3.12.07

Il comandante delle pietre

di Moni Ovadia

(tratto da l'Unità del 1/12/2007)

In questi ultimi giorni ad Annapolis si tiene una conferenza di pace fra israeliani e palestinesi con il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen patrocinata da George W. Bush, l’uomo più potente del mondo, alla presenza di alte autorità del mondo arabo in uno schieramento che non conosce precedenti. Quasi simultaneamente, a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, viene messo in scena un oratorio di testimonianza dal titolo Al Kamandjati. A questa rappresentazione ideata da Guido Barbieri ed Oscar Pizzo, prendono parte fra gli altri, un attore e un musicista palestinese, una scrittrice-giornalista israeliana e un raccontastorie ebreo, il sottoscritto. Fra i due eventi non c’è nessuna relazione di causa-effetto ma solo una consonanza tematica. La conferenza di Annapolis è l’ennesimo tentativo di risolvere il dramma mediorientale con gli strumenti della diplomazia e della politica. Su questo summit spira una brezza di ottimismo. Voci autorevoli, riportate dal nostro quotidiano come quella di Hanna Sinora, direttore del giornale palestinese Jerusalem Times, considerano questo incontro un’occasione storica. Hamas, il grande escluso, considera Annapolis un’inutile messa in scena, una trappola degli Usa ordita di concerto con Israele ai danni della causa palestinese. Personalmente ritengo non fuori luogo un’acuta sensazione di scetticismo riguardo alla vera efficacia di un processo che esclude uno degli «attori» principali, in un contesto così drammaticamente complesso e compromesso. Ma Al Kamandjati, il nostro racconto con musica, immagini e un concertato di lingue (arabo, ebraico, inglese e italiano), affronta la questione da un punto di vista remoto rispetto a quello della grande conferenza che si tiene nel Maryland. Il testo straordinario di Amira Hass, la scrittrice e giornalista israeliana che è la più lucida ed implacabile testimone del suo paese riguardo del dramma palestinese, racconta la storia di Ramzi Aburedwan, una storia positiva, una gemmazione poetica, atipica e fortunata che tuttavia rivela la profondità umana del dramma palestinese. Ramzi è un grande violista, fa parte della Diwan Orchestra diretta da Daniel Barenboim e ha appena finito di registrare un disco con la «Mozart» diretta da Claudio Abbado, ma Ramzi è anche il «comandante delle pietre», il bimbo che a otto anni diede avvio all’Intifada delle pietre diventandone l’icona immortalata da una fotografia che fece il giro del mondo. Ramzi è riuscito nel miracolo di fare una sintesi luminosa dei suoi due titoli. Dopo il diploma di violista a Lione è tornato a Ramallah dove ha aperto la scuola di Al Kamndjati il cui scopo è la formazione musicale dei bambini dei campi profughi. Al Kamandjati in un paio d’anni è diventata un network di cinque scuole ad insegnamento totalmente gratuito anche grazie ai riconoscimenti e ai sostegni internazionali che si è conquistata. Ramzi, da grande comandante quale è, ha scelto delle armi più efficaci per vincere la sua battaglia. Quarant’anni di occupazione militare israeliana, di colonizzazione arbitraria violenta e ininterrotta, di sradicamento di ulivi, di demolizione delle topografie esistenziali palestinesi, hanno sconvolto l’identità culturale e tradizionale del popolo palestinese. La musica è uno strumento potente per resistere e avviare la ricostruzione, Ramzi lo sa. Forse ad Annapolis verrà gettato un primo seme diplomatico per un qualche negoziato ma, come spiega lucidamente Amira Hass, la pace necessita di ben altro. È indispensabile un radicale cambiamento di orizzonte nella cultura dell’estabilishment di potere israeliano. È urgente stabilire una sintonia con la lezione che viene dai Ramzi e dalle loro storie. La vera sicurezza si ottiene solo con la pace e la pace si conquista con il pieno riconoscimento dell’altro, con l’accoglienza del suo volto.

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