespa) secondo la Cassazione «trova puntuale smentita». Nella «circostanza che la rappresaglia delle Ardeatine (335 morti) era iniziata circa 21 ore dopo l'attentato e soprattutto nella direttiva del Minculpop la quale disponeva che si sottacesse la notizia di via Rasella che venne effettivamente data a rappresaglia avvenuta». Di qui la condanna al Giornale, perché secondo la sentenza «la libertà di critica ha valore scriminante solo quando rispetti la verità dei fatti» altrimenti «diviene un mero pretesto per offendere l'altrui reputazione».
Via Rasella era stata portata in tribunale già subito dopo la fine delle guerra, nel 1949, quando i famigliari di Pietro Zuccheretti, un bambino che fu una delle due vittime civili della bomba fatta esplodere dai partigiani, intentarono una causa civile contro i Gap e contro Amendola, Bauer e Pertini come dirigenti del Cnl che cinque giorni dopo avevano rivendicato «l'atto di guerra». La vicenda si chiuse nel '57 con una prima sentenza della Cassazione che respinse la richiesta di risarcimento danni. Una seconda sentenza è del '99 e si tratta di un annullamento senza rinvio di una decisione del gip di Roma che suscitando scandalo aveva archiviato una denuncia per strage contro i partigiani ma solo perché il fatto era «coperto da amnistia». La prima sezione penale della Cassazione stabilì invece che l'azione via Rasella non è considerata dalla legge come reato in quanto «azione di guerra».

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