2.6.08

Addio Festa dell'Unità, eri bellissima!

di Maria R. Calderoni

(tratto da Liberazione del 01/06/2008)

Un bambino e una bambina tenendosi per mano camminano ridendo su un prato verde, sullo sfondo il rosso di una immensa bandiera con stella falce e martello; sotto, in bianco, le parole «per l'avvenire d'Italia», Partito Comunista Italiano, e, in nero, «per la Repubblica». E' il primo manifesto della prima Festa dell'Unità, estate 1945: quattro mesi esatti dalla Liberazione, la Repubblica non ancora nata, il paese ancora in macerie, tramortito dalla guerra, tra fame e lutto. Ma la Festa è come un miracolo, esplode lì a Mariano Comense, provincia di Como, un paesotto di ventimila anime, nel cuore della Bassa bianca e "paolotta", devota di Papa Ratti.
Nasce dentro un bosco fitto, l'attuale Parco della Brughiera, accanto alla località di Montestella. Un posto difficile da raggiungere coi mezzi del tempo e nessuno per la verità riesce a capire le ragioni di tale decisione. Forse si voleva scegliere Milano, ma la città era ancora un cumulo di macerie. Forse il posto ideale, per quei pionieri della Festa che doveva sconvolgere l'Italia, avrebbe dovuto essere il regale Parco di Monza, ma al momento esso risultava inagibile, ingombro com'era dei mezzi bellici americani lí parcheggiati. Così fu scelto il bosco incontaminato fra Mariano Comense e Lentate, come un gesto di taglio netto col passato, un segnale insieme di diversità e novità. E anche come un modo per il Pci di contarsi, di capire quanto il "vento del nord" soffiasse dalla sua parte.
Soffiava. Miracolo, arrivarono da tutta Italia, cinquecentomila, forse settecentomila; con bandiere, canzoni, balere, buona roba da mangiare, vino, allegria, ragazzi, famiglie. E tanti bambini, uguali identici a quelli dell'idilliaco manifesto, a giocare sul prato brianzolo. C'era la Festa. Miracolo nel miracolo, non restò sola, ne sortirono subito altre, in giro, al Nord, ma anche al Centro e al Sud. C'era il Pci.
Sessanta anni dopo. Estate 2005, Festa nazionale dell'Unità, Milano, Maizapalace e Montestella: proprio lì, stesso luogo, stesso nome di quella antica prima Festa del 1945. Numeri da sballo: 2 milioni di visitatori, incassi 2milioni 600mila euro, incassi pubblicità 3milioni 500mila euro, costi complessivi 3milioni 400mila, dibattiti 207; la libreria espone 90mila volumi, 180 sono le emittenti tv collegate e 15 milioni i contatti, 200 i giornalisti accreditati, e coinvolti in 26 giorni 20 direttori di testate e 25 conduttori televisivi. Una vera gioiosa "macchina da guerra".
Quella, dunque, destinata ad essere l'ultima Festa nazionale dell'Unità si è svolta a Bologna nell'estate 2007. Il comizio d'addio l'ha tenuto Piero Fassino, «si interrompe qui una lunga storia d'amore». E il segretario Ds (anche lui sarà l'ultimo), fa l'elogio del morituro, che fu così grande e così bello, de profundis. Addio. Un addio dall'ultimo palco dell'ultima Festa, non senza una stretta al cuore, un trasalimento. Non tornerà mai più.
Così grande, così bella, praticamente unica. Praticamente irripetibile. 60 anni in Festa è il titolo di un libro, e anche di una mostra, che appunto per il sessantesimo della Festa, ha visto la luce a Bologna: 250 foto, 100 manifesti, 21 video, il percorso tracciato dalle prime pagine del quotidiano, le sfilate degli "Amici dell'Unità", testi musicali, poesie e canzoni. E tutte le date salienti dei nostri 60 anni.
Un libro "storico", che ha un meritato posto negli scaffali alti della Memoria popolare. Ma ci vorrebbe molto altro per dire di ciò che fu La Festa. Copiata da quella dell' Humanité , portata in Italia per iniziativa di Giancarlo Pajetta, la Festa dell'Unità ha segnato ininterrottamente non solo la vita del Pci, ma anche le date, le tappe, gli eventi più significativi della nostra storia post-Liberazione. Colossale appuntamento di popolo; corale, festosa e insieme disciplinata manifestazione di massa, anno dopo anno rappresentò, in ogni piazza e in ogni città grande e piccola, una straordinaria dimostrazione di fede e attaccamento a un ideale, a una bandiera, a un simbolo.
Nell'anno del Signore 2007, quando dall'ultimo palco l'ultimo segretario Fassino annuncia che la Festa deve morire in nome del freddo e "oscuro" Pd, lei, La Festa, è ancora ben viva, dispiegata in tutta la sua forza e bellezza. Nel momento stesso in cui ne decretano la morte, in giro per l'Italia, dal Nord al Sud, prosperano e scintillano almeno 3mila Feste, «ma quest'anno forse ne abbiamo di più, 4.500 o giù di lì», fanno sapere. Più che morta, del tutto viva, praticamente un delitto...
Ha macinato molto, la "nostra" Festa. Già i meri (meri?) numeri sono sconvolgenti (numeri che nessuno può vantare, nel campo, all'infuori del "vecchio" Pci). Prendete le cifre messe in fila, appunto, alla Festa di Milano 2005, e moltiplicatele per 60 anni, e vedrete cosa salta fuori. Un happening gigantesco, che è riuscito a tramandarsi per quattro generazioni di italiani, insieme lessico, discorso politico, immaginario collettivo.
C'era una volta il Pci , è un libro (autore Edoardo Novelli), uscito per gli Editori Riuniti nel 2000, in pratica l'autobiografia del partito attraverso le immagini della sua propaganda. «La Festa dell'Unità assume negli anni un'importanza politica e sociale, il cui equivalente non si riscontra in nessun altro paese e si rivela un fenomeno in grado di essere organizzato da nessun altro partito italiano, almeno nelle dimensioni e nei numeri messi in atto dal Pci. Al di là delle impressionanti cifre, dei milioni e poi miliardi raccolti, delle migliaia e poi milioni di visitatori, delle centinaia e poi migliaia di metri quadri, delle decine e poi migliaia di stand, sin dai primi anni la Festa è svago, divertimento, politica, autofinanziamento, cultura, sport, militanza, cucina, musica e tante altre cose ancora. La sua unicità sta appunto nel riuscire a mettere insieme, a far convivere e anche a far interagire tutti questi elementi».
Erano quei tempi, quando la mitica "diffusione militante" dell'Unità, buttava un mlione di copie...
Addio, esercito di meravigliosi "volontari", addio Festa (tante altre cose ci hanno strappato a forza dal cuore).

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