21.5.08

Il federalismo dei più ricchi

Francesco Indovina

(tratto da il manifesto, 20 Maggio 2008)


Gli anni del prossimo governo Berlusconi saranno durissimi, infatti mentre nel precedente suo governo ha teso soprattutto a occuparsi dei «suoi affari» (economici e giudiziari) oggi si dedicherà a «noi». Molte sceneggiate, qualche mancia, ma una consistente ulteriore redistribuzione del reddito (sempre di più a chi ha). Il tutto favorito dalla «crisi», non a caso si annunziano decisioni impopolari. Forse riuscirà a dispiacere molti di quelli che l'hanno votato. Il forse è necessario e cautelativo perché la sua capacità comunicativa è tale da far passare come bianco il nero e viceversa (proprio il contrario del Governo Prodi, ma questa è un'altra storia).
Un primo forte annunzio di riforma è il confuso e indeterminato progetto di «federalismo fiscale», che comunque sarà attuato, non a caso la Lega presenzia le competenze di governo sulle riforme (e poi anche l'opposizione è convinta della sua utilità. È vero che Dio acceca chi vuol perdere).
Oscuro in questo progetto è ogni riferimento alla «solidarietà» del paese: ciascuna regione faccia parte per se stessa, anche se qualche «mancia» sarà accordata al mezzogiorno (la considerazione del contributo elettorale dato da molte regioni meridionali non potrà essere dimenticato) e soprattutto si farà molto rumore con qualche investimento eclatante ma non prioritario e forse non utile (il ponte sullo stretto? che fa tanta gola alle imprese del nord e alle mafie del sud). Incerta è la tipologia della tassazione che sarà trasferita, incerto il quantum.
Ma non è soltanto la mancanza di un impianto «solidale» che deve preoccupare e l'incertezza sulla natura di tale federalismo, ma anche le conseguenze. Per esempio un punto di grande interesse è che fine farà il «debito pubblico» (qualcuno, pare, comincia a sollevare il problema). Per ogni quota di «minori» entrate fiscali al centro, una identica quota del debito pubblico dovrà essere trasferito alle regioni. Si tratta di un principio di equità fiscale e sociale dal quale non si potrà deviare. Ma come attribuire alle diverse regioni questo carico di debito? La cosa non sembra particolarmente difficile. Prendiamo le mosse dal fatto che al «debito pubblico» corrisponde un «reddito privato»: chi ha prestato soldi allo stato ne ricava degli «interessi»; un criterio equo è quello di distribuire il «debito pubblico» (pagamento degli interessi e restituzione del capitale) in ragione alla quota di interessi che in ogni regione vengono percepiti, che cioè corrisponde già oggi alla «distribuzione» tra le regioni del debito pubblico (e perché non ci siano travasi improvvisi, si assume la situazione al 31 dicembre 2007). In quest'ottica ogni regione, inoltre, si impegna a realizzare gli obiettivi di risanamento.
Un secondo annunzio, che, non meravigli, trova grande consenso nel precedente e nel nuovo presidente della Confindustria è quello relativo alla detassazione degli straordinari e dei premi. Un provvedimento a favore del «lavoro». Non c'è dubbio che i lavoratori ne ricaveranno dei benefici, ma solo loro? Non sarà che anche le «imprese» (mai usare il termine «padroni») ne ricavano non piccoli benefici? La detassazione riguarderà, infatti, sia la quota a carico dei lavoratori sia quella a carico dell'impresa. E se così fosse, e se questo provvedimento risultasse stabile ci dovremmo meravigliare di vedere aumentare a dismisura il «lavoro straordinario» (in sostituzione di quello «ordinario»)? E ancora non ci potremmo meravigliare se all'improvviso le rilevanti (forse eccessive?) remunerazioni dei manager si riducessero drasticamente mentre crescerebbero oltre ogni misura i «premi»?
Insomma bisogna stare molto attenti perché in ogni provvedimento sta nascosta la coda del serpente, e se non si fosse in grado di contrastare tali decisioni almeno renderli trasparenti può aiutare a capire.

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